La Nuova Sardegna

Fabrizio De André, la sua arte e la Sardegna

Alessandro Pirina
Fabrizio De André, la sua arte e la Sardegna

A Venezia il documentario su Faber girato a Portobello con Cristiano protagonista e Dori Ghezzi produttrice

11 settembre 2021
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Cristiano racconta Fabrizio. Non è la prima volta che il figlio del grande Faber rende omaggio al padre, ma solitamente lo fa sul palco. Questa volta il tributo è un documentario, un suggestivo e profondo film da cui emerge il De André artista, padre, uomo. E anche il De André sardo. Perché il film di Roberta Lena, presentato fuori concorso ieri alla Mostra del cinema di Venezia, è intriso di Sardegna. Girato perlopiù nella villa di Portobello che Faber costruì negli anni Sessanta - e dove oggi Cristiano vive - prende il titolo da "Storia di un impiegato", il capolavoro dei capolavori del 1973, che De André scrisse insieme a Giuseppe Bentivoglio e Nicola Piovani proprio nella sua casa sulla costa gallurese. Un album che Cristiano ha riproposto in un tour durato due anni che ha riempito teatri e palazzetti di tutta Italia. Ed è proprio partendo da quel tour che è nata l'idea di questo documentario che vede Roberta Lena alla regia, Cristiano come protagonista insieme a Fabrizio e Dori Ghezzi in veste di produttrice. Un percorso musicale e visivo attraverso quei concerti dal vivo, repertori di lotte sociali, memorie storiche, familiari e filmati inediti.

Un racconto tra ieri, oggi e forse domani in cui Cristiano apre per la prima volta le porte della casa di Portobello. Perché se nell’immaginario collettivo il legame tra De André e la Sardegna è l’Agnata, in realtà la prima casa di Faber nell’isola è sulla costa di Aglientu. Nel documentario Cristiano racconta la sua prima volta in Sardegna, lo sbarco a Porto Torres dalla nave canguro e l’arrivo in questo angolo di paradiso che poi sarebbe diventata la sua dimora anche da adulto. «Ho scelto di girare a Portobello perché l’ha costruita mio padre, perché c’era anche mia madre. E perché non se ne era mai parlato. Ho voluto raccontare quello che succedeva in quella casa. A quei tempi c’era un via vai di artisti. Nel soggiorno si alternavano su un palchetto Paolo Villaggio, Ugo Tognazzi, Walter Chiari, Marco Ferreri e facevano piccoli spettacoli che poi sarebbero diventate importanti commedie italiane. C’era una grande voglia di cambiare il mondo. Io ero piccolo ma assorbivo tutto». «Abbiamo scelto di farlo in Sardegna perché ancora oggi resta uno dei posti più incontaminati – aggiunge Dori Ghezzi –. Neanche i romani sono riusciti a conquistarla. E ancora oggi continua a essere in qualche modo indipendente. La nostra scelta di vivere in Sardegna ha un significato ben chiaro».

Faber e il ’68. L’isola, dunque, non fa solo da sfondo a questo racconto su De André, sulla contemporaneità della sua arte, delle sue parole, ma è il luogo del cuore in cui sembrano ritrovarsi Fabrizio e Cristiano. «Solo l’arte riesce a emozionare al di là dei tempi – dice ancora Cristiano –. Mio padre con le parole riusciva a dare una visione alta del mondo e credo continuerà a suscitare emozioni anche tra 200 anni. Io ho voluto rileggere “Storia di un impiegato” perché ho trovato molte analogie con il presente, perché ci si sta di nuovo affezionando al potere, al sopruso. Si respira un nuovo vento di odio, di dittatura. Non c’è più compassione per i deboli, i senza nome, i diversi che cantava mio padre. Servono etica e valori alti per non perdere la bussola. Mi auguro che la “Storia di un impiegato” possa smuovere qualche giovane coscienza affinché il dolore degli altri non resti sempre un dolore a metà». Anche per Dori Ghezzi il presente non è così diverso dal passato. «Sono esigenze cicliche, di generazione in generazione si sente la necessità di cambiare. Anche se il Sessantotto più che un rivoluzione è stato un tentativo, come emerge anche dal disco di Fabrizio. Le istanze erano giuste, la volontà c’era, ma ci sono modi e modi di realizzarla. Fabrizio lo aveva capito, tanto che in quel periodo uscì con un disco inaspettato, “La buona novella”, dove di fatto diceva che Gesù Cristo ai suoi tempi fece la rivoluzione ma con risultati diversi. Non fu capito, fu criticato, ma Fabrizio era uno che diceva le cose che pensava senza imporle, senza condannare nessuno. Per lui il Sessantotto aveva avuto aspetti positivi, ma non solo».

A ottobre al cinema. “DeAndré#DeAndré Storia di un impiegato”, che uscirà in sala solo il 25, 26 e 27 ottobre, è in qualche modo il sequel cinematografico dell’opera rock portata in tour da Cristiano. «Quando mi è stata affidata la regia mi sono resa conto della potenza e della contemporaneità delle parole contenute nell’album – spiega la regista Roberta Lena –. Nelle gesta dell’impiegato ho ritrovato la parabola di una generazione e un monito per quelle future in un destino umano che si ripete; la violenza come arma inutile e goffa e la necessità ancora oggi di invocare una giustizia sociale in nome di quell’umanità di cui spesso ci riempiamo la bocca qui declinata in parole sapienti, utili a focalizzare concetti di cui riappropriarci».
 

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