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Lo stadio Amsicora, il fortino del Cagliari scudetto

Enrico Gaviano
Lo stadio Amsicora, il fortino del Cagliari scudetto

Dal ‘51 al ‘70 il teatro del trionfo è cresciuto fino a raggiungere i 30000 posti. Oggi, rifatto, ospita hockey e atletica

20 aprile 2020
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L’Amsicora è stato il terreno di gioco del Cagliari dal 1951 al 1970. Vent’anni in cui la squadra rossoblù è passata da una dimensione provinciale, vivacchiando quasi sempre fra C e B, alla serie A nel 1964 e allo scudetto del 1970.

Una trasformazione epocale che l’impianto di via dei Salinieri ha accompagnato. Quando infatti la squadra si trasferisce da quelle parti, la zona è una delle estreme periferie: più campagna aperta che città. Il campo è rigorosamente in terra battuta e tale resterà per tanti anni. Le tribune sono due. Gli spogliatoi freddi e angusti. Il campo viene diviso con l’Amsicora di hockey su prato, che inizia a vincere scudetti già dal 1954, anche se parlare di prato è solo un eufemismo.

Comunque il Cagliari nel 1954 sfiora la grande impresa, arriva allo spareggio per la promozione in serie A con la Pro Patria: si gioca al Flaminio e vincono i bustocchi. Il sogno rossoblù viene rimandato di quasi dieci anni. Nel frattempo aumentano gli spettatori e l’interesse per il calcio e aumentano dunque anche i posti dell’Amsicora.

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«Andiamo al campo” amavano dire i cagliaritani quando si voleva andare alla partite. Parlare di stadio insomma non sembrava adeguato per i tifosi di quei tempi. Vengono costruite le due curve, la Ovest e la Est, così chiamate a causa della disposizione diverso rispetto alla tradizionale degli stadi. Il Cagliari nel 1964 sale in A quando il terreno di gioco è finalmente diventato erboso. E lo stadio cresce ancora, vengono aggiunti altri posti grazie alle due tribune laterali A e B. Fu così che per miracolo, da una capienza che arrivava inizialmente a malapena a diecimila spettatori compresi quelli del settore Prato (cioè in piedi ), si arrivò ai 30mila (13mila abbonati) della stagione dello scudetto.

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L’Amsicora aveva una caratteristica fantastica che è rimasta impressa in chi ha trascorso tanti pomeriggi lì dentro a seguire e soffrire per i ragazzi in maglia rossoblù, tranne che nelle ultime due stagioni quando si passò alla tenuta bianca senza possibilità d’appello: le tribune che avevano consentito di ampliare la capienza (curve più grandi e tribune laterali) erano state tirate su con strutture in legno e tubi Innocenti. Succedeva che la folla incitasse i propri beniamini in due modi: il ritmato “Fo-rza Ca-glia-ri” o il tamburellare frenetico con i piedi sui tavoloni in legno degli spalti, quasi un battito di tamburi che era il segnale di guerra (sportiva) contro i rivali di turno. Tamburi che battevano forte quando Riva era incaricato di una punizione. I riflettori sullo stadio si spensero nell’estate del ’70, dopo il girone finale di Coppa Italia, in cui il Cagliari combinò poco per l’assenza dei sei “messicani”. Ora quello stadio ospita un impianto di hockey prato e una nuova pista d’atletica. Ma talvolta è possibile, portata dal vento della fantasia, sentire l’eco del boato della folla per un gol del mitico Cagliari.
 

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