La Nuova Sardegna

Sassari

Ossa rotte: se ingessare è un’arte

di Luigi Soriga
Ossa rotte: se ingessare è un’arte

I quarant’anni in sala dell’infermiere dell’anno Antonio Sechi “Gesso” e la sua manovra segreta

06 ottobre 2021
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SASSARI. In quarant’anni di lavoro è come se avesse ingessato un’intera cittadina, come se tutti gli abitanti di Uri fossero passati da lui e tornati a casa con un gambaletto o un vestitino su misura fatto di gesso. Per questo motivo non c’è posto dove Antonio Sechi, soprannominato a Sassari Antonio Gesso, appena premiato come infermiere gessista italiano dell’anno, non trovi qualcuno che lo fermi per strada e gli dica: «Ha un viso familiare. Dove ci siamo conosciuti?». E lui risponde: «Ha mai avuto fratture? Ecco, se ora cammina così bene è anche merito mio».

In sala gessi, all’ospedale Civile di Sassari, ci è entrato a 19 anni. Ma già a 16 aveva iniziato a studiare da infermiere. «I miei maestri sono stati dottor Sotgiu e poi dottor Melis. A quel tempo la traumatologia era un altro mondo. Mi ricordo che quando sentivo la parola tamponamento avevo il terrore. Si chiamava gesso a Minerva, e chi ha avuto la sfortuna di avere trent’anni fa una frattura del rachide cervicale sa bene di cosa parlo: un busto di gesso a canottiera che lasciava libere solo le braccia, risaliva su per il collo, una apertura per bocca, naso, occhi e orecchie, e poi di nuovo su per tutta la testa. Era uno strumento di tortura per i pazienti, e per noi, soprattutto alle prime armi, era la prova del nove. Soprattutto il collo, che dovevi modellare come fosse una statua. E invece a me all’inizio venivano fuori dei cilindri, della specie di collari elisabettiani». Poi l’esperienza si affina, e la benda di gesso può anche prendere forma, diventare estetica, plasmarsi sulla silhouette. Siamo quasi a livello di alta sartoria. «La soddisfazione più grande – dice Antonio Sechi – è quando fai un busto che sotto una camicetta nemmeno si nota». Però il momento della verità per un gessista, ma soprattutto per il paziente, è la manovra per la ricomposizione della frattura. Non c’è anestesia, è dolore in purezza: rapido, cinque secondi di passione mistica, che non si dimenticano. L’infermiere sa che farà male, il proprietario dell’osso rotto sa che sentirà male. E l’esperienza di quarant’anni è tutta distillata in questa osmosi. Nella magia di renderla il più soft possibile, utilizzando l’unico antalgico consentito: le parole e l’ironia. «Con i bambini siamo costretti ad agire “alla sconfidata”. Non puoi prepararli dicendo: ora sentirai dolore, perché si terrorizzano. Allora devi farli ridere. Tipo, bimbo di sei anni: e quindi sei caduto in moto con la fidanzata? Cavolate così, che però rompono il ghiaccio e ti fanno guadagnare fiducia. Poi però ci sono anche uomini grandi e grossi che hanno più paura dei bambini. E che quando li avverti: adesso le faremo un po’ male... cominciano a urlare prima ancora di sfiorarli. Ci vuole molta empatia, la capacità di fare la battuta al momento giusto, e questo te lo dà anche l’esperienza».

«Una mattina stavamo ingessando una signora, politraumatizzata. E questa poveretta gridava ogni volta che ricomponevamo le fratture. E il marito, fuori dalla sala gessi, urlava più di lei: ASSASSINIIII.... ASSASSINIIIII!!!».

Ma il paziente peggiore non è quello fifone e lamentoso, è quello con la laurea in traumatologia presa sui social: «Quanti danni che ha fatto Internet! Ogni tanto arriva qualcuno che pretende di insegnarmi il mestiere: costa sta facendo? Perché non fa così? Ho letto su internet che queste fratture vanno ingessate in questo modo...». Paziente tra l’altro kamikaze, perché la regola numero uno, quando la tua zampa malconcia è nelle mani di un gessista, è di non farlo mai innervosire. In ogni modo è un lavoro di equipe: c’è l’infermiere che tiene fermo l’arto, il medico che fa la manovra, il gessista che tira. E poi c’è Maria Giovanna Cherchi, la caposala, che è un po’ il mister, che schiera i suoi fuoriclasse e li fa giocare di squadra. «Possiamo davvero affermare di essere un team affiatato e che lavora bene – dice – E questo grazie al primario dottor Cudoni. So bene che contro l’ortopedia di Sassari nei decenni ne sono state dette di cotte e di crude. A mettere uno stigma occorre 1 minuto, a toglierlo un’eternità. Noi ci stiamo lavorando».

Adesso comincia l’inverno, e anche le fratture seguono un andamento stagionale: «Ci sarà la pioggia – dice Antonio Sechi – e con lei i traumi da incidenti stradali. Poi verrà di nuovo il bel tempo, e la gente farà più sport e andrà in moto, e saranno i mesi dei polsi e delle caviglie». Anche la sala gessi, come la natura, come la campagna e le fasi lunari, ha un suo calendario di raccolta.

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