La vita è una favola, le lettere e i racconti dei ragazzi del progetto La Nuova@Scuola
Biancaneve e Aurora alle prese con il virus, lettere intime, racconti e sorrisi. I ragazzi ci regalano con i loro scritti pillole di maturità e ci offrono spunti di riflessione. Storie speciali aspettando il ritorno alla normalità
Cosa racconterò ai miei nipotini della mia guerra
Sin da quando ero bambina mi hanno affascinato le storie sul passato. Amavo sedermi di fronte a mio nonno per farmi raccontare i suoi ricordi di guerra. Ma io, cosa racconterò ai miei nipoti quando i ruoli si invertiranno? Anche loro penseranno, come a volte ho fatto io, che molti racconti siano stati generati dalla fantasia e non basati su storie realmente accadute? Racconterò che la vita è una favola o, meglio, un libro di favole che quando ero molto giovane un nemico aveva iniziato a strappare una dopo l’altra. Dirò che questo nemico si era insinuato tra di noi, anche approfittando della superficialità che contraddistingue il genere umano. Spiegherò ai miei nipoti quanto sia stato difficile stare affacciati ad una finestra a vedere il mondo bloccarsi di fronte all'avanzata inesorabile di questo nemico. E dirò loro che in quella pausa dalla nostra favola abbiamo capito i veri valori: quelli che le generazioni che ci avevano preceduto, avendo vissuto la guerra e le distinzioni razziali, ci rimproveravano di non avere. E dirò anche che ci sentivamo protagonisti di una favola ma non perché fosse bello, tutt’altro, bensì perché bramavamo il nostro lieto fine. Eravamo come cappuccetto rosso nella pancia del lupo e aspettavamo solo che il cacciatore ci tirasse fuori ma con il tempo, con il susseguirsi dei giorni, abbiamo capito che il cacciatore in questa favola non esisteva. Non sarebbero arrivati gli americani a salvarci come nei campi di concentramento. Nessuno poteva rimediare, nessuno poteva lottare al nostro posto. Eravamo artefici del nostro destino. Ma come in tutti i libri di favole, anche questa ha il suo lieto fine perché ce l'abbiamo fatta. Dante Alighieri disse nella Divina Commedia «uscimmo a riveder le stelle», noi uscimmo a riprenderci la nostra vita. Prima però abbiamo dovuto sopportare a denti stretti i danni arrecati all’umanità da persone ignoranti che prendendo sotto gamba il virus: uscivano e facevamo i fiammiferi. A questo punto i miei nipoti corrugheranno la fronte e spiegherò loro che il nostro nemico non aveva volto nè gambe, ma che noi lo portavamo in giro. Come i fiammiferi, che se messi in fila prendono fuoco in successione, ma se un fiammifero viene rimosso interrompe l’avanzata del fuoco e salva chi lo segue nella fila. Infine augurerò loro, proprio come veniva augurato a me, di avere la fortuna di sentirle solo raccontare queste storie e di non viverle mai. (Enrica Zanotti ha 16 anni e studia al liceo Europeo Canopoleno)
Anche gli adulti hanno bisogno di sognare il lieto fine
Lasciate che i bambini credano nelle favole. Non insistete nel leggere ogni notte una storia diversa se vi chiedono sempre la loro preferita. Non meravigliatevi quando, piangendo, la notte tireranno le coperte del vostro lettone pregandovi di lasciarli dormire con voi perché hanno paura del drago malefico. Da piccoli abbiamo bisogno della magia, dei sogni e del classico finale «e vissero per sempre felici e contenti». Però una volta diventati grandi dobbiamo affrontare la realtá. Ma se invece esistesse un modo per vivere ancora dentro una favola? Non solo c'è, ma a causa del Covid 19 è diventato anche il nostro solo contatto con il mondo esterno. Ed ecco che il lettone di mamma e papà assume un significato tutto nuovo, con la differenza che il drago non ci intimorisce più tanto rispetto alla solitudine.In questa seconda dimensione, in questa realtá immaginaria in cui tutti vivono davvero felici e contenti, ci sentiamo liberi di esprimere noi stessi, o meglio di documentare la nostra vita con attimi di serenità impressi nel tempo. Queste immagini contribuiscono a creare la nostra favola insieme a tutto ciò che tempestivamente condividiamo su noi stessi e sul nostro pensiero. Ma è possibile conservare la nostra identità se condividiamo solo i momenti migliori della nostra giornata e i lati universalmente apprezzabili di noi stessi? Lo è nel momento in cui siamo consapevoli che si tratta solo di un altra maschera pirandelliana. I social, infatti, non sono lo specchio della nostra realtà, ma piuttosto l'immagine virtuale ancora più contorta e filtrata del nostro ruolo all'interno della società stessa. Anche se consapevoli, in questa finzione universalmente condivisa ci sentiamo al sicuro.E allora mi chiedo se forse delle favole non abbiano bisogno anche i grandi.Anche se nelle fate e nei draghi abbiamo smesso di credere da tempo, ancora permane la nostra fisiologica necessità di finzione. Il motivo per cui anche se reclusi in questa torre continuiamo a condividere ovunque la nostra felicità, è che non siamo più capaci di distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è più. La nostra quotidianità non ci ha mai fatto così paura. Ormai schiavi di una nuova routine, ci chiediamo come sarà quando questa frivola favola che continuiamo a raccontare giungerà al suo lieto fine e i social saranno di nuovo solo da cornice. (Alessia Franzil ha 16 anni e frequenta il liceo classico Azuni, corso logico filosofico)
Il piccolo mostro cattivo sconfitto dai “guerrieri”
