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Intervista con Beppe Bergomi: «Matteoli, Zola e Walter Zenga, quanti ricordi»

di Roberto Muretto
Intervista con Beppe Bergomi: «Matteoli, Zola e Walter Zenga, quanti ricordi»

Il campione del mondo del 1982 ha la Sardegna nel cuore «A Porto Cervo e Chia le mie estati più belle»

06 maggio 2020
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Aveva compiuto da qualche mese 18 anni (ma con i baffi sembrava averne qualcuno in più, da qui il soprannome lo “zio”) quando ha raggiunto il traguardo più bello a cui un calciatore può ambire: vincere la Coppa del Mondo. Beppe Bergomi c'è riuscito all'inizio di una carriera cominciata e finita indossando la maglia dell'Inter, di cui è stato una bandiera per tanti anni. Ora è un apprezzato commentatore, legato alla Sardegna, dove trascorre le vacanze estive. Ha costruito tante amicizie nell'isola, che definisce «un paradiso», conservate nel tempo.

Come si sta senza calcio?
«La situazione non è bella. Ora viviamo il secondo tempo di una partita che speriamo di vincere. Siamo diventati tutti un po' più social. Il calcio ci manca. Quando mi capita di uscire avverto la voglia dei tifosi di rivedere in campo la propria squadra. Anzi, me lo dicono proprio».

Dica la verità, le mancano le telecronache?
«È la cosa che mi piace di più, mi dà emozioni, mi tiene in contatto con questo mondo. La prima che faremo quando si riprenderà sarà come tornare indietro nel tempo».

La Serie A riparte?
«C'è tanta confusione. Noi non scegliamo mai e invece nella vita bisogna dare certezze e avere coraggio. Alla fine secondo me si ricomincia e saranno i tedeschi a farci da battistrada».

Il ministro Spadafora sembra di parere diverso.
«Quando si tocca il calcio, qualsiasi cosa dici diventa materia scivolosa. Questo perché è un fenomeno nazionale. Il ministro ha sbagliato quando ha consentito le corse nei parchi e non gli allenamenti individuali aprendo i Centri sportivi. Ha fatto marcia indietro perché si è reso conto o gli hanno detto che era un errore».

Parliamo di Sardegna: il Cagliari a fine mese compie 100 anni.
«Bella storia. Chi è innamorato dal calcio non può che apprezzare una squadra che rappresenta l'intera regione. Quando sono stati trasmessi gli speciali dello storico scudetto e le prodezze di Gigi Riva, c’è scappata la lacrimuccia. A Cagliari sono passati tanti grandissimi giocatori».

C'è una partita con i rossoblù che ricorda?
«Il ritorno della semifinale di Coppa Uefa che noi dell’Inter abbiamo vinto 3-0. Gara che ho nel cuore perchè ho giocato bene. Ricordo di aver marcato Lulù Oliveira. Ma quella semifinale è stato un grande traguardo per i rossoblù che in quel periodo avevano davvero una signora squadra».

Il suo rapporto con l'isola?
«Ho casa a Porto Cervo, precisamente a Cala del Faro. Proprio ieri mio fratello mi ha mandato due foto dove io, Walter Zenga, Riccardo Ferri e Beppe Baresi eravamo a Costa Rei. Avevamo 20 anni e avevo appena finito il militare. Ricordo che poi siamo andati al Tanka Village. La mia prima volta in Sardegna e su un aereo è stata per un torneo giovanile a Santa Teresa. Avevo 15 anni, con l’Inter abbiamo vinto battendo in finale il Torino».

Ha amici in Sardegna?
«Diciamo conoscenze. Tra le tante persone che conosco cito la signora Rita, una donna eccezionale, lei è il nostro referente nel villaggio a Porto Cervo».

Matteoli prima compagno di squadra e poi avversario.
«Gianfranco è soprattutto una persona perbene. Il primo giocatore, dopo c’è stato Pirlo, trasformato da trequartista a regista davanti alla difesa. Mi diceva sempre: “quando hai la palla dammela anche quando ho l'uomo addosso, poi ci penso io”. Per noi difensori voleva dire tanto, ci sentivamo più sicuri. Ha avuto fretta di andare via dall’Inter, se restava con noi avrebbe giocato lui. Ma il richiamo della Sardegna è stato fortissimo. Mi è dispiaciuto tanto quando ha firmato col Cagliari. Gianfranco Matteoli è un uomo con dei valori importanti».

