La Nuova Sardegna

Roma immaginata come in una storia d’amore

Roma immaginata come in una storia d’amore

Nadia Terranova: una raccolta di racconti che richiama luoghi molto precisi, ma è soprattutto una cartografia dell’anima e una riflessione sul tempo

22 novembre 2020
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Durante il lockdown primaverile i centri abitati, specie quelli più grandi che conoscevamo per essere perennemente affollati e caotici, sono stati spesso al centro dell’attenzione. Da un certo momento in poi, il ritornello si è ripetuto all’infinito: vie e piazze immerse «in un’atmosfera spettrale» o in uno «scenario post-apocalittico», metropoli «come non le abbiamo mai viste», addirittura (i più poetici, davanti a qualche sporadica bestia che profittava della situazione per cercar cibo) la «natura che si riprende i suoi spazi». Poi c’è stato chi, con forse troppa leggerezza, ha parlato di “bellezza” e “opportunità” nel vedere in diversa veste le strade su cui affacciava il proprio appartamento, e infine chi, filosofeggiando (si fa per dire) sul rapporto tra noi e le città, ha riesumato la vecchia idea secondo cui di una città può parlare davvero solo chi vi è nato e con gli anni, per un motivo o per l’altro, è arrivato a odiarla. Come a offrire involontaria smentita, ecco un libro dedicato a Roma che non solo è scritto da chi a Roma non è nato né cresciuto, Nadia Terranova, ma che ha un titolo che, nel dichiarare il sentimento che lega le dieci prose di cui è composto, non potrebbe essere più esplicito: “Come una storia d’amore” (Perrone, 104 pagine, 15 euro). Seppure richiami a luoghi fisici nominandoli o rendendoli facilmente identificabili, la cartografia dell’autrice è una cartografia dell’animo, in cui la rappresentazione procede dal massimo di letterarietà dell’iniziale “Via della Devozione” («Se io, adesso, fossi il prescelto cantore di un quartiere cui capita di finire sui giornali sempre sotto forma di stereotipo perché c’è lo spaccio africano, perché ci sono le trans, perché ci sono gli studenti di Sociologia, perché si beve a buon presso e si incontra l’underground giusto, rimetterei l’investitura. Direi che non c’è nulla che non abbiano già scritto giornalisti molto veloci e cineasti molto fighetti») al minimo di letterarietà del conclusivo “Lettera a R.” – un minimo apparente, s’intende, dovuto alla sua forma di epistola all’amata: ma l’uso della seconda persona singolare è lì a palesare l’artificio retorico.

Inevitabilmente, trattandosi di Roma, ovvero del luogo in cui più che in ogni altro innumerevoli stratificazioni di passato coesistono e si confondono con il presente (“Due sorelle”), questo è anche un libro sul tempo. Tutt’altro che casuali allora le notazioni sul momento in cui iniziano o si svolgono i racconti, e il fatto che molti di essi si aprano proprio con un’indicazione relativa al tempo: «Ogni mattina», «In un settembre esageratamente triste», «per cominciare devi tornare indietro di quindici anni». Ma appunto perché si tratta di Roma, e di Roma raccontata da un autore come Terranova, tra i pochi degni eredi della grande prosa italiana del Novecento, il tempo varrà anche per il modo: «Il giorno in cui sono entrata nella lavanderia sbagliata la mia vita era incagliata in una zona morta»; oppure ancora: «Di fronte a quel tempo srotolato davanti a sé come un deserto nel mezzo di un’estate romana, finalmente pianse». Incidentalmente: sottolineiamo per i futuri studiosi della messinese che le prime parole del bellissimo “Addio fantasmi” sono «Una mattina di metà settembre»: e neanche questo sarà casuale. Fatto salvo “Freezing”, che non dispiace ma neanche piace, gli altri racconti convincono, a partire da “Il primo giorno di scuola”.

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