C’era una volta un mostro chiamato Coronavirus. Si dice che fosse nato a Whun, una grande città della Cina. Era piccolo piccolo, ma cattivissimo. Nessuno sapeva come aveva fatto ad arrivare né il motivo. Poche persone speciali potevano vederlo, i ricercatori, con uno strumento speciale chiamato microscopio. Dicono che fosse una pallina verdissima con dei tentacoli rossi che usava per attaccare tutte le persone senza fare distinzioni. I ricercatori erano impegnati giorno e notte a cercare di capirne qualcosa di più ma senza risultato. Contro il Coronavirus si combatteva tutti insieme! C’era solo una regola da seguire: rimanere tutti dentro casa! L’unica maniera per sconfiggerlo il prima possibile era starsene seduti sul divano. Si poteva uscire solo lo stretto necessario per fare la spesa o recarsi in farmacia, ma bisognava farlo indossando un’armatura composta da mascherina, guanti e disinfettante perché lui li temeva. Non tutti quelli colpiti sopravvivevano purtroppo, ma ognuno di loro combatteva fino all’ultimo momento. Gli unici a poter aiutare e fare qualcosa contro questo mostro erano dottori e infermieri: veri eroi, ma senza super poteri e tuttavia sempre pronti negli ospedali a soccorrere tutti. A volte vincevano, altre no, a volte purtroppo venivano colpiti anche loro. Tutti erano spaventati, primi fra tutti i bambini e i ragazzi che prima non sopportavano la scuola ma poi la rimpiangevano perché stando a casa avevano scoperto che in fondo lì ci si diverte un mondo. L’unica cosa buona in tutto il male era che, non usando carburante, l’inquinamento si era ridotto, il pianeta Terra aveva ripreso a respirare e sorridere. Non tutti avevano capito quanto quel mostro fosse pericoloso. C’era chi usciva senza giusti motivi, non seguendo le regole e non pensando alla loro salute e né a quella delle altre persone. Ogni giorno aumentavano le persone colpite, quelle morte ma anche quelle guarite. Poi un giorno diminuivano, dopo qualche giorno aumentavano, poi la situazione era stabile. Ci si sentiva come sull’altalena. Poi, un giorno, le persone colpite erano sempre meno e quasi nessuno si ammalava più. Continuavano le ricerche per sconfiggerlo: dovevano creare un vaccino, solo che per essere efficace ci voleva tempo, forse un anno. La maggior parte delle persone però continuava a rispettare le regole e questo faceva in modo che il mostricciattolo diventasse sempre più debole. Pian piano le persone tornavano alla quotidianità anche se dovevano usare sempre le stesse armature. Poi un giorno una bellissima notizia: si era trovato il vaccino che uccideva il coronavirus! Il mostro non aveva più scampo! Piano piano tutto tornò alla normalità. Tutti erano tornati a vivere felici e contenti, ma soprattutto erano diventati tanti guerrieri più forti che mai! (Adele Demelas 16 anni, IIS Agrario Pellegrini)
Bellissima storia di corse e cadute che fanno crescere
Quando ero piccola e mi veniva letta una favola, guardavo solo gli aspetti esclusivamente positivi di questa, come il principe azzurro e il ‘E vissero per sempre felici e contenti’, non mi sono mai soffermata ad osservare quanti avvenimenti, talvolta negativi, succedessero ai protagonisti. Cercavo in tutti i modi di organizzarmi la vita fortunata che hanno le principesse ed essere quanto più felice possibile in futuro. Da poco mi sono resa conto che la mia vita è realmente una favola. È una favola perché rido pensando a quanti inconvenienti possono capitarti durante il percorso. È una favola perché mi rende immensamente felice sentirmi così viva. La vita è una favola perché quando meno te lo aspetti ti può riservare sorprese, belle o brutte che siano. È una favola perché nonostante tutto cerchi di non smettere mai di sognare. È una favola perché mi rende felice esattamente come mi ero ripromessa da piccola, e so che continuerà a farlo. È una favola perché è reale e non smetto di crescere imparando cose che mi affascinano, esattamente come se fossi ancora la Morgana che guardava ammirata i sogni realizzati delle principesse. È una favola perché è proprio grazie anche ai momenti in cui penso di non potercela fare, che ho la conferma che il finale sarà il più bello di tutti. È una favola perché mi sento grata di quello che ho ogni giorno. È una favola perché devi lottare più di una battaglia per ottenere quello che vuoi. La mia vita è una favola e so per certo che un giorno guarderò alle mie spalle il percorso duro che avrò fatto per vivere il mio ‘E visse per sempre felice e contenta’ sentendomi fiera di ogni ostacolo abbattuto e di quello che sarò diventata, e il mio lieto fine sarà il migliore che possa mai aver visto o letto. (Morgana Marongiu 16 anni, liceo Europeo Canopoleno)
Il nostro frivolo mondo fatato era un inganno
«La vita è una favola narrata da uno sciocco, piena di strepito e di furore ma senza significato alcuno». Viviamo nella perpetua frenesia del nostro progredire, fuggendo dalla monotonia. E forse Shakespeare aveva ragione nel dare alla vita una dimensione fiabesca, restituendole il suo ben più reale aspetto illusorio e fittizio. Edifichiamo la nostra persona attorno alle nostre abitudini e l’idea che questo ci possa venir tolto ci terrorizza. Nel futile tentativo di razionalizzare le nostre giornate secondo uno schema fisso, ci rendiamo succubi dei nostri stessi complessi. Schiavi del tempo, per ogni giorno che passiamo chiudendoci nella nostra bolla, perdiamo parte di noi stessi. Abbiamo paura. Temiamo che tutto questo sia una frivola favola piena di contraddizioni. E questa paura ci costringe a correre, nel disperato tentativo di disperdere i nostri pensieri più cupi nella frenesia della vita odierna, senza accorgerci di quanto ci stia consumando. Ciò che costruiamo costituisce un rifugio sicuro. Ci dà uno scopo. Ci racconta di un mondo sensato, dove abbiamo un posto, un po’ come una favola. È bello vero? Non importa cosa ci sia fuori, ma quello che ognuno di noi vede in esso. Rimodellando a nostro piacimento il finale della favola rendiamo tutto più semplice. Ma le cose si complicano quando la realtà da cui fuggivamo ci viene sbattuta in faccia, e così il nostro mondo sereno e tranquillo cade come un castello di carta. Chiusi tra quattro mura, stiamo riprendendo consapevolezza di molte cose. Sentiamo la mancanza di ciò che ci regalava un sorriso, e il sollievo di non rivedere facce che ce lo levavano. Stiamo capendo cosa davvero avesse valore, ciò che era essenziale, chi eravamo. Ma l’immagine che ora vediamo riflessa nello specchio non ci rappresenta più. Il primo impatto è forte, ma passato lo shock iniziale scopriamo che non è poi così male. Guardiamo tutto con occhi diversi, senza filtri, e ci accorgiamo di quanto la nostra quotidianità fosse avvelenata. Apriamo l’armadio e troviamo il risultato concreto del consumismo. Andiamo in cucina e troviamo alimenti prodotti da multinazionali senza scrupoli. Guardiamo una serie tv ricca di stereotipi sociali, e fuori dalla finestra, un fiore che appassisce, avvelenato dalle industrie forniscono energia. E mentre la natura si reimpossessa del suo creato, ci rendiamo conto che eravamo gli unici abitanti del nostro mondo fiabesco, disabitato da tutti coloro che non abbiamo ritenuto degni di parteciparvi. Ciò che per noi è una favola non sempre lo è per gli altri. Ora che l’uomo, mosso dalla compassione si sta allontanando dall’avidità del suo egocentrismo, forse abbiamo la possibilità di rendere questa vita una storia con un lieto fine condiviso da tutti. (Gabriele Tronza 16 anni, Liceo classico Azuni, indirizzo Logico filosofico)
