La Nuova Sardegna

L’INTERVISTA 

«Negli occhi di Sara la realtà del mondo si rivela un mistero»

«Negli occhi di Sara la realtà del mondo si rivela un mistero»

Il tempo sembra scorrere all’indietro nel nuovo romanzo di Maurizio De Giovanni, “Gli occhi di Sara” (Nero Rizzoli, 19 euro) in cui torna Sara Morozzi, la donna invisibile esperta di cinesica – la...

04 aprile 2021
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Il tempo sembra scorrere all’indietro nel nuovo romanzo di Maurizio De Giovanni, “Gli occhi di Sara” (Nero Rizzoli, 19 euro) in cui torna Sara Morozzi, la donna invisibile esperta di cinesica – la scienza della comunicazione non verbale – ed ex appartenente alla più riservata unità dei Servizi, una struttura impegnata in attività non autorizzate di intercettazione, dossieraggio e spionaggio. Mentre si trova a combattere con un nemico mortale e invisibile che ha colpito il piccolo nipote, contro cui neppure lei può niente, il presente si rispecchia in un segreto inconfessabile che affonda le radici nell’autunno del 1990, quando giovanissima si imbatté in una cospirazione in grado di cambiare le sorti non soltanto dell’Italia, ma di tutta l’Europa. In un magistrale e serrato dialogo tra presente e passato, De Giovanni tratteggia l’indagine più intima e dolorosa della sua protagonista.

Con la serie su Sara Morozzi sta portando avanti una rilettura del passato più oscuro del nostro Paese.

«È il mio modo di indagare in un passato che ha molte zone d’ombra sia per quello che è successo sia per quello che non è successo. Il territorio narrativo è enorme e offre splendide possibilità di raccontare come alcuni crimini e alcuni tragici avvenimenti non sono stati evitati e perché, giocando tra realtà e ipotesi narrative».

I suoi universi letterari potrebbero diventare dei vasi comunicanti con personaggi di serie diverse che si incrociano nelle rispettive indagini?

«Non ho pregiudiziali su questo. È come se queste storie fossero vestiti diversi che io indosso a seconda delle circostanze. Mina è la commedia colorata, chiassosa e socialmente impegnata. I Bastardi di Pizzofalcone sono il poliziesco puro, il plurale, una sorta di coro polifonico che canta l’anima a volte anche più preoccupante della città. Ricciardi è l’emotività evocativa, color seppia, il sentimento, l’intimismo. Sara è nera, è misteriosa e poco definibile; è sfuggente, ed è questo il segreto del suo fascino. Sono tutti vestiti diversi, ma li si può mettere anche insieme. Una maglietta a volte sta bene sotto una giacca, no? Quindi chissà che prima o poi non nasca un cross-over tra le serie. Le ascendenze di Sara, per esempio, mi fanno pensare molto a Ricciardi. E siccome la figlia di Ricciardi avrebbe ventotto anni quando nasce Sara…».

Questo manderebbe in fibrillazione il suo esercito di lettori.

«Eh, sì. Sarebbe interessante andare a vedere i rapporti di parentela tra i due. Così come Lojacono potrebbe indagare su un caso che ha degli addentellati che vanno negli anni Trenta, e quindi raccontare Ricciardi e Lojacono insieme, da due punti temporali diversi. Oppure i Bastardi potrebbero incontrare Mina Settembre nel suo lavoro e nella sua operatività. Non ho preclusioni. Se dovesse capitare la storia giusta, perché no?».

«Il destino esiste, ma all’indietro». È una frase che ritorna nel romanzo.

«Facevo riferimento al butterfly effect, al famoso effetto farfalla, in cui io credo, ma soprattutto a livello temporale. Eventi apparentemente innocenti trent’anni prima, possono avere una determinante portata storica trent’anni dopo. Tu considera un ragazzotto austriaco, non viene ammesso all’Accademia d’arte e trent’anni dopo muoiono sei milioni di ebrei. Chi potrebbe mettere in correlazione i due eventi? Eppure, i due eventi sono in correlazione. Il destino può essere riletto al contrario. Possono esserci degli eventi nel passato, che letti oggi sono causali di eventi enormi in portata futura. Questa dal punto di vista storiografico è un’attività pressoché inutile, ma dal punto di vista narrativo no. Anzi. Andare a cercare i fili che portano gli eventi attuali alle loro cause remote è divertente dal punto di vista narrativo, e al tempo stesso offre una chiave di lettura per il futuro. Quindi sì: il destino esiste, ma si scrive soltanto al contrario. Si può ricostruire solo andando a scavare nel passato».

