La Nuova Sardegna

La Storia di Sardegna, come la Nazione divenne Regione. Il “nodo” Statuto

Angelo Castellaccio
La Storia di Sardegna, come la Nazione divenne Regione. Il “nodo” Statuto

Con La Nuova in edicola dal 15 dicembre l’ultimo volume della collana. Le considerazioni di Francesco Cesare Casula chiudono l’opera

15 dicembre 2017
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Nell’ottavo volume della Storia di Sardegna di Francesco Cesare Casula la parte contributiva, innovativa, è sostanzialmente assente, lasciando il posto all’edizione di documenti (ma non solo) di interesse per la conoscenza delle vicende isolane ed in particolare ad un corposo apparato critico, fondamentale, sul piano scientifico, per la giustificazione delle affermazioni contenute nei primi sette volumi od anche la ripresa di posizioni discordanti su una medesima tematica, dove l’Autore si lascia andare ad interessanti e problematiche considerazioni.

Segue un indice che consente al lettore la comoda individuazione (per lemmi, non per pagine) di nomi e località. Tra i tanti documenti e fonti narrative editi piace ricordare le lettere del pontefice Gregorio Magno; le parole con cui il Venerabile Beda, forse il più grande storico dell’Alto Medioevo, accenna alla sepoltura, in Pavia, delle spoglia di Sant’Agostino, di recente traslate dalla Sardegna per la paura che si aveva che venissero profanate dai Musulmani; il giuramento dei giudici al momento dell’intronizzazione; la descrizione dello stemma araldico del Regno di Arborea mutuata dai pressoché inediti “Procesos contra los de Arborea” custoditi nell’Archivo de la Corona de Aragón di Barcellona; l’analitica relazione sulla visita dell’imperatore Carlo V ad Alghero nel 1541; diversi capitoli dello Statuto fondamentale del Regno di Sardegna, del 1848, che insieme con la Fusione del 1847 chiude la lunga storia dell’autonomia statuale dei Sardi.

Esprimendosi in merito, in una tematica oggetto di interpretazioni di storici e politici, Casula ritiene che «non fu il 29 novembre 1847 il nostro momento più luttuoso, quando per la perfetta fusione col Piemonte rinunciammo all’autonomia del “regno”, ma, semmai, il 17 marzo del 1861, quando perdemmo quest’ultimo, sacrificato sull’altare del Risorgimento italiano e trasformato… nell’anonima parte di un tutto». Amaro è, a questo punto, il suo commento, dato che: «Col cambio del nome allo Stato, da Regno di Sardegna in Regno d’Italia, la nostra storia torna ad essere regionale, all’interno della più generale storia d’Italia, difficile da compendiare perché la scelta degli avvenimenti locali da parte del manualista è necessariamente parziale e inevitabilmente criticabile».

Continua scrivendo che malgrado questi gravi mutamenti istituzionali l’antico ordinamento dello Stato sardo ha continuato ad esistere, «né questa continuità è venuta meno – precisano i manuali di Diritto costituzionale – per gli avvenimenti come la rivoluzione fascista dapprima, e quella antifascista in seguito, ed il passaggio dalla forma monarchica a quella repubblicana».

Riemergono in questi concetti la già ricordata “Dottrina della statualità” e la visione “sardista” di Casula, che si differenzia da quella classica del PSD’Az in quanto questa fa leva sulla diversità (lingua in particolare, ma anche l’isolamento), laddove la sua si fonda sulla “specialità” della Sardegna, l’unica tra le regioni d’Italia a potersi vantare di essere la Madre dell’attuale Repubblica Italiana per aver dato i natali al Regno di Sardegna, poi modificatosi (ma solo) nell’intitolazione in Regno d’Italia, possedendo con ciò un titolo che le altre regioni, a prescindere dal peso politico, dal ruolo economico e dalla valenza demografica, sicuramente non hanno.