Biancaneve, la matrigna e un nemico invisibile
C’era una volta una bellissima principessina di nome Biancaneve e una matrigna che aveva uno specchio magico a cui rivolgeva sempre la stessa domanda «specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?». L o specchio rispondeva sempre «Sei tu, mia regina». La matrigna, per paura che crescendo Biancaneve diventasse più bella di lei la vestiva di stracci e le faceva fare i lavori più duri, ma la ragazza continuava sempre con allegria e perciò un giorno lo specchio alla solita domanda rispose che la più bella del reame era Biancaneve, così la matrigna arrabbiata fece ordinare ad un cacciatore di ucciderla, esso senza coraggio disse alla principessa di scappare lontano. Biancaneve scappò nel bosco dove trovò una casa, entrò ma non c’era nessuno, dopo poco rientrarono 7 piccoli nani che al vedere la principessa rimasero incantati dalla bellezza. Ella si presentò e raccontò la sua storia cosicché i nani decisero di farla rimanere. Un giorno la matrigna scoprì che Biancaneve era viva e decise di andare da lei, così una mattina mentre i 7 nani erano a lavoro, travestita da vecchina con un cestino di mele bussò nella loro casa dove trovò Biancaneve, e le regalò una mela, non sapendo che era avvelenata ella le diede un morso, cadde a terra e la vecchia sparì. Ritornati i nani trovarono Biancaneve per terra così la misero sul letto e cercarono di svegliarla, ma niente. Il miscuglio che era nella mela aveva generato un virus e chi entrava a contatto con qualcuno che lo aveva, cadeva in un sonno profondo. I nani non sapendolo, toccando la principessa si contagiarono, ma il virus non si manifestò subito. L’indomani i nani andarono a lavoro e a contatto con altre persone le contagiarono, e queste a loro volta ne contagiarono altre e altre ancora cosicché in poco tempo caddero nel sonno tantissime persone. Tutto ciò però sarebbe svanito se Biancaneve si fosse risvegliata. I contagi aumentavano sempre di più, finché un giorno arrivò da lontano un principe che non era a conoscenza di ciò che stesse accadendo, arrivò nella casa dei nani e trovò Biancaneve nel letto, quando la vide rimase colpito dalla bellezza, e la baciò così la principessa si risvegliò e con lei tutte le altre persone. Biancaneve e il principe si sposarono e furono tutti guariti e contenti. (Federica Pinna 16 anni, Polo tecnico statale Dessì-Lamarmora)
La nostalgia delle occasioni perse ma che ritorneranno
Parlare di nostalgia non è semplice, ancora meno oggi perché provarla è all’ordine del giorno. Consiste in mancanze di momenti, persone, luoghi, rapporti, emozioni e sentimenti. Quando ripensiamo a ciò che è stata la nostra vita, come stanno facendo le persone adesso rinchiuse tra le mura delle loro case, tutto è amplificato e ci si sente isolati dal mondo, a passare le giornate tra libri, PC, letto e altre cose inutili ed effimere, per cercare di non fermarsi a pensare, perché se questo succede, la nostalgia appare davanti a noi, e ci manca tutto. Anche l’aria per un attimo non c’è. Mancano le occasioni, a volte perse, ed entra in gioco il rimpianto di ciò che sarebbe potuto essere, ma non è stato. Ci manca anche quello che poteva essere, manca quel qualcosa che avrebbe potuto renderci felici almeno per un attimo. Manca il contatto, gli abbracci di un amico caro, i baci del proprio amore, le strette di mano; ma non solo, manca anche il non poter vedere, il non poter guardare negli occhi le persone, se non in videochiamata. Ma lì non è come nella realtà, non si vedono le sfumature del loro colore, non si vede il riflesso di se stessi negli occhi di chi vorremmo di fronte a noi, e ci mancano quegli occhi e ci manca tutto. Ed è strano dire che mi manca tutto, lì dove dovrebbe esserci tutto ciò di cui abbiamo bisogno, in quel luogo che noi chiamiamo casa. Sì, qui c’è un pasto caldo, un letto comodo in cui riposare, spesso la famiglia, ma questo non basta, perché a noi manca tutto il resto, che si trova fuori dalle mura delle nostre abitazioni. Perché casa non è solo quel luogo in cui noi viviamo materialmente, ma è anche tutto quello che ci rende vivi e ci dà vita, tutto quello che ci rende felici e ci fa sorridere, tutto ciò che ci riempie da quei vuoti che crea la nostalgia. (Anna Maria Fenu Liceo Coreutico Azuni)
Lettera a una figlia nata vent’anni dopo la pandemia
