Jacopo Cullin, poliziotto barese accanto alla Ranieri
ALESSANDRO PIRINA
L’attore cagliaritano nella serie “Le indagini di Lolita Lobosco” su Rai1 che domenica ha avuto 7,5 milioni di spettatori
23 febbraio 2021
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Per decenni gli attori sardi erano chiamati a interpretare personaggi che di cognome facevano Puddu, Sanna, Mulas, Porcu. O al massimo gli affibbiavano il nome di un paese dell’isola, come il Gavino Dorgali di Franco Nero in “Sequestro di persona”. Finalmente quel tabù è caduto e oggi anche un attore dal dna sardissimo può misurarsi con personaggi che invece con l’isola hanno poco a che fare. E così Jacopo Cullin, cagliaritano doc, può interpretare senza problemi il barese Lello Esposito, il poliziotto che affianca nelle indagini la vicequestore Lolita Lobosco - alias Luisa Ranieri - nella omonima serie di Rai 1. Una fiction partita con il botto: la prima puntata, domenica sera, ha sbancato l’auditel: 7,5 milioni di telespettatori.
Cullin, cosa ha provato quando ha letto i dati d’ascolto? Oltre il 30 per cento degli italiani davanti alla tv ha scelto “Le indagini di Lolita Lobosco”.
«È una meraviglia. Devo dire che ci aspettavamo e speravamo in un risultato importante, ma questo è davvero straordinario. Con i colleghi del cast ci sentiamo sentiti subito e abbiamo festeggiato alla grande. La serie più va avanti, più va in crescendo. Quindi, speriamo di continuare così perché ci sarà da divertirsi».
C’è stata un po’ di polemica social per gli accenti pugliesi troppo marcati: com’è stato cimentarsi nel barese?
«Ho studiato tantissimo. Prima di iniziare le riprese avevamo un coach che ci seguiva e ci correggeva le finali, le doppie, la cadenza. Dovevamo trovare il giusto equilibrio per non eccedere nella macchietta. Anche se eccedere veniva quasi naturale, ma sei su Rai 1 e la gente ti deve capire».
Parliamo del suo personaggio, l’attendente Esposito.
«Per prima cosa mi fa piacere essere stato scelto per il ruolo di un poliziotto barese. Basta con quella prassi che ogni attore deve interpretare personaggi della propria regione. Finalmente anche io sono stato trattato come un attore. Per di più per una serie per Rai 1. Andare in prima serata con un personaggio così è un’enorme soddisfazione. È un personaggio divertente e mi fa piacere poter strappare qualche sorriso in un periodo difficile come questo».
Lello è un personaggio un po’ goffo, imbranato.
«Sicuramente è un ingenuo, un mammone. Vuole fare il macho con qualsiasi donna incontri ma non ci riesce. Ma in realtà in tutta la serie i personaggi sono surclassati dalle donne. Sono tutti succubi. Interpretare Lello, comunque, è stato abbastanza semplice, perché era scritto molto bene. Io sono riuscito a dargli i colori miei, che è quello che viene richiesto agli attori».
Lello Esposito come il Catarella di Montalbano?
«Penso più al Frassica di “Don Matteo”. Uno di quei personaggi che hanno la linea comica, come si diceva a “Boris”. È stato molto bello avere questo peso in una fiction che è un prodotto corale, tutti attori straordinari. Poi, se avrò fatto un buon lavoro toccherà al pubblico dirlo».
Il regista di “Lolita Lobosco” è Luca Miniero, lo stesso del divertentissimo “Benvenuti al sud”.
«Non ci conoscevamo, e così i primi giorni li abbiamo passati a studiarci. Avere conquistato la sua fiducia è stata una delle più grandi soddisfazioni. Luca Miniero è oggi tra i migliori registi di commedia».
Com’è stato dividere il set con Luisa Ranieri?
«Ci siamo trovati molto bene, e non solo con lei. Siamo stati il primo set a riaprire dopo il lockdown. Siamo stati super rispettosi di tutti i controlli sanitari. Poi, mentre stavamo girando, c’è stato il secondo lockdown. E dunque stavamo 24 ore su 24 insieme: si è creata una sorta di famiglia e questo ha fatto sì che venissero fuori sfumature di commedia anche fuori dal set».
La serie è prodotta da Luca Zingaretti. E c’è chi avanza similitudini tra Lolita e Montalbano.
