Il primo sindaco socialista di Sassari si racconta: la lotta alla speculazione edilizia, l’asino sotto il municipio, la stampa contro
Nel 1975 Fausto Fadda fu protagonista di una delle prime amministrazioni di sinistra in Italia
Sassari «Eravamo un gruppo di diverse estrazioni politiche e culturali. Unito però dal desiderio di aprire porte e finestre di Palazzo Ducale. Condividendo programmi e ideali che avevano ispirato l’anelito progressista, di sinistra e sardista, necessario per sconfiggere il conservatorismo e il clientelismo democristiano, che aveva permeato fino ad allora la città. I socialisti di cui io, 34enne e appena rientrato dall’esperienza del Psiup, ero diventato punto di riferimento cittadino. I comunisti di Salvatore Lorelli, con Sandro Agnesa, Luigino Delogu, Bruno Casu. I sardisti di Nino Piretta, i social democratici di Pietro Pigliaru. Avevamo tutti contro, ma i sassaresi dalla nostra. E quelle finestre e quelle porte le abbiamo spalancate».
Era il 6 settembre 1975 quando nel consiglio comunale di Sassari si costituì per la prima volta una maggioranza di sinistra e sardista, a guida socialista e senza la Democrazia Cristiana la quale, sin dal dopoguerra, aveva governato la città esprimendo sempre il primo cittadino. La maggioranza era formata da quattro partiti: Pci, Psi, Psdi e Psd’Az che, con votazione a scrutinio segreto, elessero come sindaco il socialista Fausto Fadda e una nuova giunta composta da 12 assessori.
Una svolta storica a cui è dedicato, questa sera alle 17 al centro culturale Arci, un convegno. Tra i protagonisti il primo sindaco socialista di Sassari: Fausto Fadda.
Vi aspettavate di vincere le elezioni?
«Era un momento di grande fermento. Sia a livello cittadino che regionale e nazionale. Nelle Regionali dell’anno precedente la Dc era passata dal 44,5 al 38,3 dei voti mentre il Pci dal 19,7 al 26,8, e lo stesso Psi era cresciuto del 6 per cento. Avevamo la percezione che il vento stava cambiando. Ma alla fine vincemmo solo con un consigliere di scarto, per di più indipendente. E ci trovammo immediatamente tutti contro».
Di chi parla?
«La Dc, che aveva governato ininterrottamente per tutto il dopoguerra, aveva il pieno controllo dell’economia, della cultura, della giustizia. Le multinazionali, presenti in forza, erano filogovernative. A iniziare dalla Sir, che aveva in Sardegna 10mila dipendenti, esercitava il suo potere in maniera arrogante e disponeva dei due quotidiani sardi, di cui era editrice. Aveva il monopolio dell’informazione».
Non godevate di buona stampa?
«Risolvemmo facendo una conferenza stampa al giorno. Non poterono evitare di raccontare ciò che facevamo».
Anche Pino Careddu di Sassari sera non vi amava.
«Diciamo che non avevamo accettato un “consiglio” di cui si era fatto portatore sul parco di Monserrato. Ma dopo un paio d’anni mi disse che gli stavo simpatico e avrebbe smesso di attaccarmi».
Con l’arcivescovo Paolo Carta tutto bene?
«In realtà alla mia prima festa del Voto il voto lo lesse lui, quando invece era prerogativa del sindaco. Feci prendere lo stendardo ai vigili e me ne andai. Poi lo invitai a Palazzo Ducale, per la prima volta nella storia, e mi presentò un elenco di problemi che avevano le parrocchie del territorio. Gli promisi che li avrei risolti in un anno. Lo feci e diventammo grandi amici».
Una volta i netturbini le portarono un asino a Palazzo Ducale.
«Avevamo tolto il cottimo nella raccolta dei rifiuti. La gente li gettava per strada la mattina e i netturbini passavano a ritirarli e poi andavano a fare un altro lavoro. La città era indecente, piena di topi. Allora ho chiamato il sindaco di Modena, la più virtuosa d’Italia e ci siamo fatti spiegare come mettere in piedi il primo sistema di igiene urbana cittadina».
Come avete retto a pressioni così forti?
«Il Pci e il Psd’Az erano partiti con le spalle larghe. Ma quello che ci ha permesso di andare avanti è stato il reale coinvolgimento della popolazione, che ci ha consentito di portare avanti scelte anche dolorose».
Me ne dica qualcuna.
«Ai tempi si parlava di edilizia spontanea. Che altro non era che abusivismo sfrenato. Li Punti ad esempio era un guazzabuglio inestricabile. È stato necessario demolire, spostare le persone, spesso di estrazione umile, che magari in quelle case ci erano nati. Lo stesso alle casermette di Monte Lepre. Senza l’aiuto dei comitati di quartiere, nati spontaneamente anni prima ma mai davvero valorizzati, non ce l’avremmo fatta».
Trovaste una città in piena espansione.
«Speculazione, se vogliamo chiamare le cose con il loro nome. Appena arrivati abbiamo trovato progetti approvati per più di 1 milione di metri cubi all’Argentiera, 400mila metri cubi a Stintino, che ai tempi era frazione di Sassari. Abbiamo cancellato tutto, fatto i piani per le borgate, bloccato l’espansione incontrollata in atto a Sant’Orsola, nella zona Capitali, messo in sicurezza il parco di Monserrato. Nessuno rispettava la norma regionale che prevedeva la consegna di aree standard al Comune quando si facevano lottizzazioni. Ce le siamo prese».
Siete stati una delle prime giunte di sinistra d’Italia.
«Forse la prima tra i comuni medio grandi. Da lì a poco sarebbero iniziate dappertutto. E fummo “laboratorio” per i socialdemocratici, che erano alleati con la Dc. Quando a Roma seppero che ci appoggiavano li commissariarono immediatamente e mandarono qui il vicesegretario Nicolazzi. Lo convincemmo della bontà di quello che stavamo facendo. Tornò a Roma e il Psdi iniziò a partecipare a giunte di sinistra in mezza Italia».
Dopo di lei ci furono altri tre sindaci socialisti in meno di 20 anni.
«Quattro se vogliamo contare Franco Meloni che era andato nei sardisti poco prima della sua elezione».
Da rivoluzionari siete diventati parte organica del potere cittadino.
«Mi piace pensare che la forza del pensiero socialista e riformista, che poi è confluita nel Pd restandone protagonista, si è ben radicata nella nostra comunità. Forse anche grazie all’entusiasmante esperienza del 1975. Ma questo non mi esime da individuare tanti errori che sono stati fatti. E da riconoscere che, dopo la rivoluzione, a Sassari ci fu la restaurazione, e non solo di matrice democristiana».
Il suo peggior cruccio?
«Ne ho due. Il primo è non avere messo in sicurezza l’agro. La cui urbanizzazione disordinata è fonte di molti dei problemi di Sassari».
Il secondo?
«È un cruccio ma anche un orgoglio: andare a un convegno sulla giunta del 1975 e portare il nostro programma fatto di condivisione, apertura, tutela del territorio. E accorgermi che, dopo 50 anni, è più attuale che mai».