Figlia mia, tu sei appena nata e hai una lunga e bellissima vita davanti, goditi ogni istante e ogni secondo di essa, perché la vita è una favola. Voglio raccontarti cosa capitò a me e a tutto il mondo 20 anni fa. Era il 2020 quando un re furbacchione in poco tempo conquistò tutti gli stati e limitò tutte quante le nostre vite. Per non essere suoi schiavi fummo costretti a restare a casa. Quell’esperienza così drammatica e dolorosa mi impedì a lungo di vedere le persone che amavo, di poterle abbracciare, e mi tolse la libertà. Se ci ripenso, mi viene ancora da piangere, per quanto fragili eravamo davanti alla tragedia che scorreva fuori dalle nostre case. La gente moriva ogni momento e noi ci affidavamo al tempo, aspettando con ansia la fine della guerra. Dovemmo cambiare tutte le nostre abitudini, eravamo la generazione che aveva di tutto e voleva sempre di più, e da un giorno all’altro imparammo a essere umili. Molte famiglie persero il loro lavoro e rischiavano di non avere un pezzo di pane in tavola, molte attività non videro più la luce per via della grossa crisi che il mondo stava affrontando. Ma nessuno di noi era pronto: il “re” non voleva abbandonare la sua corona e i nostri soldati stremati collassavano e diminuivano. I giorni passavano e come dalle ceneri possono nascere i fiori, noi da quella esperienza imparammo i veri valori, come la famiglia. Perché cara figlia, la famiglia non ti abbandonerà mai ! Passarono i mesi e dopo la tempesta finalmente arrivò l’arcobaleno. Una regina molto più potente di quel terribile re, gli rubò la corona di cui lui si era impossessato con tanta violenza e crudeltà e lo mandò via. Con difficoltà ritornammo alla “vita” che il Corona Virus ci aveva portato via. Tutto fuori era diverso, noi eravamo diversi. Il re seppur crudele ci fece capire che la vita è una favola , che le piccole cose non sono piccole e che la libertà è il dono più prezioso. Piccola mia porta sempre con te questi insegnamenti, sono grandissimi e io mi sono accorta del loro valore solo quando li stavo perdendo. Rialzati in piedi ogni volta che cadrai, dai valore agli abbracci, alle carezze, a un sorriso, e alla libertà. Sogna, divertiti, fai errori, e vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo. Ti voglio un bene dell’anima. Tua mamma (Aurora Maria Usai 17 anni, Liceo coreutico Azuni)
Il folletto Gigino e Mirtilla uniti contro lo stupido Mottino
Ai piedi di una montagna, nel cuore di un bosco, c'è un paesino minuscolo dove vive una popolazione di folletti. Gigino è un follettino di 10 anni e come tutti gli altri va a scuola, esce con gli amici e si diverte a praticare molto sport. Gli piace molto leggere, scrivere e anche cantare, ma si è ripromesso di non mettersi in mostra. Gigino ogni mattina va a scuola con la sua amica Mirtilla. Davanti all'enorme cancello bianco Gigino fa sempre un gran sospito. «Stai tranquillo – gli dice una mattina Mirtilla – ho sentito che oggi Mottino non ci sarà a scuola e senza di lui gli altri non ti cercheranno». Entrati in classe e aperto il suo libro, Gigino sta leggendo la storia del coniglietto di Hannah, quando qualcuno gli strappa il libro dalle mani. Gigino solleva lo sguardo e vede il suo incubo Mottino e i suoi sgagnozzi. «Che bravo il dislessico» lo deride il bullo ma proprio in quel momento entra in aula la maestra. «Follettini miei, oggi faremo la storia dei nostri antenati, aprite il libro a pagina 22. Vorrei che Gigino iniziasse a leggere». Lui guardò prima lei poi il libro e poi Mirtilla che lo incoraggia , allora fece un respiro profondo e iniziò a leggere: «Tanto tempo fa una tribù lonta...». «Gigino non sa leggere Gigino non sa leggere!» intona una canzoncina Mottino e gli altri compagni. «Basta ragazzi! Non si fa così con un compagno che ha piccoli problemi di lettura!» li sgrida la maestra «Ah ah non capisci niente! Non sei buono a fare niente! Vieni promosso solo perché non vogliono farti stare male». Gigino corre fuori dalla classe inseguito dalla maestra che lo raggiunge in un angolo del giardino. «Follettino – lo consola – perché dai così tanto peso alle parole di persone ignoranti piuttosto che capire cosa sei davvero e aiutarti?» «A me non importa chi lo dice – risponde Gigino – mi fa stare male che ogni giorno io venga preso di mira da loro, che aumentano di numero e sono sempre più cattivi». La maestra lo rassicura e gli promette che con il suo aiuto andrà tutto bene, quindi una volta in classe sgrida i follibulli e annuncia severe punzioni. Quella sera stessa, Gigino decide di iscriversi al gruppo di teatro non si scoraggia per la presenza dei compagni di scuola. Il giorno dopo, arriva a scuola come se fosse un ragazzo nuovo ma riceve uno spintone che lo fa cadere. «Oh scusa carina, non volevo buttarti a terra, dai ora inscena una recita così che la maestra ti veda ancora come un santo» lo deride Mottino. Gigino non risponde e come gli hanno consigliato la maestra e Mirtilla, ignora il compagno di classe. La sera, finite le prove di teatro, mentre torna a casa viene bloccato da Mottino e dai suoi sgherri che gli tira un pugno in un occhio. «Se dirai a qualcuno di averci visto ti uccideremo, devi farci i compiti per domani altrimenti ti faremo a pezzi». Passano i giorni ed è sempre la stessa storia: i bulli lo fermano gli tirano un pugno, gli danno i loro quaderni e lui deve far loro i compiti, poi a scuola viene sempre più deriso. Gigino prova a ribellarsi e una mattina, per umiliarlo, Mottino apre il suo diario che gli ha rubato e inizia a leggere tutto quello che Gigino ha scritto. Gigino torna a casa correndo e si tuffa sul letto piangendo, quando bussano alla porta. è la sua maestra. «Allora Gigino, ho un'idea per te...» Il giorno dopo Gigino si presenta a scuola e come al solito viene deriso da tutti. All’improvviso arriva la maestra con un ospite speciale: una creatura all’apparenza molto tranquilla, alta, pelata con un naso lungo e occhi neri. è un troll. «Ciao follettini e follettine – si presenta – mi chiedevo chi fossero di voi Mottino, Josh e Federello». Subito i tre alzano la mano compiaciuti. «Perfetto – dice il troll – voi tre verrete nel mio centro di rieducazione. Leggendo i testi che avete consegnato alla vostra maestra ho capito che voi non siete adatti a questa scuola, avete ammesso di bullizzare un povero follettino per i suoi piccoli problemi di scrittura e lettura e avete ammesso di averlo picchiato». Ed ecco che entrarono tre troll poco più bassi del primo che li prendono e li portano via. Da quel giorno la vita di Gigino migliora, diventa amico di tutti a scuola ed è considerato il più popolare, quando passa per i corridoi tutti lo salutano e gli fanno complimenti per come si veste, lo invitano tutti alle feste e aveva un sacco di amici. Continua a studiare recitazione e diventa un attore famoso, inizia ad aiutare tutti i bambini che venivano bullizzati da folletti più grandi, i suoi sogni si realizzano tutti grazie alla maestra che lo aveva aiutato moltissimo e che lui andava a trovare spessissimo per raccontarle delle sue giornate di lavoro e di come aiutasse i piccoli folletti in difficoltà. Ma non è il solo lieto fine. Gigino si sposa con la ragazza che aveva sempre ritenuto la più bella di tutto il paese cioè la sua amica Mirtilla. (Claudia Venditti 16 anni, liceo Scientifico Spano)
