La Nuova Sardegna

Sassari

Corte d'assise

L’omicidio di Zdenka, i giudici: «Testimoni decisivi per l’ergastolo»

Nadia Cossu
L’omicidio di Zdenka, i giudici: «Testimoni decisivi per l’ergastolo»

Depositate le motivazioni della sentenza di condanna per Francesco Fadda

18 luglio 2022
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Sassari «Prove testimoniali inconfutabili e dichiarazioni del consulente medico legale che hanno posto all’attenzione della corte una dinamica dei fatti incompatibile con qualsiasi evento accidentale». Il tutto a fronte di una ricostruzione fornita dall’imputato «che non supera assolutamente il vaglio costituito dalle regole della logica, oltre a essere di per se stessa incoerente e piena di contraddizioni».

Sono condensate in una cinquantina di pagine le motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo emessa il 15 marzo dalla corte d’assise di Sassari (presidente Massimo Zaniboni, a latere Gian Paolo Piana) nei confronti del 47enne Francesco Douglas Fadda.

Una responsabilità chiara e senza sbavature: per i giudici l’uomo uccise la compagna Zdenka Krejcikova, a Sorso, il 15 febbraio del 2020, davanti agli occhi delle figlie gemelle di lei, appena undicenni. Lo fece all’interno di un bar con un coltello che usò per colpire la vittima mentre quest’ultima scappava da lui e provava a trovare rifugio in quel locale sotto casa. E proprio qui, per la corte d’assise – che ha accolto totalmente la tesi accusatoria del pubblico ministero Paolo Piras – starebbero le prove schiaccianti a carico dell’imputato (difeso dall’avvocato Lorenzo Galisai).

Perché nel “British Cafè” la sera della tragedia ci fu chi vide ciò che accadde. E non a caso i giudici parlano di «una prova testimoniale chiara e circostanziata – quella di una persona in particolare (Massimo Fiori) – che ha assistito al fatto e ha riferito, senza alcuna incertezza, che Fadda ha accoltellato Zdenka Krejcikova, dopo averla inseguita dal momento dell’ingresso nel bar fino al bancone di mescita». Una «prova diretta» per la corte d’assise di fronte alla quale «qualsiasi versione alternativa basata su pretesi indizi (i quali sono tutt’altro che gravi, precisi e concordanti) si rivela inutile e fuorviante».

Il 47enne aveva tentato di minare la credibilità del testimone sostenendo «che quest’ultimo – si legge nelle motivazioni – provava una forte inimicizia nei suoi confronti, che era amico della famiglia dell’ex compagno di Zdenka e che tempo prima lo aveva accusato di un furto che c’era stato al “British Cafè”. Si tratta tuttavia di un argomento poco credibile in quanto Fiori non era proprietario del bar e non avrebbe pertanto avuto alcun interesse ad accusare Fadda né a cercare i possibili autori del fatto».

A questo, secondo i giudici, devono aggiungersi «le incongruenze e le contraddizioni che caratterizzano il racconto della sequenza degli avvenimenti offerto dall’imputato». Fadda aveva infatti detto che quella sera era Zdenka che impugnava il coltello, e mentre usciva di casa insieme a lui e alle bambine per andare al mare a Marritza «inspiegabilmente» virò verso il bar e solo allora l’imputato si accorse che la donna teneva fra le mani un coltello. «Ebbene, Fadda non ha saputo fornire una spiegazione plausibile del perché Zdenka – che, stando a quanto da lui riferito, si era detta d’accordo ad andare a Marritza – si fosse recata verso il bar e avesse preso dalla casa un coltello da cucina». Ma non solo. Per la corte «a suffragare la tesi dell’omicidio volontario contribuisce anche la condotta dell’imputato successiva al fatto, tipica di colui che, cosciente di aver ferito mortalmente la compagna, cerca di darsi alla fuga per evitare di essere catturato dalle forze dell’ordine. Se si fosse trattato di una ferita accidentale, come da egli sostenuto, si sarebbe immediatamente preoccupato di cercare i soccorsi». Il riferimento è alla decisione di Fadda di caricare Zdenka in auto con le bambine, di cui una disabile, e di raggiungere la casa di un amico a Ossi («perché di fronte c’era la guardia medica», si giustificò lui) anziché dirigersi verso l’ospedale di Sassari.

Motivate dai giudici anche le aggravanti contestate e il reato di tortura per aver fatto assistere le bambine all’omicidio «causando loro l’ulteriore sofferenza della vista della madre che, ferita a morte, lentamente si spegneva». Un quadro drammatico rispetto al quale «non si rinviene alcuna ragione per la concessione delle attenuanti generiche – concludono i giudici – considerando la condotta complessiva tenuta dall’imputato, caratterizzata da prevaricazione e spavalderia, l’assenza di qualunque segno di pentimento per i delitti commessi, il comportamento processuale poco collaborativo e i nutriti precedenti penali».


 

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