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Dettori continua a “mettere la gamba”

di Andrea Sini
Dettori continua a “mettere la gamba”

In uscita un gustoso libro di aneddoti scritto dall’ex giocatore di Torres e Thiesi

07 dicembre 2019
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SASSARI. Quando gli spogliatoi profumavano di umidità e di olio di canfora, e le trasferte in certi campi rappresentavano una battaglia per la sopravvivenza, un difensore tutto cuore e coraggio portava in giro per l’Italia il suo orgoglio sassarese ben fasciato dentro una maglia rossoblù. Duro, furbo e cinico come solo i difensori di una volta sapevano essere. Arcigno, si sarebbe detto cinquant’anni fa, l’epoca in cui Costanzo Dettori era abituato a mettere la museruola a tutti i migliori attaccanti della serie C.

Il pallone come passione e mezzo per un riscatto sociale. La maglia della Torres come seconda pelle: il minimo, per uno nato in via Torres e venuto su dalle parti dell’Acquedotto con le ginocchia sbucciate. La Torres nel destino, certo, con 165 presenze, ma non c’è soltanto il rossoblù, nella storia che “bistecca” Dettori, oggi 73enne, ha deciso di raccogliere in un volume in uscita in questi giorni: “Un pallone lungo 60 anni” è il titolo del libro edito da Edes (190 pagg., 15 euro), con la prefazione di Francesco Pinna e Gianni Zara, che verrà presentato in anteprima venerdì 13 alle 18,30 al Caffè Set, in via Roma 4, in un incontro organizzato dalla Fondazione Sef Torres.

Non solo rossoblù, si diceva, ma anche il neroverde del Thiesi e il gialloblù della Cannedu Ittiri, le altre tappe importanti della sua carriera di calciatore, iniziata nei primi anni Sessanta e durata, tra un torneo amatoriale e l’altro, sino a pochi anni fa.

Una famiglia normale, quella di Costanzo Dettori, sconvolta troppo presto dalla scomparsa del padre. Le difficoltà economiche, i pianti di sconforto della madre, sola con otto figli, alcuni poi costretti a emigrare, hanno forgiato il carattere di un ragazzino che nel bene e nel male ha sempre scelto di metterci la faccia. E il piede: contrasti duri, durissimi, uno stacco perentorio e un grande tempismo in marcatura sull’uomo gli hanno consentito di farsi spazio, letteralmente a spallate, in un mondo che visto da dentro non è poi così dorato come sembra. Filibustieri vestiti da dirigenti, avversari e a volte compagni senza scrupoli e qualche anima pia fanno da sfondo a racconti gustosissimi: l’emozione per il boato dell’Acquedotto il giorno dell’esordio, l’amarezza per un risultato concordato con gli avversari, la rabbia per dover sempre dimostrare qualcosa per il solo fatto di essere l’unico sardo della squadra. E poi i regolamenti di conti negli spogliatoi, con il massaggiatore Salvatore Sanna come compagno di “ring”, la stima di Giorgio Chinaglia e di avversari altrettanto duri, come l’olbiese Petta. Il sogno del grande calcio, con la chiamata della Spal, finisce presto, così come presto arriva la disillusione per quel mondo. Ma la passione per il pallone non passa, così come non mancano le sorprese (l’incontro con un giovane Ayrton Senna) e le soddisfazioni, quelle della vita di tutti i giorni: dal matrimonio alla nascita di figli e nipotini. Ai quali, ancora oggi, l’anziano “Bistecca” insegna a non togliere mai la gamba. (a.si.)

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