La Nuova Sardegna

LiricaIl baritono sassarese 

Alberto Gazale, la barca va «Porto l’opera tra la gente E finalmente sarò Falstaff»

Alberto Gazale, la barca va «Porto l’opera tra la gente E finalmente sarò Falstaff»

Rigoletto per lui non ha più segreti, così come Macbeth, Otello, il Conte di Luna. Li ha portati, e li porta, con grandissimo successo nei teatri più prestigiosi del mondo. Per essere davvero il...

05 maggio 2018
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Rigoletto per lui non ha più segreti, così come Macbeth, Otello, il Conte di Luna. Li ha portati, e li porta, con grandissimo successo nei teatri più prestigiosi del mondo. Per essere davvero il “baritono verdiano”, come lo definisce una parte autorevole della critica per descriverne l’ampiezza, duttilità e morbidezza della voce, mancava ad Alberto Gazale solo un ruolo: quello di Falstaff, il grottesco seduttore dell’unica commedia composta da Verdi in fine di carriera. Adesso il 52enne baritono sassarese – che qualche settimana fa è arrivato nella sua città da Roma, dove vive, per un’apparizione a sorpresa di grande effetto nello spettacolo “Invito a teatro: il Verdi racconta” – è pronto a interpretarlo.

«Ho aspettato tantissimo – ammette – perché il “Falstaff” è un’opera molto complessa dal punto di vista interpretativo e della portanza vocale. Va fatta con una certa consapevolezza. Adesso ho finalmente l’età giusta per il ruolo e penso di avere una chiave per renderlo credibile teatralmente e vocalmente. Debutterò a Como questo autunno e spero che diventi uno dei miei ruoli di battaglia».

Nel frattempo lavora tanto, tra l’Arena di Verona, il Comunale di Bologna, l’Opera di Roma, il Gran Teatro di Torre del Lago e il Bolshoi di Mosca, e ha da poco debuttato nella “Manon Lescaut” e nel “Gianni Schicchi” di Puccini.

Alberto Gazale è abituato ai teatri più belli del mondo, ma pensa che sia impoprtante far passeggiare ogni tanto l’opera lirica tra la gente. Anzi, «galleggiare, come è successo l’anno scorso per l’Estate Romana, quando abbiamo rappresentato la “Tosca” su un battello che percorreva il Tevere, dall’isola Tiberina a Castel Sant’Angelo, proprio nei luoghi dell’opera di Puccini», racconta. Risultato: «Migliaia di persone che seguivano la barca camminando per i lungo Tevere. È stato un esperimento bellissimo che ripeteremo quest’anno e quello dopo». Magari calibrando meglio i tempi: «Infatti – ricorda divertito – c’è stato qualche problemino: a un certo punto andavamo troppo veloci e qualcuno non riusciva a seguirci».

Portare le opere nel loro «habitat naturale» è un esperimento che può funzionare anche in città meno scenografiche di Roma. Per esempio, in Sardegna si potrebbe «continuare a studiare, ancora più di quanto è stato fatto, alcuni compositori interessantissimi, a partire dallo stesso Canepa, e tentare di metterli in scena nei loro luoghi. Non occorrono investimenti milionari, si può iniziare ad eseguire le partiture in forma di concerto e poi vedere se suggeriscono un interesse anche drammaturgico».

Per Gazale questo è un periodo «molto intenso ed è senz’altro il momento migliore della mia carriera». Nonostante gli impegni, però, non ha esitato a salire su un aereo per passare qualche giorno a Sassari. Impossibile resistere alla tentazione – offerta dallo storytelling “Invito a teatro”, scritto e diretto dalla giornalista Monica De Murtas – di indossare il costume di Rigoletto nel Politeama dove «quando avevo 15, 16 anni ho cominciato a fare la comparsa in quelle che allora erano le grandi stagioni del Teatro Verdi, e dove – dice sorridendo – mi sono ammalato di un male artistico che in trent’anni di carriera non mi ha mai abbandonato».

L’esibizione di Alberto Gazale nell’aria “Cortigiani, vil razza dannata” è stato uno dei momenti più applauditi di uno spettacolo itinerante che ha guidato il pubblico negli spazi meno noti del teatro costruito alla fine dell’Ottocento. «Uno spettacolo magico e vincente – commenta Gazale – come ha dimostrato l’entusiasmo del pubblico».

Un ottimo modo, assicura, per portare le persone a teatro, far vivere a chi non l’ha mai provata l’emozione del palcoscenico, e soprattutto «interrogarsi su come adattare le forme espressive a nuovi spettatori».

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