La Nuova Sardegna

«Il ritorno della destra eversiva»

di Giacomo Mameli
«Il ritorno della destra eversiva»

Da Trump all’assalto alla sede della Cgil un male antico che riemerge in forme nuove

13 ottobre 2021
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Prima di parlare della Guerra del Peloponneso, Luciano Canfora – storico fra i più autorevoli, filologo classico, presente nel comitato direttivo del Journal of Classical Tradition di Boston – si lega alla cronaca italiana, all’assalto squadrista alla Cgil, il tentativo di occupare Palazzo Chigi.

Dalla casa di Bari dice: «Argomentare che il fascismo è morto nel 1945 è una sciocchezza. Oggi ci sono frange violente che sono solo una parte del fascismo nuovo. Non bastava chiudere i porti, osannare all’immigrato pestato a sangue, far annegare disperati al largo delle nostre coste? Non bastavano i campi rom dati alle fiamme? Molti esaltano persone che oggi stanno in parlamento o all’opposizione. Li ricordiamo i famigerati decreti sicurezza promulgati dal governo Conte I, quello con Salvini e Di Maio vice presidenti del Consiglio? Erano un macigno di illegalità. E oggi la situazione è molto grave».

A Roma il palazzo del governo e la sede del maggior sindacato. A Washington il Campidoglio...

«La violenza politica sta riesplodendo. I fatti avvenuti sotto la sciagurata gestione di Donald Trump non sono stati neanche il primo campanello d’allarme. Forza Nuova, da tempo, è la mosca cocchiera per moltitudini che si ritrovano senza guida politica e perciò facilmente manovrabili dai nuovi egemoni. Sanno come ci si infiltra in una manifestazione, come si assaltano vetrine e negozi».

Che fare, professore?

«Occorre vigilare, non essere indifferenti, perché il disagio sociale c’è, i prezzi aumentano. La somma complessiva è l’inquietudine che divampa. È preoccupante anche la nuova disaffezione al voto. È autoconsolatorio parlare di populismo. I partiti devono fare un’autocritica seria. Oggi, non domani».

Dalla cronaca alla storia, al suo recentissimo “Tucidide e il colpo di Stato “ pubblicato da il Mulino. Dopo due millenni e mezzo, è ancora “un rovello” sapere come fa Tucidide a conoscere ciò che racconta. Chi erano le sue gole profonde?

«Tucidide era presente ai fatti che ha descritto. Il che vuol anche dire che non era in esilio come molti suoi biografi hanno sostenuto. E, pur ammesso che sia stato esiliato, non si sa dove egli potesse trovarsi per cui è sempre sorta la domanda: ma chi lo informava? Lui esce vivo da una rivoluzione nella quale era coinvolto in prima persona. Ecco perché la sua storia è un capolavoro».

Quindi è stato un testimone oculare?

«Esatto. Ciò contrasta con le notizie biografiche tardive che noi abbiamo avuto su di lui. Quindi nessuna gola profonda. La guerra del Peloponneso è farina del suo sacco».

Si è sempre parlato della moglie ricca di Tucidide proprietaria di miniere in Tracia. Quindi il marito-storico poteva pagare gli informatori, era un editore globale alla Rupert Murdoch prima di Cristo.

«Il fatto che la ricchezza fosse della moglie è probabilmente una invenzione dei biografi. Che Tucidide avesse l’appalto delle miniere d’oro lo dice lui stesso nel quarto libro: quindi è ricchezza sua, di famiglia, non della moglie. Pagare qualcuno? È probabile. La guerra che lui racconta è durata 27 anni, il colpo di stato quattro mesi. Tucidide, presente al colpo di stato, non poteva essere in tutti i campi di battaglia come un santo medioevale, quindi aveva sicuramente i suoi informatori che lui era nelle condizioni di poter pagare, soprattutto per avere notizie sulle battaglie che si combattevano lontano».

C’è un satrapo, Tissaferne, che lei cita molto: appare come un regista occulto, si sposta da Mileto agli altri campi di battaglia come avesse un aereo privato.

«Tissaferne non è per niente un personaggio minore, di lui parla ampiamente Senofonte nell’Anabasi. È il vero regista non soltanto delle questioni tra Sparta e Atene sul piano militare ma anche dell’invasione della Persia da parte di Ciro il giovane nell’anno 401, è il più importante collaboratore tra i vari satrapi del Gran Re di Persia».

Lei parla anche di un golpe nel golpe. Anche allora c’erano i Sifar, le Gladio, i servizi segreti deviati?

«Coloro i quali prendono il potere – i famosi Quattrocento di Atene – non erano uniti fra loro, all’inizio sembravano coesi ma poi si dividono e la fazione, oggi diremmo con terminologia moderna “il partito” di Teramene, prende il potere forse addirittura orchestrando l’attentato contro Frinico che era il capo degli oltranzisti».

C’era una struttura poliziesca che tramava tra oligarchi e aristocratici?

«C’erano associazioni segrete di oligarchi che aspettavano il momento giusto per colpire. Ma Tucidide, proprio raccontando le lotte intestine fra rivali, arrivò a certificare la fragilità di queste oligarchie».

L’apparato statale viene definito “modesto”, ad Atene non avevano l’Ena francese.

«In Grecia c’erano pochissimi funzionari pubblici, più o meno quelli addetti alle condanne a morte, gli altri erano tutti nominati a sorteggio o eletti solo per un anno. Ad Atene non c’era un apparato statale, ecco perché è definito modesto».

Bisogna allora far scendere un po’ Atene dal mito.

«Atene è certo la culla della democrazia. La struttura burocratica è altra cosa. L’apparato statale si forma lentamente nell’impero romano solo dopo un certo periodo. L’apparato, l’amministrazione è una creazione successiva. Allora c’erano le cariche a tempo determinato».

Per lei la guerra del Peloponneso è stata una guerra mondiale?

«Perché quel conflitto lentamente coinvolse praticamente tutto il mondo allora conosciuto: la Sicilia, l’impero persiano, la Macedonia, la Grecia continentale per cui tutte le potenze – piccole medie e grandi – entrano in campo. Era certo una guerra mondiale, la prima della storia».

Professore: il suo prossimo libro?

«Ne ho diversi in preparazione. Tra i vari in cantiere, uno – cui tengo moltissimo – riguarda la tesi di dottorato di Carlo Marx. Uscirà l’anno prossimo».

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