La Nuova Sardegna

A Bosa c'è un prete che non si ferma mai: don Paolino Fancello, uomo di fede, di calcio e di radio

di Luca Urgu
Don Paolino Fancello
Don Paolino Fancello

Ha fondato  Radio Planargia, dove a 78 anni continua a condurre un programma tutto suo, e la squadra della Calmedia, di cui  è stato  a lungo capitano. Una volta spiegò a un vescovo: nella Bibbia mica c'è scritto che non si può giocare a pallone. Nato a Sedilo,  parroco in città e a  Tresnuraghes, un educatore che sa fare gruppo

06 ottobre 2020
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BOSA. Ovunque è stato ha lasciato la sua orma ben piantata sulla terra, soprattutto in Planargia, zona che lo ha accolto da ragazzino – qui arrivò da seminarista a Bosa, città affascinante e indolente dove ancora vive. Un solco lineare, preciso, dolce e deciso al tempo stesso. Don Paolino Fancello, 78 anni, nato il 15 settembre del 1942 a Sedilo, era e continua ad essere anche oggi un uomo carismatico.

Con l’incedere degli anni conserva un aspetto curato e giovanile, l’eloquio forbito ma non desueto, forse solo un po’ di stanchezza inevitabile da chi non riesce a dire no ai tanti impegni e a non rinunciare alle belle e faticose abitudini. L’ultima dello scorso 4 luglio quando assieme ad un gruppo di pellegrini da Bono ha raggiunto a piedi il santuario di San Costantino. Quaranta chilometri, uno dietro l’altro che don Paolino fa da 8 anni e che in questa strana stagione senz’Ardia per via del covid hanno assunto un significato particolare.

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E’ sempre stato un leader che non ha bisogno di alzare la voce per farsi ascoltare ma che si è guadagnato – giorno dopo giorno – i gradi di ufficiale senza divisa attraverso una serie di opere e di azioni stando in mezzo alla gente e con la gente. Non cosette di poco conto, ma di quelle capaci di segnare il destino di una comunità e dei suoi figli. Grazie all’associazionismo, ad una solidarietà non sbandierata ma concreta e a quel ruolo di educatore che sa fare gruppo e parlare al cuore delle persone. Ed esserci quando occorre essere presenti.

Se non avesse fatto il sacerdote Don Paolino, rispondendo alla vocazione  da ragazzo, avrebbe avuto davanti tante strade. Il comunicatore (nel 1979 ha fondato Radio Planargia), lo sportivo (nel 1970 con un pugni di amici che frequentavano la parrocchia ha creato la società calcistica Calmedia giocandoci anche per una decina di anni), ma le sue qualità e il suo coraggio, mosso davvero da una “luce speciale” erano talmente variegate e numerose che avrebbe potuto cimentarsi in davvero tanti settori.

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Seduto al tavolino di un bar di piazza Monumento, a due passi dalla sua abitazione e dalla “sua” Radio, Don Paolino accetta di raccontarsi tornando con lucidità e precisione indietro nel tempo. E’ impossibile non rendersi conto della modestia dell’uomo: i risultati ottenuti, i traguardi raggiunti, anche se tutti sanno si devono molto a lui, non li sbandiera mai come personali, ma sempre come un’operazione corale e una vittoria di gruppo. Rievoca sintonie di una stagione magica durata per diversi lustri citando chiamandolo per nome tanti bosani e non che lo hanno accompagnato in questo cammino alternandosi con lui alla guida di una macchina ben oliata capace di percorrere anche i percorsi più impervi ed accidentati.

Alla fine dalle sue parole viene fuori sempre un lato romantico, si potrebbe dire senza esagerare poetico, anche se l’uomo di fede, di radio e di sport sapeva e sa ancora essere pragmatico come pochi. Così il  ricordo di quando nella sua Sedilo è stato ordinato sacerdote in un’assolata giornata di agosto del 1976, scortato dai genitori fin dentro la chiesa di Giovanni Battista, si concentra su un particolare. Un momento ludico utile a fargli scrollare la tensione accumulata.

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“Ero felice, ma anche spaventato. Mi chiedevo se sarei stato all’altezza e tante altre cose. Di fronte al sagrato c’erano dei bambini che giocavano a pallone. Io non seppi resistere e prima di entrare in chiesa calciai con loro. Quello scambio mi fece benissimo, infatti affrontai la cerimonia con grande serenità”, racconta il parroco. L’attrazione verso la palla di cuoio non era un’infatuazione estemporanea ma qualcosa di più: viscerale, mentale e muscolare. E il ragazzo a detta di molti aveva proprio talento.

Centrocampista di impostazione più che di rottura, ma se occorreva mettere la gamba non si tirava certo indietro. Sia in seminario a Bosa ma anche negli anni successivi gioca sempre, si allena ma la vera rivoluzione la compie mettendo su la Calmedia, società di calcio che spezza il monopolio cittadino dove esistevano solo gli storici colori rossoblù del Bosa.

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“La costituimmo nel 1970 e per dieci anni ci ho anche giocato e ne sono stato il capitano. La nostra fu una piccola grande rivoluzione che anche se non venne da tutti accettata subito, fu poi accolta di buon grado anche dai nobili cugini, i cui rapporti furono sempre orientati alla correttezza”, sottolinea don Paolino, “da noi certo non si pagava nessuno. La Calmedia era una novità che nasceva dall’associazionismo pulito, legato alla parrocchia, in particolare alla chiesa dei cappuccini dove si tenevano gli incontri, ci si preparava insieme alle feste religiose e non”.

Insomma la Calmedia era una famiglia allargata a tutti gli effetti e lui, da buon padre, quando in campo diventava un bersaglio di tifosi e giocatori avversari non si scomponeva più di tanto. “Se la prendevano con l’arbitro e con il prete, ma io ero un ottimo incassatore e non sono mai stato espulso”.

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Dal pulpito nelle parrocchie di Bosa dove ha trascorso oltre 20 anni, e di Tresnuraghes dove è stato per 24 anni, ha sempre esercitato il suo ruolo in maniera originale e personale. Un prete moderno non toppo attento ai formalismi ma decisamente di sostanza. “Nei primi anni venni convocato dal vescovo Spanedda perché guidavo la moto e la macchina senza patente e perché giocavo a calcio. Dopo aver incassato l’inevitabile lavata di capo gli dissi, “eccellenza, nella bibbia non c’è scritto che non si può giocare a calcio”.

Altro grande amore la radio, l’emittente Radio Planargia trasmette dal 1979 e don Paolino, oltre che il fondatore ne è sempre stato una colonna e anche ora conduce un programma tutto suo. “Mi diverte e appassiona sempre. E’ un modo di fare comunicazione garbato ed efficace. E’ sicuramente lo strumento che prediligo”. Definisce i bosani “fantasiosi”, i tresnuraghesi “generosi” e i suoi compaesani “decisi”, ha una marea di figliocci e il rispetto di tutti.

E’ uno che sa guardare negli occhi per capire senza fare troppe domande. Infine è abituato a non dare niente per scontato. Come nella parabola del vangelo da Gerico che utilizza per raccontare un episodio. “Più di cinquant’anni fa bucai in moto mentre da Sedilo tornavo a Bosa. Si fermarono due persone – in tempi diversi - che conoscevo bene ed entrambi andarono via perché dissero avevano una gran fretta. Mi aiutò invece una coppia che non avevo mai visto fino ad allora. Pagarono anche la riparazione. Di loro non seppi più nulla, gli altri due li vedevo anche troppo spesso”.

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