Marras, i colori dei roghi nella nuova collezione
Angiola Bellu
Lo stilista si è ispirato al disastro che questa estate ha devastato il Montiferru. La sfilata accompagnata da un suo video girato a Cuglieri e a Santu Lussurgiu
21 settembre 2021
3 MINUTI DI LETTURA
Milano è da oggi, fino al 27 settembre, il centro della moda mondiale con la sua tradizionale Fashion Week primavera/estate 2022. Quest'anno gli stilisti hanno scelto di presentare le collezioni in presenza o in digitale. Tra questi ultimi c'è Antonio Marras, che mostrerà domani alla stampa il suo short film, attesissimo dopo il successo mondiale del suo corto – ispirato alla storia del complesso Nuragico di Barumini – presentato nella scorsa edizione.
Abbiamo sentito in anteprima l'artista, che ci ha raccontato come e perché ha scelto ancora una volta il cinema per raccontare le sue creazioni.
Antonio Marras, lo scorso febbraio il digitale era l'unico mezzo per raccontare una collezione. Perché oggi ha rifatto questa scelta?
« Intanto perché, dopo l'impossibilità dell'inverno scorso di operare in maniera diversa, ho scoperto che quell'esperienza è stata molto eccitante e stimolante: la macchina da presa è uno strumento straordinario per guardare in altra maniera e da un'altra distanza le cose».
Quando ha deciso che la sua sfilata sarebbe diventata un film?
« E' stato ad agosto, quando ho girato un corto che niente ha a che vedere con la moda. Allora ho avuto il bisogno di girare in quei luoghi segnati dagli incendi scoppiati in Sardegna a fine luglio. A metà agosto ho fatto le riprese a Badde Urbara, Santu Lussurgiu, passando per Ittireddu e il Nuraghe di Sant'Antine. Arrivando a Badde Urbara mi si è presentato uno scenario apocalittico: una distesa di ettari completamente bruciati, una terra annerita ridotta all'osso. C'erano solo rami neri terribilmente e tristemente affascinanti nella loro presenza così netta, scagliati contro il cielo. Era uno scenario struggente e doloroso. Il fuoco aveva coperto tutto di un manto nero».
Perché ha sentito l'urgenza di girare un film su quella dolorosa devastazione?
« Ho pensato che non bisognava dimenticare: voi, “maledetti giornalisti”, ci avete abituato ad essere bombardati da una notizia terribile per quattro giorni e al quinto giorno parlate d'altro. Per lo stesso motivo ho deciso di ambientare la mia sfilata in quei luoghi».
Cosa vedremo domani nel suo short film?
«Il corto racconta una transumanza, il cammino di uomini e donne, fino all'arrivo ad un costone che si staglia verso il cielo e finisce in un precipizio. Abbiamo ventimila ettari di verde letteralmente polverizzato: dei 750 ettari del parco protetto di Montiferru, dove noi abbiamo girato a Badde Urbara ne sono andati in fumo 650».
Cosa la commuove di più in tutto questo?
« Il racconto degli operatori che con le jeep sono andati a spegnere il fuoco e a soccorrere. E' straziante vedere questi giganti che parlano con le lacrime agli occhi. Mi commuove vedere una terra nera a perdita d'occhio».
La natura ferita a morte cosa ci insegna a suo parere?
«Insegna che nel dolore c'è una piccola speranza: adesso le felci stanno ricoprendo di verde quello che era il sottobosco. C'è una piccola rinascita. La natura si sta riappropriano di quello che le è stato tolto».
Cosa ha voluto mostrare nel suo corto?
« Una distesa di cenere che inevitabilmente verrà sollevata da ragazzi e ragazze che camminano in scenari apocalittici. Un'orrore dantesco di una potenza indicibile».
Come ha tradotto e legato le sue creazioni a questi luoghi martoriati?
«Ho pensato di mettere insieme tutto quello che potesse mimetizzarsi o stagliarsi da questo scenario così cupo. Partendo dal nero arrivando all'ecru sino a delle rose rosse che credo siano il simbolo di rinascita di questi luoghi e non solo. Ho usato camicie tinte con il tè che danno il segno dell'usura. Abbiamo costruito da lì la collezione».
Il segno dell'usura viene anche dal recupero di tutte le vecchie tele bruciate che ricoprono le assi da stiro delle sarte. Ha quindi usato la Fashion week che vuole considerarsi effimera nella sua dimensione di riproposta continua, come monito a futura memoria. E' quasi un ossimoro, non le pare?
