La Nuova Sardegna

La Rivoluzione e l’isola chiusa nel suo passato

di Alessandro Marongiu
La Rivoluzione e l’isola chiusa nel suo passato

Domani in edicola per Scrittori di Sardegna “Morire per una notte” di Giorgio Todde 

15 marzo 2018
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Giovanni ha un’idea, e una ne ha anche Joseph. Quella di Joseph più precisamente è un’Idea, perché riguarda l’infinito, nientemeno, ma di essa diremo in seguito. A Giovanni è venuta dopo che una mattina la modernità si è presentata nelle acque della città in cui vive con la moglie e le tre figlie e in cui è un giudice della Reale Udienza – una modernità che ha la forma di qualche decina di navi francesi pronte a cannoneggiare mura difensive, case, orti e mercati per poi procedere alla presa e della città e di questo pezzo di Regno semidimenticato al centro del Mediterraneo. Giovanni pensa – questa è la sua idea – di aprire le porte ai conquistatori per sollevare il popolo dalla sottomissione. Suona un po’ strana e contraddittoria, messa così, ma il fatto è che quegli stranieri, appena più stranieri degli attuali dominatori piemontesi, quattro anni prima hanno iniziato a spargere, pur se con un certo condimento di sangue, dei principi di libertà, uguaglianza e fraternità che a Giovanni piacciono molto. Se funzionano a Parigi, forse funzioneranno anche in Sardegna. Un tentativo val bene la pena, considerato poi che a far veci da sovrano nell’isola c’è tal Balbiano, uno che ha in gran spregio le genti che gli sono state affidate da Vittorio Amedeo III, e a cui per giunta manca pure un occhio. «A un Re e anche a un Viceré non dovrebbe mancare niente di quello che i sudditi hanno per natura, sennò che razza di sovrani sono»: appunto. Ecco allora Giovanni, che si ripete tra sé e sé «È inevitabile, inevitabile. Non è infedeltà. Non è tradimento, no», organizzare un incontro notturno per dare in gran segreto le carte delle fortificazioni a un rappresentante dei nemici: che, vuole il destino, è Joseph.

Joseph è giunto lì sui legni della Chimère assieme al fratello Claude. Sentono entrambi la mancanza di Chalon-sur-Saône e del Nord Europa e sperano di tornarci presto, ma intanto, da subito, dal momento in cui Cagliari è diventata visibile dal ponte dell’imbarcazione, Joseph è stato colpito da un elemento singolare: la luce. Una luce come non ne ha mai veduta da nessun’altra parte, neanche al Nord, e che lo illumina, in tutti i sensi. Nasce in questo modo l’idea di Joseph, anzi, l’Idea. Perché si tratta di scrivere la Storia, anche se lui ancora non può sapere fino a che punto. Combinare la chimica con la luce, magari proprio con quella luce come non ne ha mai veduta in precedenza, e imprimere la realtà su una lastra. Eliografia, la chiamerà più tardi, e altri, più tardi di lui, la chiameranno fotografia. Per ora di nomi da attribuire non ne ha; ha solo un’Idea: fermare lo scorrere del tempo e consegnare una piccola porzione di presente all’infinito.

Però, nel mentre, c’è una battaglia da combattere. Per questo motivo, dopo anni e anni, si sono riuniti addirittura gli Stamenti, e da ogni dove sono in marcia in tremila per respingere le pretese francesi: «Da tutti i villaggi della pianura intorno, dalle regioni delle miniere a Ovest, dai monti a Est del golfo, dagli altopiani, dai paesi nei boschi e dalle montagne basse ma gelate, i feudatari hanno fatto arrivare in città tutti i maschi che possiedono un cavallo, la giovinezza e il bisogno. Accorrono, si consorziano e pacificano per un poco i loro villaggi sparsi e nemici». Eppure, non è come sembra. Perché l’unione ha sì lo scopo di preservare qualcosa, ma questo qualcosa è «il sentimento eterno» che ha orientato le esistenze di servi e soprattutto di padroni sardi, diventato ormai «perfino un atteggiamento del corpo», «un’espressione del viso»: l’inimicizia. «Si uniscono, eccellenza. Non vogliono essere cancellati dal mondo», dice il Segretario di Stato Valsecchi. «No», gli risponde Balbiano, «non si uniscono. È solo apparenza. Difendono il diritto di essere nemici tra di loro, tutto qua, tutto qua e per questo diritto versano sangue». E quanto il Viceré abbia ragione, lo diranno i due secoli successivi di cronache dell’isola.

Con “Morire per una notte”, da domani in edicola con La Nuova per la collana “Scrittori di Sardegna” (a 6,70 euro oltre il prezzo del quotidiano), Giorgio Todde interpreta a modo suo – ed è come sempre un bel modo – il romanzo storico. L’opera, che ruota attorno alle manovre francesi di occupazione della Sardegna a fine Diciottesimo secolo ma che sa anche prenderne il largo, è orchestrata in atti separati da un intervallo come fosse un testo teatrale, e del teatro recupera spesso lo stile delle didascalie nelle frequenti alternanze di campo e controcampo con cui sono raccontati azioni e motti d’animo dei protagonisti. I quali, molto più delle circostanze sullo sfondo, note, stanno al centro della scena, ognuno con le personali ansie dettate dal cambiamento che si prospetta all’orizzonte, chi favorendolo, come Giovanni Angioy, chi osteggiandolo con tutte le forze a disposizione, come il Marchese di Laconi Aymerich. Estrema fascinazione suscitano l’intersezione imprevedibile tra avvenimenti sardi e invenzione della fotografia, che si direbbe frutto di fantasia se non la si conoscesse come accaduta per davvero, e la seconda parte del libro, quando le vicende dei personaggi scalzano definitivamente quelle della grande Storia.

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