Una madre: «La prima canna a 12 anni, la battaglia per salvare mio figlio ormai fuori controllo»
Il ragazzo oggi ha 17 anni. I genitori di un piccolo paese del Sassarese: «Ci sentiamo completamente soli»
Sassari Quando aveva dodici anni, nel suo profilo Instagram sono comparse foto di marijuana e di banconote che usava come ventaglio, per vincere la calura. I genitori lo avevano scoperto: «Cosa rispose quando gli chiedemmo conto di quelle immagini? Ci disse che eravamo antichi e che quella roba aveva uno scopo “ludico ricreativo”».
È stato quello il primo campanello d’allarme per un padre e una madre di un piccolo paese del Sassarese che oggi – a distanza di cinque anni da quelle fotografie e dopo aver tentato ogni strada per salvare il loro figlio che lentamente precipitava nel baratro della droga – chiedono un sostegno più forte di quello che dicono di aver ricevuto finora: «Siamo completamente soli, recuperare nostro figlio ormai ci sembra impossibile. Ma questo appello potrebbe essere utile anche per tantissimi altri genitori che non hanno la forza o il coraggio di denunciare».
Questa coppia lo ha fatto. «Siamo stati costretti – racconta la madre con dolore – mio figlio mi ha picchiato due volte. La prima aveva 14 anni e avevo preteso di controllargli le tasche degli indumenti perché era sceso dal pullman al rientro da scuola in condizioni pietose. Mi lanciò addosso una cassa musicale». Nel frattempo da casa dei genitori e dei nonni sparivano gioielli, regali di comunione e cresima. «Era stato lui ma negava l’evidenza. Negò sino alla fine persino quando a scuola rubò 50 euro mentre la classe era in palestra. Aveva nascosto i soldi dentro i boxer».
A distanza di tempo ci fu un secondo episodio di maltrattamenti. Anche in quel caso l’aggressività era scaturita da un “preteso” controllo della madre che nei secchi della spazzatura aveva trovato alcune bustine vuote di marijuana: «A casa quella roba non doveva entrare. Io e mio marito eravamo stati tassativi, considerato che abbiamo anche una figlia più piccola. Ma quando gli ho chiesto cosa avesse addosso mi ha sbattuto contro la porta».
Ormai quel ragazzo poco più che quindicenne era fuori controllo: dopo la prima denuncia per maltrattamenti si erano mossi il tribunale per i minorenni, l’Ussm (Ufficio di servizio sociale per minori ndc), era stata chiesta anche una perizia psichiatrica. «Chi lo seguiva era andato in pensione e anche quel percorso non è andato a buon fine. Era in una fase di distruzione totale – racconta ancora la donna – spacciava, a casa ricevevamo telefonate anonime per debiti di droga che lui aveva contratto chissà con chi, io sono stata minacciata. Finalmente si è deciso a parlare con i carabinieri, aveva anche conosciuto una brava ragazza che lo ha tranquillizzato».
Ma la tregua è durata poco. «Rientrava a casa ogni giorno distrutto, eppure al Serd le sue urine risultavano pulite. Poi in ospedale hanno scoperto il motivo: le sostituiva con l’acqua del water...».
Oggi, che questo giovane ha 17 anni, la situazione non è migliorata affatto: «Si è ritirato da scuola – dice la mamma – nonostante fosse bravissimo, aveva preso persino la borsa di studio. Non si presenta alle sedute né va a fare le analisi. Esce il venerdì e torna la domenica, non risponde al telefono. Cosa mi sarei aspettata? Che dopo le nostre denunce e segnalazioni gli avrebbero imposto un percorso di recupero. Coattivamente. Una comunità per disintossicarsi. Era accaduto durante il lockdown che non assumesse più droghe, ricordo ancora quel periodo: per tutti fu una tortura, per noi una salvezza. E poi mi sarei aspettata un aiuto più forte da chi di competenza, anche ad esempio quando nostro figlio spacciava in paese sotto le telecamere della videosorveglianza, con altri ragazzi più grandi di lui che lo avevano agganciato quando aveva 12 anni, poco più che un bambino. Abbiamo esibito quelle foto, con dolore e coraggio. Ma nulla è cambiato». Così come non hanno avuto successo i vari percorsi intrapresi prima e dopo i 12 anni, quando quel bambino aveva manifestato i primi segnali di malessere. «Abbiamo tentato di tutto, anche attraverso progetti di counseling familiare. Senza successo». Ora madre e padre chiedono aiuto forse per l’ultima volta: «Un percorso coattivo di recupero. Solo così potrà salvarsi».