La Nuova Sardegna

Sassari

Pedofilo ozierese latitante catturato in Cambogia

di Nadia Cossu
Nel riquadro l'arrestato, Antonello Marras
Nel riquadro l'arrestato, Antonello Marras

Sparito quando la condanna a 8 anni per violenza sessuale diventò definitiva La vittima era una 11enne del Milanese. Arrestato anche un coetaneo per truffa

15 aprile 2021
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SASSARI. Aveva scelto Phnom Penh una città bella e vivace nel sudest asiatico per trascorrere la sua latitanza. Nella capitale della Cambogia Antonello Marras aveva stabilito la sua residenza da quando – il 26 febbraio 2020 – la sentenza della corte d’appello di Milano che lo condannava a otto anni e otto mesi di carcere per violenza sessuale ai danni di una minorenne era diventata definitiva.

Da quel momento l’uomo, un imprenditore 46enne nativo di Ozieri ma domiciliato a Sassari, aveva fatto perdere le sue tracce. Erano quindi scattate le indagini della squadra mobile di Sassari guidata dal dirigente Dario Mongiovì che, in collaborazione con il commissariato di Ozieri guidato da Mario Deidda, dopo una minuziosa attività basata principalmente sul tracciamento di movimenti di denaro, ha rintracciato Marras. Le manette sono scattate per lui e anche per un’altra persona, Cristian Casagrande, 46enne di Pordenone, ricercato dal 2017 perché deve scontare una pena residua di 13 anni per concorso in estorsione aggravata, falsificazione di carte di credito, truffa, bancarotta fraudolenta. I due vivevano nella stessa abitazione e il sospetto degli inquirenti è che in qualche modo si siano sostenuti a vicenda durante la latitanza. Tutta l’operazione è stata coordinata dalle autorità giudiziarie italiane, cambogiane e dall’esperto per la sicurezza dell’Interpol.

Il 46enne di Ozieri è caduto in una trappola che gli è stata tesa dagli investigatori. È stato infatti convocato nel posto di polizia di Phnom Penh per risolvere presunte irregolarità nel visto e una volta arrivato è stato bloccato e arrestato. A lui la polizia è risalita monitorando movimenti di denaro partiti dalla Sardegna, centinaia di passaggi attraverso il sistema del money transfer, fino ad arrivare a una carta prepagata, in Cambogia, associata a un numero di telefono. E così è stato possibile individuare la residenza.

Un uomo dalla genialità diabolica, così aveva definito Antonello Marras la Procura di Milano proprio per via della sua “maestria” nell’adescare bambine sui social. Era finito a processo per violenza sessuale sul web (aggravata), detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico, diffamazione, corruzione di minorenne e sostituzione di persona. In primo grado era stato condannato a dodici anni di carcere e, a ottobre del 2019, a otto, in appello. La pena in questo caso era stata ridotta perché la corte aveva condiviso il riferimento fatto dall’avvocato difensore Antonio Secci all’ultimo comma dell’articolo 609 bis del codice penale che prevede «nei casi di minore gravità» che la pena sia «diminuita in misura non eccedente i due terzi». E nel caso specifico la “minore gravità” era data dal fatto che tra vittima e carnefice non c’era stato un contatto fisico. La violenza si era consumata attraverso una webcam sui computer ma i due non si erano mai incontrati.

La vittima (all’epoca undicenne) era convinta di aver fatto amicizia con due coetanee, per poi scoprire di avere a che fare con un adulto. Dopo aver conquistato la sua fiducia, Marras l’aveva costretta a guardare dei video pornografici e poi a spogliarsi e compiere atti di autoerotismo che prevedevano anche l’introduzione di oggetti nelle parti intime (da qui la contestazione della violenza sessuale). Tutto sotto minaccia: «Se non lo fai veniamo a prenderti, sappiamo dove abiti perché l’indirizzo è tra le informazioni del tuo profilo facebook». E lei, terrorizzata, aveva obbedito. Ma un certo punto aveva detto “no”. La reazione al suo rifiuto era stata l’immediata divulgazione del video. Le indagini della Dda erano partite dopo la denuncia presentata dalla sorella maggiore.

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