«Sono ossimoroso di natura. Ho coniato questo termine che vorrei fosse recepito dalla Crusca... Si ritiene soddisfatto di questo suo nuovo lavoro da regista? No... ma questo succede sempre con tutte le cose che faccio. Mia madre mi chiamava Mai Cuntentu».
Abbiamo sentito in anteprima l'artista, che ci ha raccontato come e perché ha scelto ancora una volta il cinema per raccontare le sue creazioni.
Antonio Marras, lo scorso febbraio il digitale era l'unico mezzo per raccontare una collezione. Perché oggi ha rifatto questa scelta?
« Intanto perché, dopo l'impossibilità dell'inverno scorso di operare in maniera diversa, ho scoperto che quell'esperienza è stata molto eccitante e stimolante: la macchina da presa è uno strumento straordinario per guardare in altra maniera e da un'altra distanza le cose».
Quando ha deciso che la sua sfilata sarebbe diventata un film?
« E' stato ad agosto, quando ho girato un corto che niente ha a che vedere con la moda. Allora ho avuto il bisogno di girare in quei luoghi segnati dagli incendi scoppiati in Sardegna a fine luglio. A metà agosto ho fatto le riprese a Badde Urbara, Santu Lussurgiu, passando per Ittireddu e il Nuraghe di Sant'Antine. Arrivando a Badde Urbara mi si è presentato uno scenario apocalittico: una distesa di ettari completamente bruciati, una terra annerita ridotta all'osso. C'erano solo rami neri terribilmente e tristemente affascinanti nella loro presenza così netta, scagliati contro il cielo. Era uno scenario struggente e doloroso. Il fuoco aveva coperto tutto di un manto nero».
Perché ha sentito l'urgenza di girare un film su quella dolorosa devastazione?
« Ho pensato che non bisognava dimenticare: voi, “maledetti giornalisti”, ci avete abituato ad essere bombardati da una notizia terribile per quattro giorni e al quinto giorno parlate d'altro. Per lo stesso motivo ho deciso di ambientare la mia sfilata in quei luoghi».
Cosa vedremo domani nel suo short film?
«Il corto racconta una transumanza, il cammino di uomini e donne, fino all'arrivo ad un costone che si staglia verso il cielo e finisce in un precipizio. Abbiamo ventimila ettari di verde letteralmente polverizzato: dei 750 ettari del parco protetto di Montiferru, dove noi abbiamo girato a Badde Urbara ne sono andati in fumo 650».
Cosa la commuove di più in tutto questo?
« Il racconto degli operatori che con le jeep sono andati a spegnere il fuoco e a soccorrere. E' straziante vedere questi giganti che parlano con le lacrime agli occhi. Mi commuove vedere una terra nera a perdita d'occhio».
La natura ferita a morte cosa ci insegna a suo parere?
«Insegna che nel dolore c'è una piccola speranza: adesso le felci stanno ricoprendo di verde quello che era il sottobosco. C'è una piccola rinascita. La natura si sta riappropriano di quello che le è stato tolto».
Cosa ha voluto mostrare nel suo corto?
« Una distesa di cenere che inevitabilmente verrà sollevata da ragazzi e ragazze che camminano in scenari apocalittici. Un'orrore dantesco di una potenza indicibile».
Come ha tradotto e legato le sue creazioni a questi luoghi martoriati?
«Ho pensato di mettere insieme tutto quello che potesse mimetizzarsi o stagliarsi da questo scenario così cupo. Partendo dal nero arrivando all'ecru sino a delle rose rosse che credo siano il simbolo di rinascita di questi luoghi e non solo. Ho usato camicie tinte con il tè che danno il segno dell'usura. Abbiamo costruito da lì la collezione».
Il segno dell'usura viene anche dal recupero di tutte le vecchie tele bruciate che ricoprono le assi da stiro delle sarte. Ha quindi usato la Fashion week che vuole considerarsi effimera nella sua dimensione di riproposta continua, come monito a futura memoria. E' quasi un ossimoro, non le pare?
«Sono ossimoroso di natura. Ho coniato questo termine che vorrei fosse recepito dalla Crusca... Si ritiene soddisfatto di questo suo nuovo lavoro da regista? No... ma questo succede sempre con tutte le cose che faccio. Mia madre mi chiamava Mai Cuntentu».