La Nuova Sardegna

Chernobyl oggi negli scatti di Niels Ackermann

Chernobyl oggi negli scatti di Niels Ackermann

Il fotografo svizzero ha aperto a Sassari la rassegna “Menotrentuno” organizzata da Su Palatu

26 luglio 2016
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SASSARI. L’indagine sul concetto di terra madre inizia dall’Ucraina trent’anni dopo il disastro di Chernobyl. È spettato a Niels Ackermann, che è svizzero di nascita ma a Kiev vive da qualche tempo, inaugurare mercoledì alla Frumentaria di Sassari la quinta edizione della biennale internazionale di fotografia “Menotrentuno” (info su menotrentuno.com), organizzata da Su Palatu e quest’anno intitolata “Homeland”. In pratica, una staffetta di quindici fotografi sotto i trentun anni d’età, che fino ad ottobre passerà per dieci comuni della Sardegna. Al momento, oltre a Sassari, sono già coinvolte Cagliari con la mostra di Tiziano Demuro intitolata “Le affinità elettive”; Arzachena con “Okoem, lo spazio intorno” di Yevgeny Nakonechnyy (Russia); il centro storico di Lodine con “Idomeni, il territorio in-certo” di Orestis Seferoglou (Grecia) e “Four Seasons” della fotografa abruzzese Serena Vittorini; le strade di Villa Verde con “Il cielo è in terra” di Alice Myers (Gran Bretagna) e “Il villaggio di Dubininkai” di Kotryna Ula Kiliulyte (Lituania). Tutti i lavori, ciascuno dalla sua prospettiva, seminano domande – a volte tentano risposte – sull’idea di casa, di nazione e di appartenenza, tenendosi lontani dalla retorica della patria con la “p” maiuscola. Lo sguardo si concentra, invece, sui confini geografici e mentali, sulle periferie, sui legami di sangue o di elezione. Proprio come fa Niels Ackermann, il primo della staffetta. E non è un caso che Salvatore Ligios e Sonia Borsato, gli ideatori della rassegna, abbiano affidato proprio a lui e al suo “Angelo Bianco” (a Sassari fino al 7 agosto) il ruolo di capofila. Prima di tutto perché il fotografo svizzero, classe 1987, è corteggiatissimo dalle riviste internazionali, oltre ad essere tra i fondatori dell’agenzia “Lundi13”, che ha tra i suoi clienti anche il New York Times e Le Figaro. E poi, soprattutto, perché con i suoi scatti il giovane fotoreporter da dell’Ucraina un ritratto che si discosta dai reportage apocalittici, senza tuttavia peccare di ingenuità o di eccessivo ottimismo.

La terra madre di Ackermann, anzi del gruppo di ragazzi che ha fotografato nel corso di tre anni, è la città di Slavutych, costruita subito dopo la catastrofe di Chernobyl per ospitare gli addetti alla centrale e le loro famiglie. Un luogo pieno di contraddizioni, dove le infrastrutture moderne cozzano con una profonda crisi economica. Eppure nell’ “Angelo Bianco” affiora una vitalità inquieta, che si interroga sul futuro ma decide di viverlo con la passione di chi è ancora giovane. Giovane come il personaggio chiave del reportage, Julia, che Ackermann segue per tre anni. Dalle avventure sentimentali e le bravate post-adolescenziali fino al lavoro nelle strutture ancora funzionanti dell’ex centrale nucleare. E fino al giorno del matrimonio della ragazza, fissato in uno degli scatti più belli e stranianti del progetto. (grazia brundu)

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