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«La naja nell’isola e quelle... fughe all’Amsicora»

«La naja nell’isola e quelle... fughe all’Amsicora»

Paolo Casarin: «Prima ancora di arbitrare, scoprii il Cagliari dalle gradinate»

04 maggio 2020
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«Quel Cagliari era un mosaico sorprendente. Scopigno era simpaticissimo; con Brugnera, veneziano come me, e con Cera, un altro veneto, in campo parlavamo in dialetto. E poi c’era Riva, un personaggio dotato di una forza e di un carisma davvero straordinari».

Parola di arbitro, e che arbitro. Paolo Casarin nell’anno dello scudetto non aveva ancora esordito in serie A, ma nelle stagioni successive avrebbe fatto in tempo a dirigere le gare di quel gruppo leggendario. E al di là delle gare del Cagliari arbitrate, c’è un legame assai più profondo tra la Sardegna e colui che viene ricordato come uno dei migliori fischietti italiani di sempre.

La naja a Sassari. «Il mio rapporto con l’isola nasce a metà degli anni 60 – racconta Casarin, che tra pochi giorni compirà 80 anni –. Mi stavo per laureare, lavoravo già con l’Eni e arbitravo nelle serie minori. Mi mandarono in Sardegna per il servizio di leva: i primi mesi alla caserma Gonzaga a Sassari, poi a Perdasdefogu. Ricordo tutto, e con grande piacere. Di Sassari ho un flash nitido, lo spareggio scudetto tra Inter e Bologna ascoltato alla radio con i commilitoni della Brigata. A Perdasdefogu non c’era ancora la caserma e stavamo nelle tende, ma non lontano c’era un bel cinema e d’estate andavamo al mare ad Arbatax».

Un fischietto promettente. Un’esperienza dura ma tutto sommato divertente, anche perché Casarin aveva la possibilità di “evadere” per coltivare la sua passione. «Grazie al sostegno dei miei superiori, mi fu possibile arbitrare per tutta una stagione in serie D. Ricordo viaggi avventurosi con un sergente che mi accompagnava in auto, dato che io avrei preso la patente solo più tardi, proprio in Sardegna: ho diretto partite a Tempio, Calangianus, Carbonia, Quartu e tanti altri posti. Ho scoperto e apprezzato la Sardegna più vera. Una volta, di rientro da Tempio per un recupero infrasettimanale, con una nebbia mostruosa, il mio accompagnatore si volle fermare a Orgosolo. Io non ero spaventato, ma non è che fossi proprio a mio agio: lui bussò a una porta alla ricerca di alcuni conoscenti, trovammo una famiglia che ci ospitò a cena. Una cosa fantastica».

Un “intruso” all’Amsicora. Fu sempre in quel periodo che Casarin incrociò per la prima volta il Cagliari. In maniera tutt’altro che scontata: «Da Perdasdefogu, quando non dovevo arbitrare, andavo a vedere le partite all’Amsicora con alcuni commilitoni – racconta divertito – ed era un’esperienza straordinaria. L’Amsicora era uno stadio molto interessante, e lo dico io che di campi ne ho visto parecchi. Era un ambiente molto “sardo” dal punto di vista della partecipazione e delle presenze, arrivava gente da tutta l’isola. Era bello proprio lo spirito che lo animava, c’era questa grande gradinata compatta e un entusiasmo particolare. Non era ancora il Cagliari dello scudetto, ma si capiva in maniera chiara che si stava creando una grande alternativa alle grandi del nord e a Roma e Napoli».

Tra banditi e leggende. «La Sardegna, a quei tempi, era davvero lontana da quello che voi chiamate “continente”, era poco conosciuta e circondata da un po’ di mistero, soprattutto per chi arrivava da fuori. Una volta andai ad arbitrare la Demartino del Cagliari, sul campo di Quartu. Prima di andare a dormire a Elmas, mi fermai a cena in un posto sul mare. Ero là, da solo, con la gente che parlava della recente evasione di Mesina e io che mi guardavo intorno affascinato. Ma più passava il tempo, più mi innamoravo di una terra che poi tutta la vita avrei continuato a visitare».

Il mito di Riva. Paolo Casarin, oltre 200 gettoni in serie A, un campionato del Mondo (Spagna 82), un Europeo (Germania 88) e una finale di Coppa delle Coppe dirette, nella sua carriera si è trovato faccia a faccia con stelle del calibro di Maradona, Platini, Rivera, Mazzola e Rummenigge. «Il ricordo che ho di Gigi Riva è un po’ quello di tutti quelli che l’hanno visto all’opera in quegli anni. Una persona formidabile, una figura di grande spessore e dalla tempra straordinaria. Era un osso duro da arbitrare, non parlava molto ma aveva grande personalità. Era forte atleticamente e fisicamente, in campo si sentiva eccome. Erano un bellissimo gruppo, molto variegato, e non mi sorprende il fatto che sia Riva che altri compagni non siano mai andati via dalla Sardegna: ho conosciuto anche io l’isola che hanno conosciuto loro, e innamorarsene è davvero facile».

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