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L'intervista

Pavoletti: «Sono rimasto a Cagliari perché questa è diventata la mia casa»

di Roberto Muretto
Pavoletti: «Sono rimasto a Cagliari perché questa è diventata la mia casa»

Il bomber livornese si racconta dopo sei anni in Sardegna

25 gennaio 2023
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Cagliari Forse il suoi colori preferiti sono il rosso e il blu. Leonardo Pavoletti si è cucito addosso la maglia del Cagliari. È da sei anni in Sardegna, ha timbrato 150 presenze, realizzando 42 gol, molti dei quali decisivi. Non è scappato dopo la retrocessione in serie B, è voluto restare per dare una mano a riconquistare quel patrimonio chiamato serie A, dilapidato nella disgraziatissima nottata di Venezia. Leo è sempre in prim fila, sa assumersi le responsabilità, è una persona schietta, leale, che dice quello che pensa. E anche in questa chiacchierata non si smentisce.

Da "riserva" a indispensabile, possiamo definirle schizzofrenie del calcio?

«Di indispensabile non c'è nessuno. Ci sono dei momenti che stai fuori e altri in cui diventi un giocatore più importante. Fa piacere dopo anni difficili. La mia voglia di dare un contributo al Cagliari c’è sempre stata, quello che desidero è essere utile alla squadra, anche se non gioco».

Quando non era titolare ha mai pensato di andarsene?

«Mai. Forse l’anno dopo il secondo infortunio al crociato la tentazione c’è stata. I primi sei mesi giocavo col contagocce, poi è cambiato tutto. Dopo la retrocessione non era semplice, però non mi vedevo da altre parti».

Cosa ha portato Ranieri nello spogliatoio?

«È una persona incredibile. Mai trovato un allenatore così. Con i risultati che ha ottenuto non sta sul piedistallo, si pone in modo umile, gentile, educato, ti fa venire voglia di dare il 110 per cento negli allenamenti e nelle partite».

L'umiltà e la praticità sono le sue qualità migliori?

«È un uomo concreto. La frase che mi ha colpito molto uno dei primi giorni è stata questa: “vi ho guardato e ora guardo la rosa, sono io che mi metto a vostra disposizione. Il mio compito è quello di mettervi nella condizione di giocare al meglio”. Questo ti rende un giocatore pensante in campo, il mister vuole che trovi la soluzione migliore in quel momento. È davvero un grande».

Lei ha avuto diverse richieste la scorsa estate, che cosa l'ha convinta a non muoversi da Cagliari?

«Ho trovato una città in cui vivo bene, la mia famiglia è felice. Mi sono reso conto che la qualità della vita è importante per il lavoro. Questa città mi ha conquistato. Tante volte ne parliamo con mia moglie, non ci vediamo altrove».

Siete a 15 punti dalla capolista e a dieci dal secondo posto, meglio lasciar perdere promozione diretta e pensare ai playoff?

«Anche su questo il mister è stato chiaro: la promozione diretta è al momento difficile, però è giusto provarci e non arrendersi. Vedremo che cosa succederà, noi puntiamo più in alto possibile. L'entusiasmo ritrovato può essere la spinta decisiva e ancora non abbiamo espresso tutto il nostro potenziale».

Ha ragione chi dice che non vi siete subito calati nella realtà della serie B?

«Credo che la rabbia per la retrocessione non ci ha consentito di interpretare la B come avremmo dovuto. In questo campionato prevale l'agonismo, il gioco sporco. In certe situazioni devi buttare via palla, in altre temporeggiare. Le marcature devono essere più strette, più determinate. Quest'anno in B siamo considerati una “grande”, in A eravamo una “piccola”. Gli avversari contro di noi hanno grandi stimoli, per loro è motivo d’orgoglio batterci. Forse non eravamo preparati bene mentalmente».

Pavoletti e i tifosi, che cosa è successo dopo la gara contro il Perugia?

«Non volevo polemizzare, capisco i tifosi, erano demoralizzati. La squadra veniva da un momento difficile, il mio ero soltanto un invito a restare tutti uniti, una richiesta di aiuto. La nostra gente non ci ha mai fatto mancare il suo caloroso sostegno».

Ranieri ha detto che Kourfalidis gli sembra il nipotino di Barella, lei che ne pensa?

«È un ragazzo che ha qualità. Ha avuto un piccolo calo ad inizio anno, forse ha sentito la pressione, si stava perdendo. Poi è stato bravo a rimettersi in gioco. Mister Liverani prima e ora mister Ranieri gli hanno dato fiducia e lui ha risposto alla grande. Ci vedo tanto di Nicolò: gamba, voglia, intraprendenza. “Kourfa” è un ragazzo sempre sul pezzo».

Che cosa le ha insegnato diventare padre?

«È stata la gioia più grande della mia vita. Nell'ambito lavorativo mi ha insegnato ad essere paziente. Prima non riuscivo ad esserlo. Nel quotidiano mi ha insegnato impegno e costanza. Rispetto a quattro anni fa sono più riflessivo, lo sono diventato con i bambini. Diciamo che mi alleno a casa».

Dove si vede quando smetterà di giocare?

«Ogni tanto ci penso. Parlando con Pisacane, che si è già ritirato, mi ha detto che all’inizio non sai cosa fare e soprattutto che cosa sai fare oltre al calciatore. Mi piacerebbe lavorare con i giovani».

È scaramantico?

«Non lo sono. Credo nella routine per creaare la settima a giusta Allenamento, pranzoe riposinoo. Ma non è un’ossessione».

Quindi ha un rito prima delle partite?

«No. Col Como non ho fatto i soliti esercizi prima della gara, eppure è andata bene lo stesso».

Si è mai dato una spiegazione dopo una retrocessione che ha dell'incredibile?

«Credo che i due anni vissuti con l'acqua alla gola ci abbiano tolto tutte le energie. Dopo la grande cavalcata con Semplici verso la salvezza e una nuova rincorsa, alla fine è sparita la forza mentale, eravamo persone vuote, consumate».

Ha realizzato tutti i sogni?

Ne ho realizzato tanti. Mi piacerebbe arrivare alla partita con la gioia di giocarla,senza troppe pressioni, ma non ci riesco. Ci lavoro ma sarà difficile togliermi la voglia di dimostrare sempre qualcosa. Mi piacerebbe essere spensierato. Credo sia scontato dire che sogno il ritorno in serie A con il Cagliari, è quello che si merita la nostra gente».

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