La Nuova Sardegna

La morte di Sergio Siglienti, da Sassari ai vertici Comit: il grande banchiere che amava il mare di Stintino

di COSTANTINO COSSU
La morte di Sergio Siglienti, da Sassari ai vertici Comit: il grande banchiere che amava il mare di Stintino

Si è spento all’età di 94 anni un tecnico di valore e un uomo di raffinata cultura. La sua adolescenza sarda e il rapporto molto forte con il cugino Enrico Berlinguer

25 maggio 2020
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«Ricordo un episodio simpatico, un giorno d’estate. Quando Enrico si iscrisse al Pci. Mi disse: “Mi devi accompagnare in bicicletta, di notte, in un certo posto… Vuoi venire con me?” Naturalmente, come qualsiasi ragazzo curioso, gli dissi di sì. Mi attraeva il mistero. Dopo questa lunga passeggiata in bicicletta, lui mi portava in canna, come si diceva, arrivammo di fronte a una casa isolata in campagna e mi disse, senza possibilità di obiezioni: “Tu, aspettami qui!” Tentai invano di ribellarmi: niente da fare. E così mi ritrovai in mezzo ai prati, in compagnia delle sole cicale. Dalla casa mi arrivavano canti, risate e il chiasso delle voci. Era una riunione segreta, di comunisti e simpatizzanti, nel casolare di un floricultore. Finalmente Enrico tornò e mi mostrò con orgoglio la sua prima tessera di iscrizione al partito comunista, con la falce e il martello».

Così Sergio Siglienti, morto domenica nella sua casa di Milano a 94 anni, ricordava Enrico Berlinguer in un’intervista di sei anni fa alla rivista Sette del Corriere della sera. La mamma di Sergio, Ines Berlinguer, era sorella di Mario, padre di Enrico. Ma più che cugini Sergio ed Enrico erano fratelli. Da adolescenti, durante la guerra, la famiglia di Sergio dovette separasi: la madre Ines a Sassari il padre Stefano a Roma. Un padre importante: partecipò alla resistenza al nazifascismo a Roma e, arrestato, scampò alla fucilazione; dopo la liberazione fu tra i fondatori del Psd’Az e ministro delle Finanze nel secondo governo Bonomi; nella professione, quella di banchiere, raggiunse uno dei vertici del sistema finanziario italiano, la presidenza dell’Imi (Istituto mobiliare italiano). Negli anni difficili del conflitto mondiale e del crollo del regime fascista, Sergio visse dunque a lungo a casa degli zii. E con Enrico nacque un legame molto forte, che è continuato per tutta la vita.

Da questo Sergio Siglienti privato e dalla sua adolescenza sassarese partiamo per questa intevista con una delle persone che lo hanno conosciuto più da vicino, Luigi Zanda, 77 anni, cagliaritano, senatore del Partito democratico.

Sergio Siglienti è rimasto molto legato a Sassari, dove nacque nel 1926...
«Sì, molto legato. Ci ritornava spesso, almeno una volta l’anno per le vacanze a Stintino. Alle quali teneva tantissimo. Tornava per il mare con la moglie Yutta, una donna di grande personalità, tedesca, che Sergio ha molto amato, e con i due figli, Stefano e Ines. Aveva con Enrico Berlinguer un rapporto di grande intensità affettiva. Tante volte l’ho sentito ricordarlo con tenerezza».

La banca, e in particolare la Comit, è stata un po’ la sua vita...
«Sì, ha fatto tutto il suo corso professionale alla Banca commerciale italiana, dove è arrivato a ricoprire le cariche prima di amministratore delegato e poi, dal 1990, di presidente. Sino a quando, nel 1994, la Comit non ha perso la sua identità, venduta dall’Iri a Banca Intesa e fusa. Sergio Siglienti era un banchiere di altissima professionalità. Ha vissuto in banca tutta la sua vita, cominciando in qualche modo dalla gavetta».

Sergio Siglienti per criticare la vendita della Comit scrisse un libro intitolato “Una privatizzazione molto privata”. Che cosa non gli piacque di quella operazione?
«Era un uomo integerrimo, anche nelle concezioni della vita pubblica. Aveva un grande amore per la sua banca e per la nobiltà della tradizione Comit. Non gradì forse gli aspetti della privatizzazione legati, più che a criteri strettamente aziendali, ad assetti di potere. Ma avvertiva come un danno anche la perdita del marchio Comit, che in effetti era allora quanto di più importante e di più internazionalmente riconosciuto nel mondo bancario italiano».

Ma forse Sergio Siglienti capiva che quella privatizzazione, soprattutto i modi di quella privatizzazione, erano il segnale di un cambiamento epocale nel sistema del credito in Italia e non soltanto in Italia…
«E’ probabile. Capiva che l’Italia era in un passaggio della sua storia che non prometteva nulla di buono. Le racconto una cosa per farle comprendere chi era Sergio Siglienti. Nel 1979, quando lui era un altissimo dirigente della Comit, non ancora mi sembra amministratore delegato, e Carlo Azeglio Ciampi divenne governatore della Banca d’Italia dopo le dimissioni di Paolo Baffi, Francesco Cossiga, allora presidente del Consiglio, gli offrì di fare il direttore generale della Banca d’Italia. Carica che probabilmente gli avrebbe poi aperto le porte alla poltrona di governatore. E Siglienti rifiutò. Rifiutò per non lasciare la Commerciale».

Siglienti le ha mai espresso un giudizio sulla finanziarizzazione dell’economia sulle conseguenze che questo processo ha avuto?
«No, non ne abbiamo mai discusso, ma per come lo conoscevo, il processo cui lei accenna ha segnato un passaggio che non poteva piacergli».

Non era solo un tecnico. Era anche un uomo di grande cultura…
«Sì, di grandissima cultura. Molto moderno nei suoi gusti. Amava soprattutto la musica. Ed era spiritosissimo. Con un humour british, sottile, acuto. Ha frequentato personalità rilevanti, ma sempre senza alcun esibizionismo, senza alcuna ostentazione di sé. Un uomo di grande misura, che se n’è andato con la discrezione con cui ha vissuto».

Un uomo appartenuto a una generazione che ha dato all’Italia gruppi dirigenti di grande qualità…
«Certo. E Sergio alle qualità della classe dirigente della sua generazione, che erano grandi, aggiungeva lo spirito sardo. Una fermezza nelle opinioni, una capacità di sintesi assoluta. Io piango la scomparsa di uno degli amici che ho più ammirato in tutta la mia vita».

Un po’ sconfortante fare il confronto con il livello dei gruppi dirigenti attuali…
«Be’ sì. E purtroppo l’abbassamento del livello riguarda tutto l’Occidente. Se penso a ciò che avviene in Paesi come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, lo scadimento è evidente. E questo dovrebbe preoccuparci molto».

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