La Nuova Sardegna

Mangiare meglio per difendere il pianeta

Mangiare meglio per difendere il pianeta

“Il cibo che ci salverà”, nel libro di Eliana Liotta svolta verde a tavola per fermare il riscaldamento globale

18 aprile 2021
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«Eco coincide con ego» questo il messaggio di “Il cibo che ci salverà. La svolta ecologica a tavola per aiutare il pianeta e la salute” (La nave di Teseo) il nuovo libro di Eliana Liotta dall’8 aprile nelle librerie. Un volume che richiama noi tutti alla consapevolezza della situazione del pianeta e ci mostra una strada percorribile di impegno personale, reale e quotidiano, verso la conquista di un nuovo equilibrio. «È essenziale, assolutamente necessario intervenire sul sistema alimentare, cioè su quello che mangiamo e sul modo in cui lo produciamo, per fermare il riscaldamento globale e aiutare il nostro pianeta» spiega Eliana Liotta, giornalista, divulgatrice scientifica e autrice di best seller come “La Dieta Smartfood”, tradotta in oltre 20 Paesi e firma di due rubriche settimanali: una su Corriere Salute e una su Io Donna.

Perché un’alimentazione selvaggia incide in maniera negativa sulla salute, non solo nostra personale, ma dell’intero pianeta, dottoressa Liotta?

«Perché dalla nostra tavola, dai nostri consumi e dal sistema che sta dietro l’industria alimentare, (allevamento, agricoltura, lavorazione, imballaggio e spedizione) dipende un terzo delle emissioni di gas serra, quei gas che sono responsabili dell’aumento delle temperature. Secondo le stime della Fao, il bestiame produce gas serra quanto tutti i camion, le auto, i velivoli e le navi di tutto il mondo messi insieme».

Come si può paragonare una macchina a una mucca o a una pecora?

«Perché i ruminanti producono durante la digestione metano, che ha un effetto serra superiore, e di molto, all’anidride carbonica prodotta dai trasporti e dalle industrie».

Esiste anche un problema di polveri sottili?

«Può apparire lontano da fattorie e pascoli, eppure gli allevamenti di tutti gli animali, anche di polli, influiscono sull’inquinamento, perché l’ammoniaca dei loro liquami si trasforma in Pm 2,5, particelle in grado poi di penetrare nei nostri polmoni ed entrare in circolo nel sangue. Secondo i dati di Greenpeace, tra il 1990 e il 2018, nel nostro Paese è diminuito l’inquinamento dovuto ai trasporti su strada, all’industria e alla produzione energetica, ma è aumentata del 10% la quota legata alla zootecnia»

C’è poi anche una pressione diretta sugli ecosistemi?

«Immense aree di foreste vengono distrutte per lasciare spazio agli allevamenti intensivi e ai terreni agricoli, spesso destinati alla produzione di soia come mangime per gli animali o di palme da olio per l’ingrediente di merendine e altri cibi ultraprocessati. Almeno tre i pericoli: vengono emesse grandi quantità di carbonio nell’atmosfera quando si abbattono gli alberi; si devastano gli habitat naturali aumentando il rischio di insorgenza di nuove epidemie, perché si accorciano le distanze con gli animali selvatici e si eliminano i polmoni verdi della terra».

Nel suo libro lei indica una strada per uscire da questo sistema autodistruttivo, quali sono le parti fondamentali?

«Che cosa accadrebbe se in futuro tutti mangiassero come in Canada e negli Stati Uniti, dove oggi si consuma in media quasi sei volte e mezzo la quantità raccomandata di carne rossa? È evidente che la Terra non riuscirebbe a sostenere neppure lontanamente questi stili dispendiosi. Le linee guida per una sana alimentazione italiana prevedono il consumo di carne rossa una volta alla settimana: questo dovrebbe essere l’orientamento ideale per gli onnivori, in modo da fare il bene dell’eco e dell’ego. Come ha calcolato una commissione internazionale prestigiosa, Eat Lancet, se noi, intendo il mondo occidentale e industrializzato, riuscissimo, entro il 2050, a raddoppiare il consumo di vegetali e dimezzare quelli di farine, raffinate, zuccheri e carni rosse e lavorate, si frenerebbe il riscaldamento globale e si potrebbero evitare almeno 11 milioni e mezzo di decessi prematuri all’anno dovuti a nocive abitudini alimentari»

Il rapporto col cibo è mutato radicalmente negli ultimi decenni, basta guardare delle foto fino agli anni ’70 per vedere molta meno gente sovrappeso. Cosa è accaduto?

«Si è passati da un rapporto di rispetto, che voleva dire: non sprecare (il bacio al pane caduto delle civiltà contadine), al boom economico e all’idea del cibo visto esclusivamente come merce, subito disponibile. Il cibo è anche una minaccia sociale, la fame nel mondo sta di nuovo aumentando in maniera preoccupante. Siamo entrati ormai nell’era dell’Antropocene, l’uomo al centro di tutto che riesce a cambiare gli equilibri del pianeta, del clima e degli oceani. Bisogna ricostruire un rapporto etico, recuperare il grande bagaglio simbolico e di valori del cibo».

Oltre all’analisi dell’universo alimentare lei offre anche degli esempi pratici, delle azioni quotidiane e virtuose?

«Sì sono convinta, citando Tolstoj che: “Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiar se stesso”. Invece nelle scelte di ognuno c’è la forza per migliorare noi stessi e il mondo in cui viviamo. Si può scegliere di essere ecocarnivori, riducendo semplicemente il consumo di carne rossa. C’è la Dieta mediterranea che prevede vegetali in abbondanza, carne rossa solo una volta alla settimana e un consumo moderato di latticini. Quella Carnivora climatica con almeno il 75% del consumo di carne di ruminanti e di prodotti lattiero-caseari che viene sostituito da carne di maiale, coniglio, pollo e tacchino. Difatti manzo, capretto, vitello e agnello hanno l’impatto climatico maggiore per grammo di proteine. Il maiale, una buona notizia per la tradizione sarda, non essendo un ruminante ha un impatto molto minore, poi molti tipi di pesce e pollame stanno nel mezzo, un po’ più su per impatto di carbonio i formaggi. La Dieta pescetariana: prevede il consumo di pesce ma non di carne e in qualche variante nemmeno di latticini. La Dieta vegetariana: esclude carne e pesce ma non uova, latte e latticini e, infine, quella Vegana che ammette solo fonti vegetali».

Il chilometro zero?

«Una bella filosofia ma rischia di essere fuorviante. Comprare il manzo dal produttore locale fa risparmiare meno dell’1% delle emissioni di gas serra, perché l’anidride carbonica che deriva dal trasporto costituisce una quota molto piccola dell’industria alimentare».

Lei scrive che il cibo che ci salverà è intelligente e innovativo.

«Ripongo grandi speranze nella scienza e nella tecnologia. Per esempio, si sta sperimentando la clean meat, una carne creata in laboratorio a partire dalle cellule staminali senza macellazione».

Quanto è ottimista dal suo osservatorio?

«Scelgo di esserlo, e poi vedo un’attenzione crescente su questi temi da parte delle nuove generazioni. Ma abbiamo bisogno di una “rivoluzione delle forchette”, non possiamo delegare e aspettare che si muovano i governi e le industrie. Credo nell’educazione e nella gentilezza anche nei confronti di quello che portiamo a tavola, sono regole alla base della convivenza che dobbiamo mettere in pratica anche nei confronti del pianeta. E poi dobbiamo rendere omaggio a quello che ci ha reso grandi: il nostro cervello».



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