La Nuova Sardegna

Il boom di “Seaspiracy” un’inchiesta choc sulla pesca intensiva

di Alessandra Magliaro
Il boom di “Seaspiracy” un’inchiesta choc sulla pesca intensiva

È fra i top su Netflix. Denuncia truffe e attacchi alla salute e mette sotto accusa i marchi della grande distribuzione 

03 aprile 2021
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ROMA. Dopo aver smesso di mangiare carne in seguito al documentario “Cowspiracy” e in ultimo all'inchiesta di “Presadiretta” di lunedì scorso su Rai3 sugli allevamenti intensivi, tra l'altro bombe epidemiologiche, lo spettatore di “Seaspiracy” smetterà di mangiare pesce. Molto probabilmente, oppure ne ridurrà il consumo. Il documentario, distribuito in Italia su Netflix dal 24 marzo, si sta facendo notare in tutto il mondo, rilanciato dalle associazioni ambientaliste. In Italia, nell’ultima settimana, è stato tra i contenuti Netflix più scaricati. Realizzato dallo stesso team di “Cowspiracy: The Sustainability Secret” del 2014, rivela non solo il pericolo degli oceani per la pesca massiva ma anche quello che di illegale, di violazione di diritti umani, di vera e propria schiavitù che c'è dietro e se non importasse l'aspetto etico e di giustizia c'è un ulteriore aspetto choc per i consumatori: una vera e propria truffa della loro fiducia rispetto al bollino “pesca sostenibile” o “salva delfini” di cui a pagamento e senza reali autentici controlli si fregiano in tutto il mondo i marchi della grande distribuzione, anche quelli che noi italiani troviamo al market. La stessa definizione di “pesca sostenibil” nell'inchiesta del filmaker inglese Ali Tabrizi è praticamente assente nelle risposte dei commissari dell'Unione Europea.

“Seaspiracy - Esiste la pesca sostenibile?”, il cui solo trailer su YouTube, visibile anche ai non abbonati e già denso di argomenti scioccanti, viaggia intorno al milione di visualizzazioni, smonta la visione romantica dei mari e pure quella che la plastica è la causa di tutti i mali: lo è, fa vedere il giovane documentarista con il piglio di un Michael Moore delle spiagge del sud Inghilterra dove a decine si sono spiaggiate le balene due anni fa, ma non è né la sola né la peggiore, perché i veri pericoli per l'habitat degli oceani e dunque anche per la sopravvivenza di tutti noi ('85% dell'ossigeno che respiriamo proviene dai nostri mari) sono nella pesca massiccia, spesso illegale, di vera razzia della popolazione marina senza distinzioni (il 40% del pescato globale è inutilizzato, sprecato o non contabilizzato, le cosiddette devastanti catture accessorie).



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