La Nuova Sardegna

«Squid Game», l’orrore diventa spettacolo

di Monica De Murtas
«Squid Game», l’orrore diventa spettacolo

La fiction coreana di Netflix fa ascolti record in tutto il mondo mettendo in scena disperazione esistenziale e disagio sociale

15 ottobre 2021
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Donne, uomini, giovani e vecchi sono tutti emarginati sociali, soffocati dai debiti i 456 concorrenti di un “survival game” dalle regole spietate. Per entrare nel gioco bisogna essere “arruolati” da un misterioso committente, una volta dentro si lotta fino alla morte per un montepremi finale di 45,6 miliardi di won, circa 33 milioni di euro. Alla fine del gioco rimarrà solo un vincitore. Gli altri 455 concorrenti moriranno. Per ogni giocatore in gara la vittoria è l'unica via di fuga da una vita in cui la disperazione ha preso il sopravvento. In estrema sintesi questo è il plot di “Squid Game” la nuova serie sudcoreana ideata da Hwang Dong-hyuk, che ha scalato ovunque le classifiche Netflix diventando in poco tempo un successo planetario. Piace proprio a tutti, acchiappa l’adolescente e il genitore boomer, se ne parla sui social, sui giornali e in tv.

In questa serie lo scenario di un video game del genere survival diventa realtà (e fin qui niente di nuovo) ma l’elemento innovativo della narrazione sta nel riuscire a catturare, in maniera nitida, quel rapporto tra purezza e crudeltà che rappresenta il filo rosso del racconto. Così i simboli dell’infanzia nei loro innocenti colori pastello si tingono di sangue, le bambole sono sorridenti angeli della morte. Le arene dove si combatte per la sopravvivenza hanno l’aspetto rassicurante e immacolato di un parco giochi. Migliaia di esseri umani muoiono a grappoli, sfida dopo sfida, giocando ad uno due tre stella, tiro alla fune, il gioco delle biglie e squid game, naturalmente, “il gioco del calamaro” simile al nostro “paradiso”, popolare tra i bimbi coreani.

Ma perché milioni di individui in tutto il mondo si immedesimano nei personaggi disperati della storia? Anche la trama e l’ambientazione dopo tutto non sono particolarmente originali. Il genere che ruota intorno al “survival game” esiste da tempo e ne fanno parte film come: “Hunger Games”, “Maze Runner”, “Battle Royale” e tanti altri Se poi volessimo citare, sia nella letteratura che nel cinema, le storie ambientate in mondi distopici in cui la violenza regna sovrana e la vita umana sembra avere un valore prettamente economico la lista si farebbe ancora più lunga.

A rendere “Squid Game” un prodotto di qualità perfetto per il pubblico internazionale è stata certamente la regia di Hwang Dong-hyuk, la bravura degli attori, la fotografia sfolgorante ma il segreto di tanto successo non si giustifica neppure così. In realtà “Squid Game” piace perché fa pensare, fa riflettere su qualcosa che tutti conoscono molto bene: la crudeltà del gioco della vita. Una metafora anche in questo caso già sperimentata, certo, forse addirittura scontata, è vero, ma a volte non è solo la storia ad essere importante ma il modo in cui la si racconta. “Squid Game” presenta bene i personaggi prima del loro ingresso nel “game”, fa capire allo spettatore come si può arrivare sul bordo del baratro. Perché “Squid Game”, oltre a essere un thriller ben girato è sopratutto una sfacciata critica alla società coreana e alla società capitalista in generale. La denuncia del cinema sudcoreano all’enorme divario esistente nel paese tra le classi sociali era stata già lanciata nel 2019 con la pellicola di Bong Joon-Ho “Parasite”. Anche qui i personaggi giocavano disperatamente una partita crudele per riemergere da una condizione umana ai margini più estremi della società.

Guardando “Squid game” sono stati in tanti ovunque nel mondo a riflettere sulla metafora della società e della vita come gioco crudele, sono stati in tanti anche in Corea del Sud dove il fim è diventato un caso politico. Si perché il tema del debito personale non è un’invenzione dello sceneggiatore di “Squid Game” è una realtà sociale drammatica se si pensa che il debito familiare sudcoreano è il più alto di tutta l’Asia ed è questo il problema sociale che nell’ultimo ventennio ha inasprito ulteriormente le disuguaglianze. Ma lo stato di natura di “Squid Game” dove l’umanità regredisce alla bestialità dell’homo homini lupus fa rinascere paure ataviche ad ogni latitudine del globo.

“Squid Game” mescola emozioni e paure, realtà ed incubo, fa sentire schiavi, sognare la libertà e l’infanzia perduta. Tra gli orrori della disperazione emerge poi a tratti nella regia di Hwang Dong-hyuk una flebile speranza e oltre ogni crudeltà si intravede l’anima dei personaggi, la loro bontà oltre ogni animalesco istinto di sopravvivenza. Sarà l'umanità a condurre i giocatori alla vittoria? Sarà la purezza d’animo a trasformarsi nell'arma più efficace contro il sopruso e la violenza? Uno dei protagonisti Seong Gi-Hun uccide per sopravvivere ma dona parte della sua cena ad un gattino affamato, inganna per non morire ma sceglie come partner di gioco un compagno debole per salvargli la vita ed entra nel gioco perché solo se diventerà ricco potrà riabbracciare la figlia. Bisogna attendere la fine della prima stagione per sapere se vincerà la bontà o l’orrore in questo gioco che da sempre l’umanità combatte contro la paura atavica del game over.

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