Covid ha paura del sole e del suo nemico Teo Vax
Oggi ti voglio raccontare una storia. Ci siamo me e te che stai leggendo questo giornale. È la storia di noi persone normali. È un giorno qualunque di dicembre e in Cina un signore, che potremmo chiamare Cheng, non sta bene: tossisce spesso e talvolta gli manca l’aria. In ospedale gli dicono che ha una grave polmonite. Ancora il governo cinese non sa quale cattivo dovranno sconfiggere. Lo sconosciuto è un fantasma furtivo e non sarà facile acciuffarlo e sbatterlo in prigione. In due soli mesi, ha viaggiato in lungo e in largo nella Cina. Non conosce molto di questo pianeta, finché non scopre che esistono molte altre grandi terre emerse che gli umani chiamano continenti. Egli decide allora di raggiungerli, ma non è facile andarci da solo tramite l’aria. Allora s’infiltra in molte persone che devono spostarsi fuori dalla Cina. A febbraio arriva in Italia e scopre quanto sia bella con i suoi monumenti, le sue piazze e il suo cibo. Decide allora di restare, ma non sa che molti investigatori erano già sulle sue tracce e lo stavano cercando. In Italia viene acciuffato. Ecco che scoprono il suo nome e capiscono cosa fa alle persone su cui si aggrappa per spostarsi. Si chiama Covid-19 e può dare sintomi come un semplice raffreddore, una polmonite o essere innocuo. Dopo essere stato scoperto, Covid si arrabbia e diventa ancora più cattivo. Allora inizia a fare più danni, a spostarsi da una persona all’altra e finisce in ogni parte del mondo facendo soffrire più di due milioni di persone. Alcune le uccide. Compie più di duecentomila omicidi. E i soldati in tutto il mondo non riescono a ucciderlo. I fucili non funzionano, neanche le bombe. Le medicine sono inefficaci e sembra impossibile forgiare una nuova arma per annientarlo definitivamente. Allora l’intera civiltà attende l’aiuto del Sole. Il dio Sole che, coi suoi raggi, brucerà Covid e lo ucciderà. Tuttavia Sole non elimina tutte le sue tracce. Covid si è rifugiato sottoterra e nei luoghi più freddi del globo. Ora Sole non ce la fa più. È troppo stanco e deve riposarsi. Torna il freddo e Covid di nuovo esce allo scoperto e prosegue il suo genocidio finché non arriva Teo Vax. È un dio venuto da un’altra galassia poiché ha ricevuto una chiamata dai servizi segreti sulla Terra. Teo Vax si mette sulle tracce di Covid. Lo trova e, dopo un arduo combattimento, lo cattura e lo spedisce nello spazio più lontano, dove non potrà far male a nessuno. L’intero popolo terrestre ringrazia eternamente Teo Vax al quale chiede di consegnargli le armi che ha utilizzato per annientare Covid. Teo Vax gliele dà volentieri e chiama un suo amico. Il suo nome è Pastillus. Egli inizialmente si offre agli umani per dare una mano nell’eliminare le tracce di Covid presenti nella nostra razza. Infatti è in grado di creare col suo corpo delle piccole sfere che lavano i corpi degli uomini come fa il detersivo. Dopo però si trova talmente bene che decide di restare sul pianeta per passare i suoi ultimi anni di vita. Gli restano circa trecento anni da vivere. Allora la vita sulla Terra ritorna normale. Infatti coloro che non furono acciuffati da Covid e che erano sani, fino ad oggi si erano rifugiati nelle loro case per sfuggirgli. Ma ora possono uscire e tornare a fare tutto quello che facevano prima. Ora tutto il mondo è felice e nessuno ha più paura di camminare nelle strade e di abbracciare o stringere la mano di chi s’incontra. Tutto è tornato normale e gli umani riprendono la loro favolosa vita. Perché tutto quello che è successo sulla Terra e le morti dei loro simili, hanno fatto capire agli umani che la loro vita normale è una bellissima favola. La vostra vita è meravigliosa. È proprio una favola. Noi vorremmo che tutte le favole abbiano un lieto fine, quindi ricordatevi sempre che dovete godervi ogni attimo perché il tempo non torna e spesso non esistono seconde possibilità. Non abbiate rimpianti nella vostra vita per poter morire alla fine del vostro corso con serenità e contenti di aver fatto tutto quello avete sempre desiderato. (Andrea Ruzzeddu 16 anni, Liceo classico europeo Canopoleno)
Il regno perfetto della principessa (o principe) Charlie
C’era una volta un regno perfetto. Non c’era niente che non fosse stabilito, tutto era ordinato, non c’era spazio per la confusione. La figlia del sovrano però si era stufata di tutta questa perfezione. Tranne suo padre, nessuno ormai si ricordava quale fosse il suo vero nome, perché lei si era sempre fatta chiamare Charlie. Questo nome le piaceva perché nessuno capiva mai se si parlasse di una ragazza o di un ragazzo. Charlie aveva lunghi capelli, un visino delicato, ma il passo determinato di un esercito in marcia. Non le piaceva essere chiamata principessa, non si sentiva a suo agio ad essere trattata come tale, né a fare tutte le cose che il protocollo regale le imponeva. Il giorno del suo diciottesimo compleanno, decise che la sua vita avrebbe preso una piega differente. La prima cosa che fece fu tagliare la chioma, poi si liberò della gonna e indossò un paio di pantaloni. Ora si sentiva decisamente se stessa. O se stesso, questo ancora non lo aveva capito. Le piaceva essere entrambe le cose. Quando il padre scoprì ciò che la figlia aveva fatto, andò su tutte le furie e tentò in tutti i modi di farle cambiare idea fino a farla, pur amandola più della sua stessa vita, chiudere nella torre più alta del castello. Nella sua silenziosa stanza, Charlie aveva tanto tempo per pensare. Era convinta che, fuori dal suo regno perfetto, ci fosse sicuramente qualcun altro che, come lei, non rientrava negli schemi a cui tutti erano abituati e a cui nessuno osava opporsi. Quindi, se pur arrabbiata e