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Cigarini, fantasia e piedi raffinati. «Sì, il professore sono io»

di Roberto Muretto
Cigarini, fantasia e piedi raffinati. «Sì, il professore sono io»

Il centrocampista del Cagliari a 360 gradi prima della gara di lunedì con la Lazio. «Organizzazione, cattiveria agonistica e cuore, così possiamo fare l’impresa»

14 dicembre 2019
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CAGLIARI. Piedi e testa. Luca Cigarini è l'uomo che dà ordine alla manovra del Cagliari. Ma è anche un punto di riferimento nello spogliatoio. Ha raggiunto una tale maturità che i suoi discorsi sprigionano dosi industriali di saggezza. 33 anni, padre di tre figli, il centrocampista sta vivendo uno dei momenti più felici della sua carriera. È praticamente a metà della terza stagione in Sardegna. Una bella soddisfazione dimostrare sul campo che il presidente Giulini ha fatto la scelta giusta quando ha deciso di rinnovargli il contratto. Maran lo considera un titolare quasi intoccabile, un perno davanti alla difesa. L'uomo dai piedi raffinati che dà fantasia al gioco dei rossoblù. Lui è orgoglioso di avere un ruolo importante in una squadra che finora sta facendo un percorso importante ed ha il merito di essersi ritagliata un posto nello spazio solitamente occupato dalle big.

Luca, le piace quando la chiamano professore?
«Sì, tantissimo. È una definizione che mi porto dietro da anni. È stato mister Cesare Prandelli a darmela e me la tengo stretta. Fa piacere sapere che un allenatore così importante del calcio italiano ti stima. In questa definizione mi ci ritrovo».

Tra qualche anno avrà più rimpianti o bei ricordi?
«Bei ricordi sicuramente. Forse tornando indietro certe scelte non le farei, sarei più razionale. Ma lo dico adesso che ho 33 anni e ragiono in un certo modo, quando ne avevo 20 ragionavo in un altro. Comunque sono contento del percorso che ho fatto».

Le piacerebbe fare un'esperienza all'estero o è troppo tardi?
«L'ho già fatta a Siviglia qualche anno fa, città nella quale mi sono trovato bene. Non altrettanto è successo sul piano calcistico. Allontanarmi dall'Italia adesso non sarebbe possibile per motivi familiari».

Una scelta che le ha cambiato la vita?
«Essermi fidanzato e poi sposato con Francesca. Se invece devo dare una risposta nell'ambito del calcio, una in particolare non c'è».

Un ricordo dal quale non si separerà mai
«Questa è facile: la nascita dei miei tre figli, Niccolò, Alessandro e Federico».

Perchè i tifosi del Cagliari sono speciali?
«La definizione una terra un popolo una squadra dice tutto. I tifosi sono speciali perchè al di fuori del Cagliari non c'è altro».

Lo saranno anche lunedì con la Lazio?
«Intanto speriamo di esserlo soprattutto noi giocatori. Su di loro non ho dubbi, sono sempre presenti sia quando giochiamo in casa che in trasferta. Si faranno sentire anche perchè il momento lo richiede. Spetta a noi trasmettere entusiasmo facendo una gran partita».

Se dico la parola famiglia a cosa pensa?
«A mia moglie. Perchè quando passano gli anni ti accorgi che il ruolo di madre è speciale. Se crolla lei, crolla tutto. Francesca rappresenta le fondamenta della mia famiglia».

Come se la cava a gestire la pressione della gara?
«La sento ma non in modo particolare. E' bello ed è giusto che ci sia. Se si gioca senza pressione perde di valore la partita. Io dò il meglio se mi sento sotto pressione. Comunque, prima della gara ascolto musica e lo faccio non per scaricare la tensione ma per rilassarmi».

Cagliari-Lazio, sfida per la Champions: esagerata questa definizione?
«Sì, perchè siamo a dicembre. Fra tre-quattro mesi speriamo di poter dare questo titolo ai giornali».

I social network facilitano i rapporti?
«Con i social ci lavoro avendo un'agenzia di marketing. Penso sia un bellissimo mezzo che ti consente di interagire con tifosi e con le persone in generale. Però i social vanno usati in maniera corretta, diventano un’arma a doppio taglio se utilizzati nel modo sbagliata».

La sconfitta la incassa con fair play?
«Dipende. Ci sono due tipi di sconfitta e in entrambi i casi soffri. Se ti giochi la partita, lotti, esci dal campo e sai che l'avversario è stato migliore di te, è un conto. Se invece non sei stato protagonista è un altro discorso e fai fatica a metabolizzarla».

C'è qualcosa che non riesce a perdonare?
«L'ipocrisia e il doppiogiochismo. Parlare bene davanti e dire altro alle spalle è una cosa bruttissima. Dimmi quello che pensi in faccia nel bene o nel male. Si può sempre chiarire».

Si faccia un selfie: che espressione sceglie?
«Col sorriso, perchè penso di essere un uomo privilegiato e fortunato nella vita. Faccio ciò che mi piace, ho una bella famiglia, gli amici che mi vogliono bene. Il mio selfie è con un sorriso a "settanta" denti».

Per vincere bisogna essere cattivi?
«Più dell'avversario. Ma nello sport serve soprattutto la testa, conta molto di più di qualsiasi gesto tecnico».

La Lazio come si batte?
«Organizzazione, cattiveria e tanto cuore. Dovranno essere queste le nostre prerogative. In sintesi, confermiamo quello che abbiamo dimostrato finora e proseguiamo su questa strada. Queste componenti non devono mai mancare».

Avete maturato l'idea che potete stare al tavolo con le big del campionato?
«Partita dopo partita ti rendi conto che ci sono i presupposti per fare qualcosa di speciale. Il nostro dovere è lavorare e lottare per fare in modo che questo possa accadere. Poi dipende da tanti fattori e un po’ anche dalla fortuna. Adesso siamo in alto e ce la giochiamo. Anzi, meglio dire, abbiamo il dovere di provarci».

Bello essere compagno di squadra di Nainggolan?
«A Radja si potrebbe chiedere se è bello esserlo di Cigarini. Scherzo naturalmente. Giocare con Nainggolan è stimolante, quello che è in grado di fare lo sta dimostrando sul campo. Ora che lo fa per noi è ancora più bello».

Europa: solo un sogno? Realizzabile?
«Per ora è un sogno, che prende sempre più vita. Da ora in poi diventa più interessante, vedremo se si realizza. Ma è presto per parlarne».

Natale si avvicina, che cosa augura per sè, per il Cagliari e per i tifosi?
«Per me e per il Cagliari di proseguire così e cullare il sogno per provare farlo diventare realtà. Ai tifosi dico di ragionare come noi, di crederci come sta facendo la squadra. Mi permetto di fare un invito: dobbiamo sempre ricordarci da dove siamo partiti, perchè la realtà non va mai persa di vista».

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