La Nuova Sardegna

Radioclave 

La Sardegna al ritmo dei Tropici

La Sardegna al ritmo dei Tropici

Rumba, funk, ritmi brasiliani, ma anche latin-jazz e atmosfere rock. Un cocktail condito con il sound ammaliante di una fisarmonica. Sono gli ingredienti sonori di “Colori”, il primo album dei...

05 maggio 2018
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Rumba, funk, ritmi brasiliani, ma anche latin-jazz e atmosfere rock. Un cocktail condito con il sound ammaliante di una fisarmonica. Sono gli ingredienti sonori di “Colori”, il primo album dei Radioclave, una band formata da otto musicisti sardi che dopo anni di attività hanno deciso di andare in sala di registrazione per sfornare un cd. Un prodotto che già dal primo ascolto sembra un gioiellino, sicuramente capace di dare una boccata d’ossigeno a chi da troppo tempo nell’isola si tura il naso per via dell’invasione incontrollata di rapper male attrezzati o di autori di dance iper commerciale.

Nelle otto tracce incise dal gruppo composto da Antonello Franca (voce, campana, guijro e claves), Valentina Casu (voce, maracas e claves), Paolo Corda (chitarra), Alessandro Zizi (fisarmonica), Marco Bande (tastiere), Sebastiano Pacifico (congas e bongò), Jacopo Careddu (batteria e timbales) e Gavino Paddeu (basso) la parola d’ordine è contaminazione. Garbata, ma totale. Al punto che questo disco potrebbe quasi fungere da manifesto antirazzista, tanto dimostra che dall’attenta mescolanza di suoni e culture – e anche di uomini, ovviamente – non si possono che ottenere ottimi risultati. I Radioclave in questo lavoro ripercorrono infatti le sonorità che hanno contraddistinto il loro sound in questi primi anni di attività, quelle che loro stessi definiscono come «influenze afro, infezioni cubane, febbri brasiliane e contaminazioni caraibiche». L’album – fresco di stampa – è stato registrato al Bertas Studio di Sassari da Mario Chessa (tranne il brano “Chi sei”, inciso invece al Rockhaus Blu Studio di Sassari da Alberto Erre, dove è stato curato anche il mixaggio globale), mentre la masterizzazione porta la firma di Tommy Bianchi, al White Sound Mastering Studio di Firenze.

Il disco comincia con un “intro” molto particolare, non fosse altro perché sull’adattamento musicale di Antonello Franca si odono i versi suggestivi del cubano Eloy Machado Pérez, noto “El Ambia”, settantotto anni. Un poeta dei bassifondi, come lo definiscono all’Avana. «Sulla clave di rumba – uno strumento musicale di percussione che ha il suono dolce ma deciso, assimilabile a un “toc” – si innesta passo dopo passo il tappeto sonoro elettroacustico, poi il Poeta della Isla Grande declama i suoi versi e dichiara le sue radici. Traducendo soltanto l’incipit: «Io sono il poeta della rumba, sono il poeta del danzòn, l’eco del tamburo. Sono la missione della mia radice, la storia del mio solar…» e così via. Pare che El Ambia inizi sempre così i suoi spettacoli.

Anche il secondo pezzo (“Dijo el rumbero”) è musicalmente ambientato a Cuba, infatti la composizione è di X Alfonso, musicista habanero molto conosciuto. Qui la clave di rumba si contorce e devìa più volte su un potente riff e una brillante ritmica funky. «Il suono – spiegano gli stessi autori delle parole – in qualche modo contraddice il testo, che invece racconta delle incertezze e delle debolezze di chi cerca una propria strada e si affida alle profezie del rumbero».

Con la terza e quarta traccia del disco (“Tomzè” e “Cores”) si fa scalo in Brasile. “Tomzè” è un pezzo chiaramente ispirato dal Tropicalismo, in particolare a uno dei suoi mentori misconosciuti, Tom Zè. «Un artista che ha scelto la strada difficile della innovazione/provocazione – precisano dal gruppo – non piegandosi mai al mercato e per questo rimanendo per anni nell’oblio, prima di venire recentemente riscoperto da David Byrne, che ne ha prodotto alcuni degli ultimi lavori. “Cores”, invece, parla di una Bahia che esplode di gioia e colori quando torna il sole dopo un brutto temporale.

Proseguendo nell’ascolto ci si imbatte in due dei brani più riusciti del disco: “Bomba a tre passi” (nel quale le chitarre sono suonate da Paolo Corda) e, soprattutto, “Uno per due”, quest’ultimo – come rivela l’autore di testi e musica, Antonello Franca – un danzòn per descrivere un rapporto di coppia che viaggia su binari troppo certi, scontati, mentre l’amore va costruito insieme cercando sempre variazioni sul tema».

L’album si chiude in bellezza con “Passi avanti”, contro la democrazia da esportazione, e “Chi sei”, pezzo caratterizzato dai fiati di Salvatore Moraccini ed Emanuele Dau.

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