La Nuova Sardegna

Sassari

Cade per un cane randagio ciclista fa causa ma la perde

di Luca Fiori
Cade per un cane randagio ciclista fa causa ma la perde

Il sassarese di 69 anni per l’incidente aveva riportato una frattura del bacino  Per il giudice Comune e Ats non sono responsabili: «Doveva essere più prudente»

12 novembre 2020
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SASSARI. Una mattina di giugno di tre anni fa la sua passeggiata in bicicletta verso il mare era stata bruscamente interrotta da un cane randagio che all’inizio della Buddi Buddi gli aveva attraversato la strada.

Giovanni Carboni, ciclista amatore di 69 anni, era finito con le ruote per aria a pochi metri dal Bar Graziella e nella caduta aveva riportato una frattura del bacino. Il meticcio si era dileguato, ma un testimone aveva raccontato che quel cagnetto si aggirava da tempo in quella zona privo di collare e senza alcun padrone ed era addirittura spuntata una foto scattata da chi nella zona ogni tanto gli dava da mangiare.

Il ciclista era stato soccorso dal 118 e per trenta giorni era rimasto bloccato a letto. Poi si era rivolto a un legale e intentato una causa contro il Comune e l’Azienda per la tutela della salute, per chiedere un risarcimento del danno, ma il giudice di primo grado gli ha dato torto.

Il suo legale aveva citato una recente sentenza della Cassazione che ha stabilito «che la responsabilità per i danni causati da un cane randagio spetta all’ente che ha il compito della cattura e della custodia dei randagi». L’Ats, che secondo una legge regionale del 1994 avrebbe il compito della cattura dei randagi attraverso il servizio veterinario – si legge nella memoria del legale del ciclista – è rimasta però contumace. Azienda sanitaria e amministrazione comunale sono riuscite a dimostrare di non essere responsabili di quanto accaduto al ciclista. Per il giudice Barbara Cossu l’amatore avrebbe per prima cosa dovuto tenere presente che «l’attraversamento della strada da parte di un randagio – si legge nella sentenza – deve considerarsi un fatto del tutto prevedibile». Ma durante il processo - viene specificato nel dispositivo - non sarebbe stato dimostrato che a causare l’incidente sia stato effettivamente un randagio. Per il tribunale il ciclista «avrebbe dovuto dar prova, e non lo ha fatto, che la cattura e la custodia dello specifico animale che ha provocato il danno – ha scritto il giudice – era nella specie possibile ed esigibile e che l’omissione di esse sia derivata da un comportamento colposo dell’ente preposto». Una decisione che ha lasciato il ciclista a bocca aperta. «In terra e con il bacino rotto – commenta Carboni – come avrei potuto fermare il cane per dimostrare che era tra i randagi che Comune e Ats avrebbero dovuto togliere dalla strada?».

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