La Nuova Sardegna

Sassari

I detenuti di Bancali: tra virus e restrizioni siamo allo stremo

Nadia Cossu
I detenuti di Bancali: tra virus e restrizioni siamo allo stremo

La denuncia: diminuiti i colloqui e l’infermeria è un disastro. «Ritardi nelle consegne, il cibo che ci inviano va in malora»

16 novembre 2020
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SASSARI. La pandemia mette a dura prova anche i detenuti di Bancali. E non solo per ciò che riguarda gli effetti del Covid dal punto di vista strettamente sanitario. «Capiamo che le restrizioni siano tante anche all’esterno del carcere ma per chi vive già in piena restrizione è ben diverso». Due pagine di foglio protocollo scritte a mano e fatte consegnare alla redazione della Nuova Sardegna «per fare in modo che le istituzioni competenti prendano i provvedimenti necessari per risolvere alcuni problemi nel rispetto dei diritti dell’uomo. Perché nonostante in passato noi abbiamo sbagliato, stiamo pagando comunque il nostro debito con la giustizia. Ma non è questo il modo, altrimenti sarebbe tortura, non solo fisica ma molto più psicologica».

Un appello accorato che arriva a conclusione di una serie di emergenze elencate nero su bianco da “noi detenuti della casa circondariale di Bancali” (così si firmano in calce).

E ciò che colpisce è che al primo posto ci sia la sofferenza per la mancanza di comunicazione con l’esterno, problematica accentuata dall’emergenza covid. «La corrispondenza non funziona – scrivono – sia in uscita che in entrata e molta sparisce senza averne più notizie. Siamo poi privati dei colloqui visivi con i nostri familiari, ora da uno sono passati a due ma l’ingresso è dedicato solo a un familiare e come si esegue il colloquio non si sente nulla in quanto sei separato da un vetro e sei a una certa distanza». Accorgimenti adottati per scongiurare il rischio contagi ma che ai detenuti stanno creando parecchio disagio.

Al posto dei colloqui visivi «sono state messe a disposizione le videochiamate ma anch’esse sono inutili perché non vengono rispettati i turni e gli orari per usufruirne, in quanto non ci sarebbe personale. In realtà c’è menefreghismo e scarsa organizzazione da parte degli addetti. Poi per ogni movimento che si fa all’interno del carcere devi per forza fare richiesta con il modello 393 in modo che ognuno riceva una risposta per ciò che sta chiedendo. Ma anche questo non viene eseguito nei dovuti modi, perché le domandine spariscono o perché l’assistente che se ne deve occupare non è disponibile».

Passano poi all’argomento cibo. Secondo quanto da loro raccontato, i pacchi degli alimenti inviati dai familiari non sempre verrebbero consegnati in tempi rapidi e capita quindi che il cibo vada in malora: «Dietro ci sono i tanti sacrifici che hanno fatto i nostri familiari per mandarci quegli alimenti, magari privandosi loro di altro che servirebbe in famiglia».

«In più – continuano nella lettera – non ci fanno fare ingresso alle casse pranzo, fondamentali per i beni di prima necessità, in quanto il vitto che viene distribuito dall’amministrazione penitenziaria è scarso e commestibile fino a un certo punto. Senza contare chi non ha la disponibilità economica per l’acquisto di alimenti basilari come l’acqua...».

Tra le altre carenze ci sarebbe quella dell’area educativa: «È come se non ci fosse, se ti chiamano lo fanno dopo tantissimo tempo e il più delle volte senza che ti risolvano il problema, anche se banale».

Concludono con «la cosa veramente più vergognosa: l’infermeria. Quando abbiamo problemi veniamo liquidati con una bustina o un antidolorifico, non ci sono specialisti, e qui c’è chi soffre ogni giorno. Condizioni inumane che stanno portando le persone allo stremo».

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