La Nuova Sardegna

Eugenio Finardi: «Milano chiama, la mia musica per dare speranza»

DI ALESSANDRO PIRINA
Eugenio Finardi: «Milano chiama, la mia musica per dare speranza»

Un nuovo singolo registrato durante la quarantena. Il coraggio di ripartire e il grande amore per la Sardegna

15 maggio 2020
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Quando parla di Sardegna gli si illuminano gli occhi. Da oltre quarant’anni l’isola è il teatro dei suoi concerti e delle sue vacanze. A maggio aveva già un paio di date fissate, ma il Coronavirus l’ha bloccato a Milano. La pandemia però non ha frenato la sua creatività, la sua musica. E proprio da oggi Eugenio Finardi sarà su tutte le piattaforme streaming con il suo nuovo singolo, “Milano chiama”. Un inno alla coalizione, al diritto alla dignità e al calore umano. Oltre che un invito a cambiare qualcosa prima che sia troppo tardi.

Finardi, come nasce questo brano?

«Era poco prima che scattasse la chiusura del Paese. Con il mio chitarrista Giuvazza stavamo lavorando a casa mia a Milano ai nuovi brani. Io ho uno studio rudimentale e ho passato questa quarantena ad assemblare chitarre elettriche - lavorare con le mani è molto utile e non avendo terre da coltivare mi sono dedicato all’artigianato - e ne ho costruita una per il mio chitarrista. Provandola mi è venuta questa frase: “Milano chiama”. Poi Giuvazza è andato a Torino a prendere delle attrezzature ma non è più potuto tornare perché avevano chiuso tutto. Ci siamo trovati isolati, ma siamo andati avanti. È nato così questo canto di lotta, di sfida verso il virus. Questo pezzo fatto a distanza è un’esortazione a imparare la lezione di questo evento».

Qual è la lezione di questa pandemia?

«Ci ha richiamati ai nostri doveri di comunità. Ci siamo ritrovati, anche in famiglia, tutti a occupare gli stessi luoghi, cosa che prima non succedeva mai. Io ero con mia moglie, mia figlia di vent’anni, mia suocera e la cagnetta. Abbiamo dovuto trovare i nostri spazi, rispettarci all’interno di una comunità forzata. Il rispetto deve venire prima di qualsiasi considerazione economica. Se penso alla Sardegna mi vengono in mente le vertenze del Sulcis, o quella del latte. La pandemia ci ha fatto capire che prima di tutto bisogna garantire diritti come la salute e il lavoro».

Che effetto le ha fatto vedere la sua Lombardia, locomotiva economica d’Europa, travolta da questo dramma?

«Purtroppo la nostra è un’economia parossistica che non rispetta la dignità del lavoro. L’economia gira tutta su scambi istantanei, senza neanche la possibilità di creare magazzini, scorte. Solo adesso ci rendiamo conto che dobbiamo occuparci di prevedere anche l’imprevedibile. L’abbiamo capito dalle piccole cose in casa. Io per esempio mi sono fatto una scorta di rum».

Quando si parla di ripartenza lo spettacolo e l’arte in generale sono sempre in coda alla lista.

«Innanzitutto, io mi auguro che questa ripartenza si basi su un’economia più rispettosa della comunità e dell’essere umano. Quanto a noi artisti, è vero purtroppo, ci vorrà del tempo prima di poter fare concerti al chiuso. All’aperto, con ragionevolezza, penso qualcosa si possa fare. Mi vengono in mente posti come la spiaggia di Porto Torres o sotto la rocca di Castelsardo, dove la gente può stare a distanza».

In Sardegna lei è di casa.

«È la regione in cui ho lavorato di più in tutta la mia carriera, che ho frequentato di più. Tante volte anche negli stessi posti. Per domenica scorsa ero in trattativa per suonare a Tissi, poi ovviamente è saltato tutto».

La prima volta fu a Samassi con i Crisalide, la band che ai tempi l’accompagnava.

«Credo fosse l’inverno 1978. Era una band straordinaria. Durante il concerto scoppiò una rissa e un ragazzo gigante, abbastanza ubriaco, fu portato fuori dalla sicurezza. Ma mentre andava via mi urlò: “Efisio, sei bravissimo”. Da quel momento per i miei compagni diventai Efisio».

E sempre al Biggest di Samassi fu tra i protagonisti della mitica puntata di “Discoring” con Madonna.

«Allora noi non sapevamo manco chi fosse. Non era famosa, ma faceva già la star, aveva la parrucchiera, la truccatrice, l’agente. Eravamo al Jolly hotel di Cagliari. Restammo per quattro giorni. Io legai molto con Roberto Benigni e Bryan Adams. Madonna invece se ne stava in disparte con la sua truccatrice».

De André è stato il suo cicerone nel nord dell’isola.

«Fabrizio e Cristiano mi hanno fatto conoscere la Gallura. A loro devo la mia introduzione alla parte marina della Sardegna. Di solito un milanese viene associato alla Costa Smeralda, invece grazie a loro - che avevano casa a Portobello come anche Giuni Russo - io associo la Gallura a Santa Teresa, alla parte più selvaggia. Io amo la zona di Aglientu e quando arrivo a Olbia non passo dalla strada costiera. Faccio quella che attraversa Luogosanto, ricca di colori e di profumi».

Nell’isola è nato anche il sodalizio con gli Istentales.

«Un’esperienza grandissima. Anche perché Gigi Sanna - che è uno che potrebbe dare lezioni a Keith Richards - mi ha fatto un grandissimo dono. Mi ha regalato l’abito di velluto, anche i gambali. E quando ti presenti così insieme agli Istentales a un certo punto non sei più straniero, sei parte di quella banda. La stessa cosa mi succede con il coro di Neoneli. Ed è una cosa che sente anche Elio. Alcuni di noi sono stati proprio accettati, di solito superando prove di acquavite».

Negli anni ’70 è stato un innovatore della musica. Che ne pensa dei nuovi generi? E di artisti come Salmo?

«Faccio fatica a seguire il rap, proprio a livello di comprensione, di udito. Quasi cinquant’anni con una batteria dietro la schiena è come lavorare all’Ansaldo. Ma Salmo è molto bravo, uno dei più degni. Come genere però seguo più la trap. O il reggae. In Sardegna ho avuto un’esperienza con i Train to roots: molto divertente. E ho anche inciso in sardo “Amore diverso” con Carla Denule, che è stata bravissima a tradurre questo pezzo dedicato a mia figlia. La tradizione musicale sarda è unica, quella polifonica non ha eguali in Italia».

Alla fine ritorna sempre a parlare di Sardegna.

«Dire che mi sento sardo sarebbe una bugia, non lo sono, ma mi sento a casa, mi sento accolto. Quando penso alla Sardegna mi vedo all’aeroporto di Olbia mentre scendo dalla scaletta e vengo travolto da quel profumo inebriante della natura. Per me è aria di casa. Approfitto di questa intervista per mandare un abbraccio a tutta la Sardegna: mi mancate!».

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