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La lunga marcia Cento anni di sardismo

La lunga marcia Cento anni di sardismo

Il Partito sardo d’Azione nasce il 17 aprile 1921 dal Movimento dei combattenti, riunito a Oristano per preparare le imminenti elezioni politiche. Ma l’evento è preparato da un lungo fermento...

18 aprile 2021
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Il Partito sardo d’Azione nasce il 17 aprile 1921 dal Movimento dei combattenti, riunito a Oristano per preparare le imminenti elezioni politiche. Ma l’evento è preparato da un lungo fermento intellettuale e sociale.

In atto sin da metà Ottocento, il fermento intellettuale era stato portato alla sintesi, nel primo Novecento, da Attilio Deffenu il cui pensiero, sospeso tra sindacalismo, liberismo e autonomismo, gettava i semi delle idee che Camillo Bellieni ed Emilio Lussu avrebbero trascritto in programma politico. Il fermento sociale, pure lungamente in atto, dai moti rurali dell’Ottocento e dalle agitazioni urbane del primo Novecento, aveva avuto la massima accensione nella Grande Guerra, quando un «popolo in armi», come si è scritto, prendeva coscienza del proprio valore e dei propri diritti.

Il confine di Eboli

Se guardiamo alle premesse sociali del movimento sardista possiamo ben annetterlo a quel movimento di «milioni di uomini semplici» che, in tutto il mondo, si mettevano in moto – avrebbe scritto Ernesto De Martino – per travolgere il «confine di Eboli» e venire alla storia. In questa prospettiva è poco utile valutare l’atto fondativo del Partito sardo in base alla piena coerenza del suo programma politico. Fossero salveminiani, sindacalisti, dannunziani o altro, Bellieni, Lussu, Francesco Fancello, Pietro Mastino e gli altri giovani che si posero alla guida del movimento ebbero infatti tutti l’intelligenza e l’ardire di farsi interpreti in Sardegna di un movimento epocale di emancipazione delle masse rurali.

Le lezioni del 1921

L’affermazione nelle politiche del maggio 1921, con il 28,8% dei suffragi e l’elezione di quattro deputati (Umberto Cao, Paolo Orano, Lussu e Mastino) faceva ben sperare che il Partito sardo avrebbe in breve sbaraccato la logora élite liberale e avviato il rinnovamento politico e sociale dell’isola. Giusto un mese prima della fondazione del Psd’Az, lo squadrismo fascista aveva però cominciato ad agire anche nell’isola, muovendo dall’Iglesiente, e la competizione politica doveva cedere il campo al confronto violento.

L’ascesa al potere di Mussolini, nell’ottobre 1922, modificò poi radicalmente la situazione, mettendo nell’angolo i partiti di opposizione. In Sardegna meno che nel resto del Paese, peraltro, perché il Partito sardo conservava tale consenso da spingere Mussolini a tentare di guadagnarlo alla causa fascista, incaricando il generale Gandolfo, inviato a Cagliari come prefetto, di allettarlo facendo le viste di condividerne il programma autonomistico.

Con Mussolini

Gandolfo mancò l’obiettivo, per l’opposizione strenua di Bellieni e di Fancello, soprattutto, ma inserì comunque un cuneo divisivo nel corpo del Psd’Az, provocandone il distacco della componente più moderata, che aderiva al Partito fascista assumendovi subito ruoli di direzione a scapito dei fascisti della prima ora. Di contro, la parte più popolare, maggioritaria, rafforzava la sua opposizione al fascismo e nelle politiche del 1924, nonostante il clima d’intimidazione, eleggeva nuovamente al Parlamento Lussu e Mastino.

L’aggressione a Lussu

Quando il governo di Mussolini era già diventato dittatura, il 31 ottobre 1926 Lussu fu aggredito nel suo studio di Piazza Martiri a Cagliari e si difese con le armi, uccidendo un giovane fascista, Battista Porrà. Incarcerato, il 22 ottobre 1927 fu assolto per legittima difesa dai giudici della Sezione d’Accusa della Corte d’Appello cagliaritana. Spedito, nondimeno, al confino di Lipari, ne evase il 27 luglio 1927 assieme a Carlo Rosselli e Fausto Nitti, con i quali fondò a Parigi il movimento di Giustizia e Libertà.