delusa, decise di non arrendersi e scappare da quel luogo. Aspettò il momento giusto e si calò giù dalla torre. Attraversare il regno non fu una impresa semplice. Il viaggio era davvero pericoloso. Quando l’ultima speranza di attraversare il confine sembrava svanita, Charlie riuscì a varcare e con sua grande meraviglia si ritrovò circondata da tante creature, non tutte umane come lei. Alcune avevano sembianze animali o mostruose, altre erano magnifiche. Tutte erano incuriosite dalla storia della giovane sconosciuta. Dopo aver spiegato loro ciò che l'aveva convinta ad intraprendere quel viaggio, Charlie rimase piuttosto sorpresa di sapere che non era stata la prima a spingersi al di là del regno. Tutti coloro che si trovavano al confine,avevano fatto parte del popolo perfetto, ma sentendosi oppressi, poiché diversi dagli altri, erano fuggiti. Charlie ascoltò le storie di ognuno di loro ed escogitò un piano per far tornare le cose come un tempo. Quando tutti furono d'accordo, si misero in cammino verso il palazzo. Alle porte del castello si presentò solo Charlie che tra le braccia del padre e di tutta la servitù spiegò di essere stata rapita, quando si trovava nella torre, e di essere riuscita a tornare a casa grazie ad un popolo oltre il confine del regno, che aveva messo in fuga il rapitore. Per la gioia, il sovrano diede una festa, un grande ballo in maschera. Al ballo si presentarono tutti, gli abitanti del regno perfetto e i salvatori di Charlie come invitati speciali. Per la grande sala del palazzo si muovevano a tempo di musica abiti colorati con nastri, fiocchi, merletti, ampie gonne, parrucche cotonate e maschere riccamente decorate che coprivano i volti di tutti. Ad un tratto il re fece interrompere la musica e, volendo fare pubblicamente i suoi ringraziamenti a coloro che avevano salvato la sua giovane erede , chiese loro di gettare via le maschere, così che tutti potessero vederli in faccia. Urla di sorpresa si sparsero per il castello quando le loro vere identità furono rivelate. Prima che la situazione potesse precipitare, la fanciulla prese parola: «Abitanti di questo regno, per favore ascoltate ciò che la vostra principessa. Coloro che vedete,non sono altro persone come voi. O quasi, perché, si tratta di esseri magnifici, che hanno sofferto tanto per poter essere felici e liberi. Hanno dovuto abbandonare la propria terra e ciò che più gli era caro solo perché non rientravano nel progetto di qualcuno. Quando mi sono trovata tra loro, mi sono sentita compresa per una volta in tutta la mia vita. Perché io sono come loro. Tutti siamo come loro». E poi, rivolgendosi al re: «Padre, per quanto vi voglia bene, per quanto voi avete sempre tentato di proteggermi, vi prego di cambiare rotta perché sopprimere i vostri sudditi in tal modo, soffocare ciò sono davvero non è la strada giusta. Fino a poco tempo fa tutti ballavamo e ci divertivamo allo stesso modo, era tutto normale. Cosa è cambiato ora che le maschere non ci impediscono più di guardare in faccia la realtà? Niente. Chi ha detto che esiste un solo modo di essere? Ognuno di voi ha il proprio colore, la propria essenza, emana la propria luce. Ognuno con le sue particolarità». Il sovrano, commosso, strinse la figlia in un abbraccio, e si sentì orgoglioso di lei tra gli applausi del popolo che ora, perfetto, lo era per davvero. (Angelica Ganzedda 16 anni, Liceo scientifico Spano)
Una non-favola con lieto fine e un sorriso
Questa non è una favola anche se ha un lieto fine. È la storia di una ragazza che ha sopportato ogni sorta di prepotenza, fin dalle scuole elementari ma alla fine è riuscita a uscire dal tunnel del bullismo. Questa è la mia storia, iniziata in un piccolo paese quando ancora frequentavo la scuola elementare. Le altre bambine mi prendevano in giro perché ero grassa e me ne dicevano di tutti i colori. Io tornavo a casa e piangevo, ma non avevo il coraggio di confidarmi con i miei genitori. La stessa storia si è ripetuta alle scuole medie quando però sono diventata aggressiva e ho imparato a difendermi. Non sapevo come fare a nascondere la rabbia e la paura che provavo tutte le volte che dovevo uscire di casa. Non avevo amiche, nessuno mi invitava alla sua festa e il giorno dopo quando scoprivo che si erano viste e divertite insieme ci soffrivo tanto. Poi un giorno è cominciata la scuola superiore. Avevo tanta paura il primo giorno, mi guardavo intorno con tanta diffidenza. È stato allora che ho incontrato lo sguardo di una ragazza dagli occhi lucenti. Lei mi ha chiesto «come ti chiami?» ed è così che è cominciata la nostra amicizia. In questa storia, che non è una favola, il lieto fine si chiama amicizia. Grazie all’amicizia ho vinto le mie paure e grazie alle mie amiche, perché adesso ne ho tante, posso guardare in faccia le persone che prima mi prendevano in giro e ridere di loro che non hanno avuto la mia stessa fortuna. (Una diciassettenne)
La mia dolce jana volata via in un battito d’ali
Sono una persona che ha pochissima memoria, ma mi ricorderò per sempre la giornata del 7 aprile del 2018. Ricordo ogni istante di quell’orribile giorno quando la mia jana, la mia fata, è volata via con un battito d’ali. La mia vita era stata una favola con lei. Sono passati due anni e io mi domando ancora perché. Perché non ci sei più? Perché non posso trovarti a casa quando torno? Perché quando sono di fronte a casa non ti vedo più affacciata prendendoti cura della tue adorate piante? Perché non posso più sentirti ascoltare i brani dei Modà strillando? Perché quando avrei bisogno di un tuo abbraccio mi tocca guardare su nel cielo? Ci sono tantissime domande che mi pongo, ma una risposta non mi arriva mai. Perché in realtà non c'è... La vita è stata ingiusta. Avrei voluto viverti molto di più mamma. Mi manca tutto di te, e la tua mancanza la sento fin dentro le ossa. Non c'è mai stato un giorno dove non sorridevi e io per questo ti ringrazio con tutta me stessa. Perché mi hai insegnato che non bisogna mai abbattersi, nemmeno nelle situazioni più difficili. Mi hai insegnato a non lamentarmi per un problema esistenziale, perché le cose cose per cui lamentarsi sono ben altre. Mi hai insegnato a tirare fuori la forza. Mi hai insegnato ad andare avanti. Sempre. Mi hai insegnato tutto, anche inconsapevolmente. E io oggi sono qui a scriverti, a ricordare la cosa più bella che la vita mi ha tolto. Ciao mamma, brilla più che puoi lassù. Io sono sempre qui che ti penso in ogni secondo che passa. Sei il mio esempio di vita. Spero che sarai orgogliosa di me. «Perché se tu scappassi tra un milione di stelle di sicuro saprei... Riconoscerti tutte le volte che il cielo le accende e starei. Starei li ad ammirarti. Starei li per salvarti. Ogni volta che poi tu diventi una stella cadente per me. Sempre e solo per me. Sempre e solo io e te. Sempre» (Federica Carta 19 anni, liceo Coreutico Azuni)