Vi sentite ancora?
«Non ci sentiamo al telefono. Ma quando ci incontriamo è festa. C’è stima reciproca. Quando è stato mio compagno di squadra ho capito al volo che con lui sarei andato d’accordo».

Pietro Paolo Virdis era difficile da marcare?
«Un giocatore intelligente, sapeva fare tutto. Per un difensore non era facile. Difendeva bene la palla, di testa era bravo. L’unico suo punto debole era la velocità. Col Milan di Sacchi ha espresso il suo potenziale».

Con Zola siete amici?
«Il contatto con lui l'ho avuto dopo che ha smesso di giocare. E' venuto spesso ospite a Sky, parlare di calcio con Gianfranco fa piacere, i suoi giudizi non sono mai sopra le righe. Lui è stato costretto ad andare via dall'Italia per esprimere il suo talento. Allora in Italia il numero 10 non sapevi dove metterlo. O faceva la seconda punta o aveva difficoltà. Al Chelsea ha fatto vedere cosa sapeva fare, non è un caso che ancora oggi i tifosi lo ricordino con affetto».

Il suo amico Zenga ora è sulla panchina del Cagliari.
«Gli voglio un bene dell’anima. Per tanti anni in ritiro abbiamo diviso la camera. In questi giorni ci siamo messaggiati. Tante volte alle persone vengono date etichette senza conoscerle. A Walter è successo. Va lasciato lavorare perché ha idee, entusiasmo. Secondo me è nella squadra giusta. Quando dicono che ha vinto in Serbia e Romania tendono a sminuire ciò che ha fatto ma non sanno che vincere è difficile ovunque».

Un ricordo indelebile del Mondiale del 1982?
«Il traguardo più bello. Ringrazierò sempre Bearzot, lui è stato il mio secondo padre. Papà è morto quando avevo 16 anni, Bearzot mi è stato vicino. I compagni di quella magnifica avventura mi hanno aiutato tantissimo. Sono dei fratelli».

Uno in particolare?
«Più che altro un ricordo: Tardelli il giorno prima della finale mi dice: “tu marcherai quello biondo”. Parlava di Rumenigge e il giorno dopo quando il ct mi comunicò che avrei giocato dall’inizio, confesso che un po' le gambe hanno tremato. Ma in campo no».

Lei è tra quei pochi giocatori che hanno indossato una sola maglietta, come Franco Baresi, Francesco Totti, Paolo Maldini...
«Ora faccio il tifo per Donnarumma, spero segua il nostro esempio. Ha solo 21 anni e già 150 partite in serie A. Il suo naturale percorso è restare al Milan tutta la carriera».

Nicolò Barella all'Inter è nel posto giusto?
«Penso di sì. Antonio Conte è bravo, tira fuori le qualità migliori dai giocatori. È un ragazzo ha temperamento e gli piace anche per questo. Quando Barella era a Como l’ho visto più volte, si capiva che avrebbe fatto strada. In Nazionale si è guadagnato la fiducia di del ct Roberto Mancini, per me diventerà un campioncino».

Il Cagliari col presidente Giulini al timone potrà in futuro avere delle ambizioni?
«Fino a qualche anno fa pensavo che avrebbero vinto solo le squadre dai grandi fatturati. Poi è esploso il fenomeno Atalanta. Il coraggio di lanciare i giovani, valorizzare il vivaio e fare scelte oculate, le carte vincenti. Il club di Percassi è il modello a cui ispirarsi. Il Cagliari ha un presidente ambizioso, tra qualche anno avrà uno stadio nuovo. Lì c'è un forte senso di appartenenza, chi indossa quella maglia si lega all'ambiente. Ho parlato con diversi giocatori del Cagliari e mi raccontato detto questo».

Ma questa estate, forse, a Porto Cervo lei non potrà andare. Dispiaciuto?
«Intanto non è sicuro che vada così. Sono tre anni che andiamo a Santa Giusta. I miei figli hanno fatto amicizie lì e noi genitori abbiamo fatto altrettanto, diventando una bella comitiva. Ci divertiamo da matti. Le confesso una cosa: io e la mia famiglia non vogliamo rinunciare alle vacanze in Sardegna, non ne possiamo fare a meno».

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