Casula va oltre, precisando che l’esaltazione di un’identità che col tempo va sempre più rarefacendosi non porta alcun contributo al problema isolano, che è principalmente quello del rapporto col resto della Nazione. Per Lui, poveri come siamo di vicende umane da magnificare, l’unica strada per contare qualcosa all’esterno, con effetti benefici in tutti i campi, è infatti quella della statualità, che ci distingue dalle altre regioni in quanto, senza di noi e del nostro passato, per quanto misero, non ci sarebbe oggi l’Italia.

Un dato di fondo emerge dalle riflessioni del Casula: «nell’arco di tempo che va dal 1861 al 1948 nasce la Questione sarda, cioè la coscienza politica di aver perso con la Fusione e l’Unità nazionale le possibilità di autogoverno offerte, anche se a livello più teorico che pratico, dagli Stamenti parlamentari, insieme con la convinzione che solo con un’autonomia amministrativa si sarebbero risolti i problemi dell’isola». Purtroppo, ci vorrà molto tempo per maturare, da noi, questa coscienza autonomista. L’Autore si rifà quindi al bel libro di Mariarosa Cardia, “La nascita della Regione Autonoma della Sardegna”, nel quale si ripercorre passo passo la storia degli anni del primo Dopoguerra. Per Casula è triste rilevare che lo Statuto speciale per l’autonomia della Sardegna non si ottenne per specifica richiesta dei Sardi, trattandosi di una legge impostaci dall’Assemblea Costituente italiana sul solco dello Statuto siciliano concesso due anni prima, dopo un rapido esame degli articoli e senza la discussione generale. Invero, i tempi premevano, essendo prossima la scadenza del mandato, così per la Sardegna fu plagiata in fretta e furia, e male, l’autonomia siciliana, tanto che (a detta di Emilio Lussu) il testo statutario risultò «assolutamente insufficiente».

Eppure, con questo Statuto ci conviviamo da settant’anni. Si dovrebbe, pertanto, secondo Casula, riscrivere uno Statuto speciale al limite della sovranità, fondato su tre verità fondamentali: 1-La Sardegna è l’isola più periferica nel Mediterraneo, e per questo rivendica un’effettiva, illimitata continuità territoriale. 2-La Sardegna è una Nazione con proprio territorio, propria storia, propria lingua, proprie tradizioni, propria cultura, propria identità ed aspirazioni distinte dal resto della Nazione italiana. 3-La Sardegna è la base istituzionale dell’attuale Stato italiano. Tale benemerenza dovrebbe essere riconosciuta dalla scuola, dai mass media, dall’immaginario collettivo nazionale. Al riguardo, riflette con rammarico Casula che nel presente, invece d’imporre a scuola lo studio delle vicende, belle o brutte, del Regno di Sardegna fino al cambio del nome nel 1861, tutto lo studio della storia politica e militare, dell’arte, della letteratura, così come tutto l’immaginario collettivo della nostra odierna Nazione, sostenuti dai programmi scolastici ministeriali, dai giornali, dalla televisione, dalla cinematografia, ecc., si basano sull’inganno di confondere la penisola italiana, cioè una parte del territorio statale (dato che a volte perfino le isole maggiori ne vengono escluse), con l’Italia-Stato nella sua globalità, che comprende tutti noi, insulari e peninsulari. Così, si studiano le vicende dell’Italia geografica dagli Etruschi ai Romani, dai Bizantini ai Longobardi fino ad arrivare ai Piemontesi che, secondo la storiografia tradizionale, avrebbero realizzato ex novo l’attuale Stato italiano.

Con ciò, si entra in un campo più politico che accademico, dunque di competenza altrui e sul quale per uno studioso non è corretto esprimersi. Riflettendo sulle nostre vicende, Casula conclude amaramente il suo lavoro con la constatazione che in duemila anni di storia noi sardi non abbiamo mai prodotto collegialmente niente di positivo, e che le poche volte che ci è capitato di poter indirizzare il nostro destino abbiamo sbagliato tutte le scelte di miglioramento politico, sociale, culturale ed economico, ieri come oggi. Credo, a questo punto, sia proprio il caso di ricordare il classico modo di dire: Nemo propheta in patria.

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