La perfezione dei 16 anni quando tutto è un delizioso equilibrio di emozioni
Cara me, ti spiego perché la vita è una favola. È una favola perché ti svegli tutti i giorni con il sorriso o se la giornata inizia con il piede sbagliato trovi subito mamma e papà pronti a rallegrarti, perché dai tutta te stessa quando svolgi le cose che ti piacciono, perché ti impegni e miri sempre a raggiungere risultati sempre più alti. È una favola perché ti piace passare il tuo tempo libero con gli amici, e sai trovare l’equilibrio tra responsabilità e divertimento. La vita è una favola quando trovi un po’ di tempo per te, quando ragioni su cosa è davvero importante; è perfetta quando piangi perché riesci a liberarti dalla tensione che hai dentro e quando ridi perché trasmetti tutta l’allegria di cui sei fatta. La vita è perfetta quando ricevi gli abbracci e riesci a trasmettere tutto l’affetto che hai, ma vorresti averne molto di più, perché l’affetto non basta mai. Quando ti manca una persona e capisci davvero quanto tieni a tutti, quanto ti affezioni facilmente ad ogni singolo individuo anche se magari non lo conosci bene, ma a te non importa perché tu sei fatta così. La vita è una favola quando ti accetti per quello che sei, quando ti ami e non vorresti mai cambiarti, perché tu sei fatta così e ti piaci così. La vita ti piace quando litighi, e hai paura di perdere tutto, di restare sola di non poter più fare quello che facevi prima, il solo pensiero ti spaventa perché tu sei abituata a vivere tra le persone, a parlare con le persone, ad avere una spalla su cui piangere e a cedere la tua spalla a chi piange. Quando rimani delusa, da te stessa o da un amica, quando tu hai dato tutta te stessa ma non sei stata apprezzata, quando ci hai provato e riprovato ma non ci sei riuscita, quando hai capito chi davvero teneva a te e chi invece ti usava e basta. La vita è bella quando raggiungi un traguardo, quando rivedi qualcuno dopo tanto tempo, quando recuperi i rapporti con una persona cara. La vita è una favola quando vai dai tuoi nonni che ti accoglieranno sempre con il sorriso, quando gli racconti tutto quello che hai fatto e loro sono sempre fieri di te, quando ti arrabbi con loro e poi ti penti ma loro ti avevano già perdonato. La vita è una favola anche se non siamo principesse, fate, maghi e non possiamo fare incantesimi, perché i veri protagonisti della vita sono gli esseri umani che hanno il potere di decidere su di essa. (Giulia Pintus 16 anni, Liceo Coreutico D. A. Azuni)
Perfida Malefica sconfitta con un bacio d’amore vero
Aurora è la bimba appena nata di re Stefano e sua moglie la regina. L’intero regno è in festa e al battesimo della piccola vengono invitati tutti, ad esclusione della strega Malefica. Quest’ultima per vendicarsi, lancia una maledizione sulla piccola Aurora, secondo cui allo scoccare dei 16 anni verrà morsicata da un pipistrello e morirà. Intervengono per fortuna le madrine della bimba, facendo sì che la maledizione venga modificata: con il morso del pipistrello non morirà ma si ammalerà e solo il bacio di un principe potrà farla guarire. Aurora viene affidata dai genitori alle sue madrine e cresce convinta di essere una contadina di nome Rosaspina, fino a quando a 16 anni incontra un ragazzo di cui si innamora. Decide di scoprire di più di sé stessa e torna a palazzo. Qui però compare Malefica che la ipnotizza e la porta in cima alla torre dove si trasforma in un pipistrello che morsica Aurora, facendo ammalare lei e tutto il castello. Arriva il principe di cui lei si era innamorata e lui, immune alla rara malattia, bacia Aurora facendo guarire lei e tutto il suo popolo. (Aurora Licheri 16 anni, Polo tecnico Dessì)
La strega cattiva e il suo gatto Mo in guerra con la regina Flora che voleva guarire i suoi sudditi
In una terra lontana c’era una volta una principessa di nome Flora che viveva in bellissimo castello al di fuori di un piccolo paese abitato da persone sempre felici. L’unica persona che non era né gentile né felice era la strega Dorì, che abitava con il suo gatto Mo e odiava tutti. La principessa, al contrario, era socievole, sempre felice e amava tanto cantare, ballare e stare con gli animali che vivevano nel bosco vicino al suo castello. Tra questi, il suo migliore amico era lo scoiattolo Manny, che le stava sempre vicino e le consigliava sempre il giusto. Quando Flora sposò il principe Langton e venne definitivamente incoronata regina del regno, l’odio di Dorì crebbe a tal punto che la strega elaborò un piano per eliminare la regina, sposare il principe e governare il regno, rendendolo triste e pieno di odio. Dopo diversi giorni trovò il modo di creare una pozione facilmente disperdibile nell’aria, che provocava in chi la respirava problemi nella respirazione e dolori molto forti alla testa. Insieme alla pozione, la strega creò anche un rimedio, da utilizzare nel caso in cui anche lei si fosse malata. Durante la notte Dorì sparse l’intruglio magico nell’aria, e il mattino successivo la maggior parte della popolazione del paese era gravemente malata. Gli unici immuni erano gli animali, poiché avevano anticorpi che gli umani non hanno. Questo tipo d’infezione si diffuse velocemente anche a palazzo, dove si ammalarono tutti i servitori della regina e perfino suo marito. Bisognava