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Alessandro Dore: l’esordio in A, le triple e l’urlo liberatorio dopo anni di sacrifici

di Antonello Palmas
Alessandro Dore: l’esordio in A, le triple e l’urlo liberatorio dopo anni di sacrifici

Il 18enne talento della Dinamo e della Torres, di proprietà del Sant’Orsola e appartenente a una famiglia di cestisti, racconta la prima volta nella massima serie. «Nel 2022 mi ruppi il crociato, ma sono tornato più forte con tanta forza di volontà»

14 maggio 2024
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Sassari Chissà quante volte l’aveva sognato: migliaia di spettatori che esplodono dopo una sua tripla, poi un’altra subito dopo. È accaduto davvero, in maglia Dinamo contro Reggio Emilia, e nel “suo” PalaSerradimigni, dove Alessandro Dore non è nato, ma quasi. Per il 18enne, 4° anno al liceo scientifico con indirizzo sportivo del Canopoleno, cartellino di proprietà del Sant’Orsola (una delle grandi fucine della palla a spicchi isolana) l’esordio contro Reggio Emilia all’ultima giornata è stato unico. D’altronde è un po’ il suo momento, un momento... Dore: talento da vendere, tiro come pochi, è protagonista anche in C con la Torres che sta lottando con Sennori nella serie di finale regionale, e con l’under 19, anche qui in finale regionale contro l’Olimpia Cagliari.

Tripla felicità «Sì, un momento bellissimo – dice lui – che mi sono goduto poco, perché sono concentrato sul presente che si chiama serie finale dei playoff di C con Sennori. Anche se siamo sotto per 0-2, crediamo ancora di potercela fare. Non ero mai stato convocato se non nella pre-season, ce l’ho fatta in extremis. Com’è stato? Un mix di emozioni clamoroso. Sentivo crescere il profumo dell’esordio, poi a 5’ dalla fine coach Markovic mi ha detto di prepararmi perché a -3’ sarebbe toccato a me e ho sentito un po’ di tensione… Ma quando sono entrato ero davvero felice, tutta la squadra e il coach mi hanno supportato, sono stati davvero super. E poi, al palazzetto: per me è stata una cosa speciale, perché lo frequento da quando avevo sei mesi. Davvero: mi ci portavano i miei, così sono sempre stato un po’ il ” “bimbo” del settore B».

La tripla e l’urlo Un boato alla prima tripla, con tutti gli occhi su di lui, poi un altro per una bomba in step back. «Un boato così non lo avevo mai sentito, non so se si è sentito ma ho lanciato un urlo fortissimo di felicità dopo il secondo canestro, liberatorio. Tutta quella gente che esulta, un’emozione indefinibile». In quel momento Alessandro ha capito che era valsa la pena di fare tanti sacrifici. Due anni fa un brutto incidente al crociato rischiò di stroncargli la carriera, il 14 marzo 2022. «Quell’infortunio mi ha cambiato come persona e come atleta. L’estate successiva l’ho trascorsa ad allenarmi 3-4 ore ogni giorno costantemente, per cercare di tornare forte quanto prima e anche più. Poi l’altra batosta del menisco a gennaio mentre stavo per rientrare, ma al Next Gen (la grande vetrina U19) volevo esserci e ci sono riuscito giusto “al pelo”, do po 344 giorni dall’incidente, indossando il tutore. Mi alzavo alle 6 del mattino per la fisioterapia con Simone Unali prima di andare a scuola, quindi sessione di pesi dopo pranzo con Matteo Boccolini, e allenamenti al tiroda solo per tenere la confidenza con la palla. Tutti sforzi che al rientro hanno pagato. Ora sto lavorando anche sul fisico con Sandro Cozzula per fare in modo che non capiti più».

Una stanza a spicchi La sua stanza è una sorta di museo del basket: «Ci sono palloni, scarpe, canestri. L’ho detto, sono proprio malato per questo sport. Non posso neanche dire: vado in camera per staccare un po’, perché lì dentro tutto mi parla di basket». D’altra parte viene da una famiglia che non lo ha certo dissuaso: «Tutti baskettari, mio padre Gianni ha arbitrato così come mio zio Giuseppe, mia madre Roberta Mura è un’ex giocatrice del Sant’Orsola, e poi c’è Massimo Chessa, ex guardia della Dinamo, mio cugino. Da quando sono nato respiro basket». Di Alessandro dicono che è molto determinato: «Sicuramente sono un agonista puro, uno che non si tira indietro di fronte alle sfide, odio perdere più di chiunque altro. Tecnicamente, mi contraddistingue il tiro, nel quale mi sono rifugiato quando ho avuto problemi fisici. Mi riesce naturale, ma ci ho anche lavorato. È il mio marchio, come dicono molti c’è sicuramente qualcosa del Dna di Massimo. Ora devo costruirci altro attorno: maggiore capacità nell’uno contro uno. E magari in difesa. Se voglio fare il salto ».

Il futuro Il suo modello non poteva essere che un tiratore come Stephen Curry, ma anche Michael Jordan e Kobe Briant. «Per avvicinarci alla realtà italiana, Massimo è stato il mio esempio sin da piccolo perché di un sogno ha fatto il suo lavoro. E quest’anno ho appreso molto da Alessandro Cappelletti, che di crociati ne ha rotto tre, ma è lì a giocare in Serie A e se lo merita tutto. Mi piace molto il suo stile da play, il ruolo al quale mi devo adattare, vista la mia tipologia fisica». Ma viene paragonato anche a Marco Spissu: «Forse per la “cazzimma” di noi sardi, entrambi tiratori, entrambi non altissimi, con non molta difesa (ride)... Mi fa piacere, siamo amici, lui è andato lontano, anche in Eurolega». Alessandro la carriera la deve ancora costruire, ma lontano dai grandi giri del basket giovanile nazionale, il rischio è bruciarsi facendo la comparsa: «Certo, infatti ho sempre pensato di andare fuori per fare esperienza e crescere, ma tra Covid e infortuni ho perso anni importanti. L’idea di provare un’avventura da solo lontano da Sassari mi intriga molto, ci sto pensando. Ma devo essere pronto».

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