La Nuova Sardegna

Stefano Siglienti, un banchiere contro Mussolini

di Francesca Pino e Alessandro Mignone
Stefano Siglienti, un banchiere contro Mussolini

Dall’Archivio storico di Intesa San Paolo la testimonianza della moglie Ines Berlinguer

26 aprile 2020
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Il nostro Archivio è in possesso di due rari volumi che descrivono, con grande efficacia, l’attività, i sentimenti, le paure della famiglia Siglienti durante il periodo dell’occupazione nazifascista. Il primo, “Così, come sempre, fino alla fine”, è il carteggio fra Stefano e la moglie Ines, centinaia di lettere scritte tra il 1913 e il 1944 che raccontano della loro storia d’amore, della prima guerra mondiale, del vento del fascismo, fino alla Resistenza. Il secondo, “Ai nipoti”, è invece un diario inedito redatto da Ines Berlinguer, da cui emergono, con dovizia di particolari, gli episodi salienti (non privi di piacevoli aneddoti) della lotta clandestina. Qui Ines ricorda una vicenda risalente all’ottobre 1943: «Ero rimasta sola a casa. Uno squillo mi fece trasalire. Mi feci coraggio ed aprii: si presentarono due uomini mal messi, aspetto stanco, sofferente, barba lunga; certo non avevano l’aspetto di poliziotti o di spie, ma chi erano? Cosa volevano? Breve il dubbio, una parola d'ordine di cui ero a conoscenza chiarì tutto: erano Leo Valiani e Renato Pierleoni. Venivano dal Messico, dopo, credo, aver attraversato mezza America, con relative fughe, spiate, eccetera. Per prima cosa mi consegnarono una capace borsa contenente un milione! In biglietti di taglio normale. Erano tanti. Era stato loro consegnato dagli alleati per le Forze di Liberazione del Partito d’Azione di cui mio marito era amministratore. Una somma enorme in quei tempi. Dove nasconderli fino al momento dell’utilizzazione? Nel solito sottocassetto del comò della nostra camera».

Quello stesso milione emergerà, nuovamente, nel drammatico racconto di Ines sull’arresto del marito, avvenuto il 19 novembre 1943 e riportato nel carteggio: «Rientro a casa, trovo alla porta Lina che in fretta mi dice: “Ci sono i tedeschi!”. Di tutta fretta, da un sottocassetto, prendo un pacco di biglietti, un milione, avuto dal Fronte clandestino per la lotta di Liberazione, ed un libretto con i conti esatti delle spese e indirizzi di amici. Quanta ingenuità! Butto per terra, dove erano le lenzuola, il pacco dei soldi, ed il libretto riesco a darlo a Lina, che prende una grande federa, piena di carte compromettenti e la butta nel terrazzo del vicino. I tedeschi, dopo una lunga perquisizione, si portano via Fanuccio. Ho nello stomaco una morsa che mi toglie il respiro. Si è fatto buio. Metto il catenaccio alla porta e ritiro, tremando, il fagotto dal terrazzo del vicino. Poi, cassetto per cassetto, libro per libro, cerco di togliere, se ancora ce ne sono, documenti e carte del nostro lavoro clandestino. Mi ricordo improvvisamente che in cantina, in un cestino, ci sono mille numeri dell’Italia Libera, mandati da Milano per distribuirli. Bisogna distruggerli, ma come? Nel pomeriggio mi viene a trovare un impiegato fedelissimo del Fondiario Sardo. Decidiamo di portare via i giornali. Verso l’imbrunire, con aria disinvolta, ci avviamo a piedi verso il Ponte Cavour e in un attimo buttiamo il pesante fardello nel Tevere. Abbiamo un minuto di terrore, vicino a noi c’è un camion di tedeschi. Meno male era solo in panne. Ritorno a casa, sono meno disperata, anche perché ho portato via tutte le prove che potevano, in caso di un’altra perquisizione, aggravare la situazione di Fanuccio e di tutti. Dove sarà? Me lo staranno torturando?».

Stefano Siglienti fu inizialmente imprigionato in via Tasso, nella famigerata sede delle SS utilizzata come luogo di reclusione e di tortura, e successivamente trasferito nel terzo braccio di Regina Coeli, dove nello stesso periodo erano rinchiusi anche Giuseppe Saragat e Sandro Pertini. Per puro caso scampò alla strage delle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944), essendo stato trasferito solo qualche giorno prima alla caserma della Cecchignola, arruolato per effettuare lavori di sterro sul fronte di Anzio. Riuscì a fuggire il 25 marzo insieme a Carlo Muscetta, grazie all'intervento delle rispettive mogli:

“Partiamo a piedi, cariche di viveri e con una discreta somma. Più tardi vengono i mariti che, grazie agli amici tedeschi, erano stati esonerati per la giornata dal servizio al fronte di Anzio. Siamo quasi felici; per la prima volta, seduti su due luridi pagliericci, consumiamo assieme un ottimo pranzetto. I sorveglianti, paghi delle loro mance, ci guardano da lontano e sono d’accordo per l'evasione.”

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