La Nuova Sardegna

Il Fai pronto a salvare la villa sarda di Antonioni. Appello agli attuali proprietari: «Collaboriamo»

di Dario Budroni
La casa a Costa Paradiso appartenuta a Michelangelo Antonioni (foto di Romain Courtemanche)
La casa a Costa Paradiso appartenuta a Michelangelo Antonioni (foto di Romain Courtemanche)

A Costa Paradiso un capolavoro architettonico in rovina. Monica Scanu, presidente regionale del Fondo per l'ambiente: «Il restauro è urgente». Il soprintendente Bruno Billeci: siamo a disposizione per trovare al più presto una soluzione per la casa progettata da Dante Bini 

25 gennaio 2020
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OLBIA. La cupola di Michelangelo Antonioni non divide nessuno. Sono tutti d’accordo sul fatto che andrebbe recuperata e valorizzata. Il problema, però, è individuare la strada da percorrere, visto che si tratta pur sempre di un bene privato. «La nostra capacità d’intervento è limitata, ma siamo assolutamente a disposizione per trovare una soluzione» dice per esempio Bruno Billeci, soprintendente per le province di Sassari e Nuoro. Lo stesso discorso lo fa Monica Scanu, la presidente regionale del Fai: «Bisognerebbe sensibilizzare il proprietario e lavorare insieme a una strategia di recupero». La futuristica villa del geniale regista, costruita mezzo secolo fa a Costa Paradiso dal grande architetto Dante Bini, è appena finita al centro di una petizione su Change.org promossa da De Rebus Sardois, un portale web che si occupa di cultura, architettura e design in Sardegna. Con una raccolta firme online si chiede di strappare la futuristica casa delle vacanze di Michelangelo Antonioni e Monica Vitti dall’attuale stato di abbandono, incuria e degrado.

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IL SOPRINTENDENTE. La cupola è un vero capolavoro dell’architettura. La fece costruire Antonioni a Costa Paradiso, nel territorio di Trinità d’Agultu, qualche anno dopo aver girato “Deserto rosso” nella spiaggia rosa di Budelli. Oggi l’abitazione, che è comunque vincolata dalla Soprintendenza, rischia però di fare una brutta fine. È infatti abbandonata a se stessa. «Si tratta di un bene privato e per questo la nostra capacità d’intervento è limitata. Fosse stato un bene pubblico avremmo potuto fare qualcosa di più – spiega il soprintendente Bruno Billeci, architetto -. So che negli anni le proprietà che si sono succedute hanno presentato dei progetti di restauro, ma evidentemente le loro esigenze non coincidevano con i vincoli della Soprintendenza». Poi qualche proposta. «Noi siamo a disposizione per trovare una soluzione – continua Billeci –. Le amministrazioni locali potrebbero per esempio pensare di acquisire la struttura, anche in chiave di valorizzazione del territorio. Oppure bisognerebbe sensibilizzare l’attuale proprietà. Le strade potrebbero essere diverse e noi siamo pronti a fare la nostra parte. La tutela del bene viene prima di tutto, naturalmente».

LA PRESIDENTE DEL FAI. Monica Scanu, presidente del Fai, conosce bene la storia della villa di Antonioni. «Sono architetto e sono molto sensibile al tema. Stiamo infatti parlando di una struttura davvero importante sotto ogni punto di vista – commenta –. Essendo un bene privato, però, possiamo fare ben poco. Ma si potrebbe lavorare con la proprietà, se ha la volontà di collaborare con noi. Potremmo anche pensare di ristrutturarlo, ma è chiaro che non possiamo agire da soli. Chi ha lanciato la petizione ha proposto di rendere la cupola un luogo di visita. E anche io penso che questa sia la cosa più giusta. Per quanto ci riguarda, al momento noi possiamo parlarne, porre l’attenzione, segnalare la situazione attuale. Ma se i proprietari dovessero collaborare con noi si potrebbe fare molto di più».

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IL CAPOLAVORO. La casa vacanze a forma di cupola di Antonioni e della sua compagna dell’epoca, Monica Vitti, appassiona e affascina gli amanti del cinema e gli architetti di tutto il mondo. E’ una struttura progettata dall’archistar Dante Bini attraverso una tecnica costruttiva da lui inventata: il Binishell, una gettata di cemento gonfiata dall’interno attraverso la pressione dell’aria. Rem Khoolhaas, curatore della 14esima Biennale di architettura Venezia, la definì «una delle architetture migliori degli ultimi cento anni». Oggi, però, è in rovina. E così il portale De Rebus Sardois ha pensato di lanciare una petizione su Change.org, prima che sia troppo tardi.

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