La Nuova Sardegna

Sassari

Il ricordo

Strage di Chilivani, il fratello di Walter Frau: «Trent’anni in attesa della verità»

di Gianni Bazzoni
Strage di Chilivani, il fratello di Walter Frau: «Trent’anni in attesa della verità»

«L’ergastolo lo stiamo scontiamo noi, abbiamo sperato in una nuova inchiesta»

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Sassari «Sono passati trent’anni e ogni giorno vedo mia madre bagnare i suoi occhi azzurri come il mare, sono le lacrime di una donna che soffre un dolore straziante per la perdita di un figlio. É un dolore che ti logora dentro, che non ti molla mai».

Roberto Frau è il fratello di Walter, il carabiniere ucciso insieme al collega Ciriaco Carru il 16 agosto del 1995 in quella che è stata denominata la “strage di Chilivani”. Un capitolo terribile della storia criminale della Sardegna pieno ancora di dubbi e incertezze: una banda che si dice attendesse un furgone portavalori per un assalto milionario, due carabinieri uccisi nel conflitto a fuoco, i componenti del commando individuati, arrestati e condannati. Tutti liberi dopo avere scontato la pena.

Anna Bianciotti, mamma di Walter Frau, ha più volte detto di non odiare gli assassini del figlio: «Il dolore è troppo grande, una cosa immensa che occupa tutto e non c’è spazio per niente altro. Neppure per l’odio».

Roberto, anche lui carabiniere, ora in congedo, della ricerca della verità sulla strage di Chilivani ne ha fatto la missione della sua vita. «Quando qualcuno mi chiede di quel tragico giorno – dice Roberto – spontaneamente dico che mio fratello Walter e Ciriaco sono stati uccisi. Ma non basta per rendere l’idea: la verità è un altra, Walter è stato giustiziato e vilipeso. La fasciatura che è stata posta nel tentativo di ricomporlo, per dargli dignità a malapena celava il suo viso di ragazzo di 29 anni che veniva sfregiato mentre combatteva come un leone per poi essere sopraffatto da criminali che non hanno avuto pietà di due uomini dello Stato».

«E di fronte a quella domanda che mi invita a riflettere su cosa rimane oggi, dico che resta una medaglia d’oro al valore militare in memoria di Walter (e di Ciriaco), la vicinanza di una parte della società. Vedo che dall’altra parte tutti si preoccupano di dare nuova vita ai detenuti che nel frattempo vedono crescere i propri cari e possono gioire con loro. Alcuni hanno potuto laurearsi e godere di benefici, magari appoggiati da schieramenti che sono arrivati pure a prendere le loro difese. Io devo stare attento a quello che dico, però è evidente che da quel pomeriggio del 16 agosto 1995 la condanna all’ergastolo è stata inflitto alla nostra famiglia. Non a loro che sono tutti in libertà».

Roberto Frau volge lo sguardo all’indietro, a quel processo che - secondo lui - resta «pieno zeppo di omissis e con alcune certezze che non sono entrate a fare parte del complesso puzzle: «Dieci paia di guanti in lattice repertati a Peldesemene indicano che due persone mancano all’appello ma non sono state trovate le prove le prove per incriminarli. Molto probabilmente di uno spessore criminale assai superiore a quello degli arrestati. Più volte abbiamo cercato di incalzare gli inquirenti ma inutilmente. Mancano le prove che forse nell’inchiesta “Chilivani bis” avrebbero potuto essere cristallizzate. I faldoni di quel lavoro simboleggiano un processo mai celebrato».

Trent’anni sono tanti. Un periodo lunghissimo ma per chi cerca ancora un pezzo di verità che manca, è come se il tempo non sia passato.

«Come famiglia chiediamo di sapere che fine hanno fatto perché nessuno ha mai proseguito quel lavoro avviato dal magistrato Gaetano Cau – afferma Roberto Frau – quella è la fase più delicata dell’attività degli inquirenti. Il pubblico ministero nella fase delle indagini di allora ipotizzò che la banda avrebbe dovuto rispondere di oltre trenta rapine, quindi non esattamente un gruppo di sprovveduti. In mezzo anche notizie di misteriosi depistaggi come il presunto attentato all’allora presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga (che invece in quel periodo era in Irlanda)».

Domani è la giornata del trentennale e quel dolore atroce non si è mai affievolito. «Ci accompagna ogni giorno – conclude Roberto Frau – nulla e nessuno ci restituirà Walter e cerchiamo di stare vicini a mia madre e trovare nei suoi occhi la forza di andare avanti».

A casa di mamma Anna, la cameretta di Walter è un ambiente speciale dove la vita sembra che continui a scorrere. C’è il portafoglio di Walter con le banconote macchiate di sangue, anche le sterline che aveva portato da Londra: «Non le cambierei mai neppure se fossi alla fame», ha detto la donna.

Tra le immagini sul tavolo anche quella di Emanuela Loi, agente di scorta di Paolo Borsellino morta nella strage di via D’Amelio. E poi Walter con quel sorriso che vero e intenso. Non voleva essere un eroe quel ragazzo partito a 17 anni per andare a diventare grande, perché voleva aiutare i deboli, le persone in difficoltà, gli ultimi. Una cameretta ferma a 30 anni fa, un museo che vive, per non spegnere mai il diritto alla giustizia e la speranza di chi crede nonostante tutto nella legalità.

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