«Secondo me no, sono due prodotti molto diversi. Montalbano ha una ambientazione quasi metafisica, senza traffico. Un luogo non luogo. Lolita Lobosco, invece, collocata in una grande città del sud, è più moderna. Non si possono paragonare, a parte il fatto che Zingaretti e Ranieri sono marito e moglie».
Bari è protagonista assoluta della serie al pari degli attori.
«Non è presente solo la città, che viene fuori benissimo con una ottima fotografia. Ma anche aspetti di tipo culturale, come la forza delle donne del sud, che noi sardi conosciamo bene».
Anche Cagliari si presterebbe benissimo per una serie tv di questo tipo.
«Assolutamente sì. Senza contare il grande indotto che una produzione del genere crea per il territorio. Oltre al fatto che sarebbe di grande aiuto per fare crescere il nostro comparto e creare professionisti».
Lei è un attore comico. O preferisce essere definito semplicemente un attore?
«Attore sicuramente, anche se faccio un po’ di tutto: comico, cabarettista. Di certo, le corde che mi vengono più naturali sono quelle della commedia».
L’incontro con Paolo Zucca è stata la sua consacrazione al cinema.
«Purtroppo il cinema non ti dà più la grande popolarità di un tempo, ma “L’uomo che comprò la luna” mi ha portato in giro per il mondo, mi ha permesso di incontrare un sacco di persone. Il film è stato molto apprezzato, dal Sud Corea al Messico, a Londra. Paolo parla un linguaggio universale. Era la Sardegna, ma poteva essere senza problemi la periferia di Belgrado».
Benito Urgu, in un’intervista alla Nuova, ha detto che lei studia per diventare un grande attore e che può arrivare a Hollywood.
«Per la comicità in Sardegna c’è un prima e un dopo Benito Urgu. Io sono cresciuto con le sue cassette, era il mio mito e ora siamo diventati amici. Quando vado a trovarlo a casa ci ritroviamo davanti al caminetto e lui mi racconta che prima in Sardegna c’era solo il circo, in cui lavorava anche lui. Ha preso un po’ di quello che vedeva lì ed è diventato il grandissimo comico che è. Nei miei confronti è stato molto carino, accettandomi nel mondo della comicità».
La pandemia ha fermato cinema e teatri. Come sta vivendo questa situazione?
«Oggi continuano solo le produzioni perché la tv non crea assembramenti. Ma tutti noi speriamo di tornare quanto prima al cinema e a teatro. I miei spettacoli sono per ora rinviati a fine aprile, primi di maggio, ma stiamo navigando a vista».
Ha pensato di fare qualcosa on line?
«Ho fatto un paio di dirette su Facebook per fare un po’ di compagnia, ma quando finiscono mi ritrovo sul divano e non mi resta che mettermi a lavare i piatti».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Cullin, cosa ha provato quando ha letto i dati d’ascolto? Oltre il 30 per cento degli italiani davanti alla tv ha scelto “Le indagini di Lolita Lobosco”.
«È una meraviglia. Devo dire che ci aspettavamo e speravamo in un risultato importante, ma questo è davvero straordinario. Con i colleghi del cast ci sentiamo sentiti subito e abbiamo festeggiato alla grande. La serie più va avanti, più va in crescendo. Quindi, speriamo di continuare così perché ci sarà da divertirsi».
C’è stata un po’ di polemica social per gli accenti pugliesi troppo marcati: com’è stato cimentarsi nel barese?
«Ho studiato tantissimo. Prima di iniziare le riprese avevamo un coach che ci seguiva e ci correggeva le finali, le doppie, la cadenza. Dovevamo trovare il giusto equilibrio per non eccedere nella macchietta. Anche se eccedere veniva quasi naturale, ma sei su Rai 1 e la gente ti deve capire».
Parliamo del suo personaggio, l’attendente Esposito.
«Per prima cosa mi fa piacere essere stato scelto per il ruolo di un poliziotto barese. Basta con quella prassi che ogni attore deve interpretare personaggi della propria regione. Finalmente anche io sono stato trattato come un attore. Per di più per una serie per Rai 1. Andare in prima serata con un personaggio così è un’enorme soddisfazione. È un personaggio divertente e mi fa piacere poter strappare qualche sorriso in un periodo difficile come questo».
Lello è un personaggio un po’ goffo, imbranato.
