La Nuova Sardegna

Gramsci, dall’isola dei pastori alla Torino operaia

di Costantino Cossu
Gramsci, dall’isola dei pastori alla Torino operaia

Venerdì 22 novembre il volume scritto da Guido Liguori dedicato al grande pensatore

19 novembre 2019
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«Pare venuto dalla campagna per sostituire l’eredità dell’anacronismo sardo con uno sforzo chiuso e inesorabile verso la modernità. Ha la testa di un rivoluzionario; il suo ritratto sembra costruito dalla sua volontà, tagliato rudemente e fatalmente per una necessità intima, che dovette essere accettata senza discussione: il cervello ha soverchiato il corpo». Così di Antonio Gramsci scrive, in un passo della “Rivoluzione liberale”, Piero Gobetti.

ANCORA ATTUALE. Oggi nel mondo Gramsci è studiato come un pensatore ancora utile a comprendere il presente. E ciò avviene soprattutto nell’ambito di filoni di pensiero non coincidenti con il variamente articolato orizzonte marxiano: i “subaltern studies”, i “post-colonial studies”, i “gender studies”; autori come Edward Said, Ranajit Guha, Stuart Hall, Gayatri Spivak, Joseph Buttigieg, Marcos Del Roio. Gramsci è uscito dai confini italiani ed europei e ha conquistato il mondo. Ma che cosa significa il fatto che questo interesse consista in rivisitazioni del suo pensiero non eurocentriche e in buona parte esterne al campo della sinistra di ascendenza marxista? E’ per rispondere a questa domanda che torna utile il ritratto tracciato da Gobetti. Orienta infatti l’attenzione, quel ritratto, verso l’universo di senso più riposto del pensiero gramsciano, dove affondano le radici, il significato della sua attualità. In che senso? Vediamo.

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SARDEGNA PROFONDA. Gramsci nasce nella periferia di una periferia. Ales, quando Antonio vi vede la luce, il 22 gennaio del 1891, è un villaggio di contadini e di pastori. Così come Ghilarza, dove la famiglia Gramsci si trasferisce nel 1895. Sardegna profonda, dove rapporti sociali e codici di valore sono quelli della tradizione, un universo comunitario ancora chiuso in una condizione in gran parte premoderna. Periferia di una periferia perché marginale e subalterno, quell’universo, rispetto alle realtà urbane, Cagliari e Sassari, che fanno da tramite, da porta d’ingresso, della modernità, una griglia selettiva che struttura la crescita civile della Sardegna secondo le modalità di un rapporto diseguale, di subordinazione, tra l’entità statale sorta dal Risorgimento e alcune delle sue articolazioni geografiche e socio-economiche: il Meridione intero. E’ perciò che, in definitiva, in Sardegna anche i contesti urbani sono, più che provincia, periferia coloniale. La rivoluzione industriale in Occidente si è intrecciata con la colonizzazione del resto del globo; in Italia, per le caratteristiche della storia nazionale, il processo più che su una dimensione esterna si è realizzato su scala interna, attraverso la subordinazione delle periferie al cuore del sistema industriale (le città del Nord) e al centro della mediazione diseguale (Roma). Una modernizzazione sbilanciata i cui effetti ancora non abbiamo finito di scontare. Gramsci vive tutto ciò sulla sua pelle di bambino e di adolescente. Nel delicato processo che struttura una personalità non è indifferente essere nato e cresciuto in un luogo, la Sardegna, segnato dal silenzio della Storia. In silenzio da sempre, la Sardegna, terra percorsa e sottomessa da eserciti punici, romani, genovesi, pisani, catalani, aragonesi, castigliani. E infine ceduta dalla Corona di Spagna a un piccolo Ducato alpino che diventava così un Regno: il Regno sardo-piemontese.

PRIVATO E POLITICO. Arrivato nella Torino delle grandi fabbriche e delle grandi concentrazioni operaie da questa estrema periferia del sistema, Gramsci fa una scelta di vita: sarà un “rivoluzionario di professione”. Vita e militanza politica, pensiero e militanza politica coincidono senza scarti. L’analisi teorica ha un senso soltanto in quanto guida all’azione. E l’azione ha un obiettivo preciso, che non è la conquista del potere fine a se stessa, ma la costruzione di una civiltà superiore che realizzi una fase nuova nella storia dell’umanità, un ordine nuovo in cui l’oppressione dell’uomo sull’uomo sia per sempre cancellata e all’hobbesiano “homo homini lupus” sia sostituito lo spinoziano “homo homini deus”.

Viene soltanto dalla formazione socialista e comunista di Gramsci tutto ciò? No, perché il silenzio al quale la storia dello sviluppo capitalistico su scala planetaria pretendeva (e pretende) di condannare il lavoro subalterno in tutte le sue forme (vecchie, nuove e nuovissime) in Gramsci viene dopo un altro silenzio, più antico: quello che Antonio ha imparato ad ascoltare ad Ales e a Ghilarza. A parlare, nel fondo del pensiero gramsciano, è il silenzio millenario delle vittime della storia, degli ultimi di tutti i luoghi e di tutte le epoche. Esattamente per questo in Italia, dove la sinistra, con effetti disastrosi, ha rinunciato ad ascoltare quel silenzio, l’interesse per l’autore dei “Quaderni del carcere” si è quasi del tutto spento o s’è ridotto a puro esercizio accademico. All’opposto, esattamente per questo Gramsci è diventato oggetto di interesse per intellettuali come il palestinese Edward Said, come il giamaicano Stuart Hall, come il brasiliano Marcos Del Roio o, sul versante dei “gender studies”, come l’indiana Gayatri Spivak. Sono tanti i luoghi del mondo in cui la vita negata, asservita, minacciata di annientamento chiede ancora con forza di uscire dal silenzio, di avere parola.

LA FIAMMA FREDDA. La vita negata. Il Gramsci più “intimo” illumina il “rivoluzionario di professione”. In una lettera a Giulia Schucht del 13 febbraio 1923, scritta agli inizi del loro rapporto per giustificare certe sue asprezze di carattere Antonio dice: «Sono da molti, da molti anni abituato a pensare che esista un’impossibilità assoluta, quasi fatale, a che io possa essere amato. Questa convinzione mi ha servito per troppo tempo come una difesa contro me stesso, perché qualche volta non ritorni a pungermi e non mi faccia rabbuiare». E pochi giorni dopo, in un’altra missiva: «Le ho raccontato tanti aneddoti della mia vita infantile, quelli pittoreschi, quelli che fa piacere ricordare. Non le ho neppure accennato al rovescio della medaglia. La mia vita è stata sempre una fiamma fredda, uno sterpeto».

CONSONANZA EMOTIVA. La “fiamma fredda” ha alimentato, nella biografia gramsciana, come bene aveva visto Gobetti, uno sforzo titanico, sovrumano, pagato per gran parte dell’esistenza con una durissima, dolorosa condizione di solitudine personale e politica. E’ questa consonanza “emotiva” di Gramsci con la vita negata – la sua stessa vita negata («il cervello ha sovrastato il corpo») – a farne un classico senza tempo. Un autore ancora studiato, ma anche un uomo che sentiamo vicino. In un presente che s’è fatto di ghiaccio, la “fiamma fredda” riscalda ancora.


 

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