trovare una soluzione. Come prima cosa la regina Flora fece in modo che tutti fossero al sicuro nelle loro case, poi portò al sicuro le persone non ancora ammalate e quindi ritornò in paese. Notò subito che l’unica persona a non essere ancora uscita di casa era Dorì, così andò a trovarla per sapere come stesse. Quando entrò in casa sua, l’abitazione era vuota e la regina vide sparsi qua e là molti ingredienti tossici erano stati usati dalla strega. Quando la strega infelice fece ritorno a casa e la vide, si arrabbiò moltissimo e cacciò Flora in malo modo. Ma la regina tornò in paese in una notte di luna piena e vide Dorì spargere qualcosa nell’aria. Con uno stratagemma smascherò la strega e il suo piano malvagio. Quest’ultima per vendetta fece respirare una sostanza che fece svenire momentaneamente la regina e la portò a casa sua. Quando la mattina dopo Flora si svegliò da sola nella casa della strega, si mise a cercare in giro e all’interno di una fessura scoprì una fiala contenente un liquido verde con un’etichetta con su scritto “rimedio d’emergenza”. Arrivata a casa, incaricò il mago di corte di analizzare la pozione e crearne dell’altra per poter curare tutti in paese. Nel frattempo la strega tornò a casa e resasi conto che né il libro né la pozione erano più al loro posto, si infuriò tanto e poi si incamminò per andare a cercarli proprio a castello. Lì, il mago aveva trovato tutti gli ingredienti necessari per produrre dell’altra pozione ed era pronto per metterli tutti insieme, quando Dorì apparve e lo costrinse a fermarsi. Ma proprio in quel momento due guardie non ancora contagiate dall’epidemia arrestarono la strega. Quest’ultima scoppiò in una risata cattiva, perché sapeva che la pozione non era completa, quindi era inutile. La situazione peggiorò e divenne tragica in tutto il regno. La regina non sapeva proprio che fare, l’unica soluzione era chiedere a Dorì. Flora andò così a trovarla nelle prigioni e la pregò di aiutarla in cambio della libertà. La strega rise per la prima volta di gusto e la mandò via, giurando di non rivelare mai a nessuno l’ingrediente mancante. Spettatori di tutte queste vicende erano gli animali. A questo punto Manny, l’amico scoiattolo di Flora, ebbe un’idea: bisognava convincere il gatto di Dorì, Mo, a confessare quale fosse l’elemento mancante. Mo era però un gatto molto sveglio che non si lasciava abbindolare facilmente da nessuno, e si aspettava che un giorno qualcuno sarebbe andato da lui per la risposta al dilemma. Quando Manny si presentò da lui, l’incontro fu lungo. Lo scoiattolo lo implorò di aiutarlo, ma il gatto non voleva saperne, finché a Manny venne un’altra idea: batterlo in qualcosa in cui Mo era forte in cambio dell’informazione cruciale. Lo sfidò allora nel salto dai mobili: quello che avrebbe saltato più lontano sarebbe stato il vincitore. Mo partendo dalla credenza arrivò sino al divano, distante cinque metri, Manny invece arrivò con un bello slancio sino al tavolino del salotto distante sette metri. Lo scoiattolo vinse la scommessa e Mo fu costretto a dirgli il componente misterioso della pozione: era la polvere di fata. Bastavano solo pochi grammi di questa. Con quest’informazione l’animaletto tornò a palazzo e andò dalla regina. In quel preciso istante Flora si ricordò che la madre prima di morire le aveva lasciato un ciondolo contenente della polvere di fata. Lo aprì e versò dentro al liquido verde la polvere rosa. La pozione divenne subito blu elettrico e si testò immediatamente sugli abitanti del castello, a partire dal re. Dopo averla fatta bere a Langton e aver visto il suo immediato miglioramento, Flora, il mago e Manny andarono in paese per distribuirla a tutti gli abitanti malati, che ripresero a stare bene in un batter d’occhio. La malattia era ormai scongiurata. Dorì rimase tutta la vita nelle prigioni, ma ottenne il perdono della regina, del re Langton e di tutti gli abitanti del paese e piano scoprì cosa fosse la bontà. In quest’ultimo tornò presto la pace e la felicità e insieme a questa arrivò l’annuncio della nascita del primogenito dei sovrani. E tutti vissero felici e contenti. (Miriana Sanna 16 anni, liceo scientifico Spano)
La vita è una favola e tu caro nonno me lo hai insegnato
Oggi sento la tua mancanza più che mai. Ho bisogno di un tuo sorriso, uno di quelli che avevi sempre stampato sul viso, uno di quelli che ti illuminavano il volto. Ho bisogno di vederti ridere orgoglioso mentre mi guardi danzare dicendo a mia mamma che la danza è una delle forme più belle d’arte. Mi manca entrare con te nel tuo “laboratorio” e vederti creare la tua arte per mattinate intere, per poi uscire e vedere gli occhi dei tuoi figli illuminati nel vederci pieni di polvere. Mi manca la tua voce che, in un periodo come questo, mi avrebbe riempito le giornate e l'anima. Mi manchi durante le competizioni, quando poco prima di mettere piede in pista ti penso forte, fortissimo, consapevole che ogni volta che ballo sei accanto a me. Mi manchi quando ti vedo negli occhi di mia madre e nei miei sogni. Mi manchi un po’ di più quando penso di non averti vissuto abbastanza e quando mi ritrovo, senza accorgermene, a pensare ai momenti passati insieme. Ti penso un po’ di più in questi giorni infernali, in cui il Mondo si è fermato e siamo costretti a stare a casa in balìa dei nostri pensieri. Mi hai insegnato tante cose, oltre l’amore per la vita, come l'arte di saper trasmettere senza dire una parola. Se solo tu fossi qui ti racconterei delle mie passioni, della scuola, degli amici e di com’è cambiata la mia vita negli ultimi anni. Se solo fossi qui, in questi giorni di buio, saresti in grado di tirarci su di morale e avresti una parola di conforto e un sorriso per tutti. Sono certa che se potessi dirmi qualcosa, in un momento come questo sarebbe indubbiamente : «La vita è una favola!"». La vita è una favola, sì, ma non sempre lo tengo a mente. Poi danzo e provo a creare arte, ed è lì, in quel momento e tra quell’arte, che, mio caro nonno, mi torni in mente tu. (Daniela Monni 16 anni, Liceo Coreutico D.A.Azuni)