«Sicuramente è un ingenuo, un mammone. Vuole fare il macho con qualsiasi donna incontri ma non ci riesce. Ma in realtà in tutta la serie i personaggi sono surclassati dalle donne. Sono tutti succubi. Interpretare Lello, comunque, è stato abbastanza semplice, perché era scritto molto bene. Io sono riuscito a dargli i colori miei, che è quello che viene richiesto agli attori».
Lello Esposito come il Catarella di Montalbano?
«Penso più al Frassica di “Don Matteo”. Uno di quei personaggi che hanno la linea comica, come si diceva a “Boris”. È stato molto bello avere questo peso in una fiction che è un prodotto corale, tutti attori straordinari. Poi, se avrò fatto un buon lavoro toccherà al pubblico dirlo».
Il regista di “Lolita Lobosco” è Luca Miniero, lo stesso del divertentissimo “Benvenuti al sud”.
«Non ci conoscevamo, e così i primi giorni li abbiamo passati a studiarci. Avere conquistato la sua fiducia è stata una delle più grandi soddisfazioni. Luca Miniero è oggi tra i migliori registi di commedia».
Com’è stato dividere il set con Luisa Ranieri?
«Ci siamo trovati molto bene, e non solo con lei. Siamo stati il primo set a riaprire dopo il lockdown. Siamo stati super rispettosi di tutti i controlli sanitari. Poi, mentre stavamo girando, c’è stato il secondo lockdown. E dunque stavamo 24 ore su 24 insieme: si è creata una sorta di famiglia e questo ha fatto sì che venissero fuori sfumature di commedia anche fuori dal set».
La serie è prodotta da Luca Zingaretti. E c’è chi avanza similitudini tra Lolita e Montalbano.
«Secondo me no, sono due prodotti molto diversi. Montalbano ha una ambientazione quasi metafisica, senza traffico. Un luogo non luogo. Lolita Lobosco, invece, collocata in una grande città del sud, è più moderna. Non si possono paragonare, a parte il fatto che Zingaretti e Ranieri sono marito e moglie».
Bari è protagonista assoluta della serie al pari degli attori.
«Non è presente solo la città, che viene fuori benissimo con una ottima fotografia. Ma anche aspetti di tipo culturale, come la forza delle donne del sud, che noi sardi conosciamo bene».
Anche Cagliari si presterebbe benissimo per una serie tv di questo tipo.
«Assolutamente sì. Senza contare il grande indotto che una produzione del genere crea per il territorio. Oltre al fatto che sarebbe di grande aiuto per fare crescere il nostro comparto e creare professionisti».
Lei è un attore comico. O preferisce essere definito semplicemente un attore?
«Attore sicuramente, anche se faccio un po’ di tutto: comico, cabarettista. Di certo, le corde che mi vengono più naturali sono quelle della commedia».
L’incontro con Paolo Zucca è stata la sua consacrazione al cinema.
«Purtroppo il cinema non ti dà più la grande popolarità di un tempo, ma “L’uomo che comprò la luna” mi ha portato in giro per il mondo, mi ha permesso di incontrare un sacco di persone. Il film è stato molto apprezzato, dal Sud Corea al Messico, a Londra. Paolo parla un linguaggio universale. Era la Sardegna, ma poteva essere senza problemi la periferia di Belgrado».
Benito Urgu, in un’intervista alla Nuova, ha detto che lei studia per diventare un grande attore e che può arrivare a Hollywood.
«Per la comicità in Sardegna c’è un prima e un dopo Benito Urgu. Io sono cresciuto con le sue cassette, era il mio mito e ora siamo diventati amici. Quando vado a trovarlo a casa ci ritroviamo davanti al caminetto e lui mi racconta che prima in Sardegna c’era solo il circo, in cui lavorava anche lui. Ha preso un po’ di quello che vedeva lì ed è diventato il grandissimo comico che è. Nei miei confronti è stato molto carino, accettandomi nel mondo della comicità».
La pandemia ha fermato cinema e teatri. Come sta vivendo questa situazione?
«Oggi continuano solo le produzioni perché la tv non crea assembramenti. Ma tutti noi speriamo di tornare quanto prima al cinema e a teatro. I miei spettacoli sono per ora rinviati a fine aprile, primi di maggio, ma stiamo navigando a vista».
Ha pensato di fare qualcosa on line?
«Ho fatto un paio di dirette su Facebook per fare un po’ di compagnia, ma quando finiscono mi ritrovo sul divano e non mi resta che mettermi a lavare i piatti».
©RIPRODUZIONE RISERVATA