Il romanzo – come sempre in questa serie – gioca tra i giorni nostri e il passato. Nello specifico l’autunno del 1990. L’ha impegnata molto il lavoro di documentazione?

«Il lavoro di studio è sempre attento e preciso, ma in questo caso anche sorprendente per molti versi, perché il 1990 (che per me è ieri) ho scoperto essere un’altra epoca con il crollo del Muro, le antiquate telecomunicazioni, i vari sconvolgimenti politici e culturali di una pletora di Paesi dell’ex blocco dell’Est, ed è stato particolarmente interessante da studiare come periodo. Trent’anni sono tantissimi in relazione ai cambiamenti politici, al vivere sociale, al costume. Ho scoperto delle cose avvenute in Romania che non sapevo: epurazioni, deportazioni, esecuzioni sommarie, è stato un periodo veramente terribile».

Se le dessero la possibilità di fare una singola domanda a tre personaggi per lei importanti, cosa chiederebbe, per esempio a Georges Simenon?

«Gli chiederei se non gli facesse rabbia – essendo lui, a mio avviso, uno dei cinque migliori scrittori del secolo passato, e con cinque voglio essere largo – con tutto ciò di meraviglioso che ha scritto, e con lo stile cristallino che l’ha caratterizzato, essere comunque etichettato come uno scrittore di genere e non tout court un grandissimo scrittore».

A Eduardo De Filippo?

«Gli domanderei se pensa ancora che la via giusta sia lasciare la città».

Maradona?

«Se non soffra per tutto il talento sprecato, per aver gettato via tutto quel meraviglioso talento per la sua fragilità».

Presentare i romanzi in tempi pandemici non è facile. Ma ha comunque trovato un modo originale per arrivare ai suoi lettori con l’appuntamento del 9 aprile.

«Abbiamo registrato al Teatro San Ferdinando di Napoli – il teatro di Eduardo De Filippo e sono molto felice che sia stato concesso alla Rizzoli per l’occasione – un reading letterario musicato con due straordinarie attrici: Greta Scarano e Carla Signoris. Ho partecipato anch’io con delle letture da “Gli occhi di Sara” e il tutto è stato montato appositamente per il web, così da poter raggiungere tutti i lettori con un mini spettacolo che potesse intrattenerli in questo periodo così complesso. Il 9 andrà in onda alle 19.30 sui profili social di Rizzoli e di tutte le librerie che hanno deciso di aderire a questa nuova forma di “presentazione”».

È stato complesso scrivere in questa strana situazione che stiamo vivendo?

«No, anzi. La pandemia non ha avuto riflessi sulla mia scrittura. Per me la scrittura è sempre una via di fuga, lo è sempre stata. È una via d’uscita dalla realtà. Quindi la tristezza e la malinconia che c’è all’esterno non inficia né la capacità né la volontà di raccontare storie. Per me è un altro mondo, in cui io apro la porta e vado. Ed è necessario che sia così, perché se io non riesco ad astrarmi dalla realtà, non ci riuscirà nemmeno il lettore. E questo portare il lettore da un’altra parte, in un altro mondo, è qualcosa di nobilissimo, secondo me. Non si scrive per se stessi: si scrive per raccontare. Io sono felicemente e fieramente un narratore popolare».

Anche Andrea Camilleri condivideva questa poetica.

«Esattamente. Quando gli chiedevo: “Andrea, ma tu cosa vuoi fare da grande?”. Lui rispondeva: “Io voglio sedermi vicino alla fontana del mio paese, raccontare le mie storie e poi girare con la coppola in mano”. E questa credo che sia proprio l’essenza del narratore».

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