Dopo la guerra

Non furono pochi i sardisti che tennero accesa la fiaccola dell’antifascismo, all’estero, in Italia e in Sardegna, e al suo rientro nell’isola, dopo quindici anni di esilio, Lussu non mancò di riconoscerlo agli antichi compagni. La sua strada, però, non era più la loro. In Giustizia e Libertà aveva maturato orientamenti socialisti e non vedeva più un futuro per il Partito sardo come partito regionale. Si proponeva perciò di affiliarlo prima al Partito d’Azione e di portarlo poi nel Partito socialista. Ma era strada impraticabile, e non solo perché il Psd’Az aborriva il socialismo non meno del comunismo, ma anche perché non era disposto a cancellare la propria identità regionale, prima ragione della sua esistenza. La linea di Lussu fu perciò più volte respinta dai congressi del Psd’A, sino a quello del 1948, che Lussu abbandonò per dare vita al Partito sardo d’Azione socialista, che nel novembre del 1949 confluiva nel Partito socialista. Questa scissione non fu meno dolorosa di quella del 1923: per il Partito sardo, che smarriva la sua ispirazione più popolare e radicale, e anche per Lussu, che perdeva alquanto del suo carisma di leader.

La ricostruzione

Gli anni della ricostruzione furono di costante declino elettorale per il Psd’Az. Nelle elezioni del 1946 per la Costituente aveva ottenuto il 14,3 % dei voti sardi, e aveva eletto Lussu e Mastino. Conservava un buon consenso nelle politiche del 1948, con il 10,2% dei voti, che erano una buona metà di quelli ottenuti dal Fronte popolare (comunisti, socialisti e lussiani).

Nelle politiche del 1953 e del 1958 calava però al 7 e al 3,9 %, e in quelle del 1963, 1968 e 1972 neppure presentava liste proprie.

Pagava la perdita d’identità conseguente ad anni di subalternità alla Democrazia cristiana. In seguito a garantirgli una rappresentanza regionale, nazionale e poi anche europea, fu l’avvicinamento al già esecrato Partito comunista, che gli consentiva di portare nel parlamento italiano ed europeo i suoi due maggiori esponenti: Michele Columbu (politiche del 1972 ed europee del 1984) e Mario Melis (politiche del 1976 ed europee del 1989).

Scelta indipendentista

Intanto riaffiorava nel suo seno la scelta indipendentista, che Antonio Simon Mossa avanzava nel congresso del 1968. Scelta che era stata già fatta dai gruppi neo-sardisti suscitati dal fallimento di quella strategia nazionale per lo sviluppo dell’isola che era stato il Piano di Rinascita. Erano gruppi d’ispirazione per lo più radicale, con all’orizzonte i valori dell’identità sarda, a partire dalla lingua, ma che, frammentati e litigiosi, non trovavano uno sbocco elettorale. A raccogliere il buon frutto della loro semina fu così proprio il Partito sardo, che nelle regionali del 1979 riuscì a eleggere tre consiglieri.

Crisi sociale

Due anni dopo, nel Congresso di Porto Torres, il Psd’Az metteva in statuto l’obiettivo indipendentista, che in un quadro di profonda crisi politica e sociale produceva consenso, soprattutto tra i giovani delle zone interne e tra gli operai dei poli industriali in disarmo. Nelle politiche del 1983 ottenne il 9,5% dei voti sardi, e nelle regionali del 1984 il 13,7%.

Riacquistata la valenza di partito di massa, il Psd’Az poteva riprendere un ruolo di protagonista nella scena politica isolana e portare, con una coalizione di sinistra, Mario Melis al governo regionale per un’intera legislatura, tra il 1984 e il 1989.

L’alleanza con le forze progressiste era ripresa con le giunte di Federico Palomba, sino al 1997 quando i sardisti uscivano dal governo regionale per dissenso con il presidente.

Storia recente

Il resto è storia recente. Dopo anni di tormentate leadership, oscillanti tra l’attrazione progressista e quella sovranista, il Psd’Az si sposta più decisamente a destra. Dopo una breve parentesi, nel 2015, di Giovanni Columbu (figlio di Michele), la segreteria del partito è conquistata da Christian Solinas, che stringe un’alleanza con la Lega Nord che lo porta prima al Senato della Repubblica e quindi al governo regionale, secondo sardista dopo Melis.

Quanto questa scelta di campo del Partito sardo d’Azione, tenuto a battesimo cento anni fa da Emilio Lussu e da Camillo Bellieni, sia coerente con la storia qui narrata, lo dice bene la decisione di espellerlo presa dall’Alleanza Libera Europea, che raccoglie i partiti autonomisti, federalisti e indipendentisti d’Europa.



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