Fantasmi, politici e misteri intorno al sequestro Moro
Tra giornalismo e finzione “La seduta spiritica” di Antonio Iovane indaga l’episodio più incredibile della lunga e drammatica prigionia dello statista
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L’intervistatore, formulando la domanda, gli cita una frase del suo “L’affaire Moro”: «Abbandonata la verità alla letteratura, la verità sembra creata dalla letteratura», e lui, Leonardo Sciascia, inizia così la risposta: «Io credo che all’uomo (…) rimanga soltanto la letteratura per riconoscere e conoscere la verità». Sono parole ideali per introdurre un libro che nessuno dovrebbe lasciarsi sfuggire, “La seduta spiritica” di Antonio Iovane (minimum fax, 176 pagine, 16 euro) che, in aperto dialogo con lo scrittore siciliano, appunto alla letteratura guarda per colmare i vuoti che chi ha operato sul piano della realtà e della Storia non ha finora saputo, o voluto, colmare.
Oggetto delle pagine di Iovane è un episodio cruciale ma molto meno noto di altri verificatosi durante la carcerazione di Aldo Moro per mano delle Brigate Rosse: il 2 aprile del 1978 a Zappolino, sull’Appennino bolognese, dodici persone riunite in una villa evocano le anime del fondatore del Partito Popolare don Luigi Sturzo e del padre costituente Giorgio La Pira e le interrogano sulle condizioni di Moro, catturato e fatto prigioniero due settimane prima dai terroristi.
A detta dei partecipanti – i quali, andrà specificato, erano tutti adulti e cattolici, e ancora oggi, a oltre quarant’anni di distanza, continuano a sostenere la veridicità del loro racconto: benché non vi sia naturalmente chi vi abbia mai creduto – ne vengono fuori delle informazioni precise: “Gradoli, Bolsena, Viterbo, casa con cantina”. Uno dei dodici riferisce tali informazioni all’esterno, per l’esattezza a Umberto Cavina, portavoce del segretario della Democrazia Cristiana Benigno Zaccagnini, e da qui nasce una perquisizione delle forze dell’ordine a Gradoli, che però non porta a niente. E se non porta a niente è perché, com’è noto, “Gradoli” aveva a che fare non con il Comune laziale, ma con una via di Roma: la via Gradoli in cui c’era un covo importantissimo delle BR, che sarà scoperto, in circostanze a dir poco sospette, alcuni giorni dopo.
Il libro di Iovane comincia così: «Questa è una storia assurda». E per dar conto almeno in parte di quanto sia assurda, ci ricorda che a farsi ambasciatore all’esterno delle (presunte) indicazioni dei due illustri trapassati fu Romano Prodi: al quale questo bizzarro episodio della sua vita personale e professionale non ha impedito in seguito di diventare ministro della Repubblica e presidente del Consiglio, dell’Iri e della Commissione Europea.
Nel 2005 Francesco Cossiga definì quella di Prodi una «onesta baggianata», inscenata per non rivelare la vera fonte delle informazioni ed evitare così ritorsioni dei brigatisti. Aggiunse Cossiga: «In un altro Paese avrebbero chiuso Prodi in una stanza sigillata fino a quando non sputava il nome dell’informatore». C’è da dargli ragione. Ma poiché questa è una storia assurda, il libro ci ricorda anche che fu lo stesso Cossiga, ministro dell’Interno durante il sequestro Moro, a far coinvolgere nelle ricerche del presidente della DC il medium Gerard Croiset. Che, né più né meno, si pronunciò a vanvera e non diede nessun aiuto (anzi). Al di là degli aspetti più farseschi della vicenda, a emergere da “La seduta spiritica” sono il fine lavoro di Iovane, un misto di inchiesta giornalistica, ricostruzione storica e finzione, e le ipotesi che propone al lettore: che alla fine si sente un po’ più al riparo dalla menzogna, e un po’ più vicino alla verità.
Oggetto delle pagine di Iovane è un episodio cruciale ma molto meno noto di altri verificatosi durante la carcerazione di Aldo Moro per mano delle Brigate Rosse: il 2 aprile del 1978 a Zappolino, sull’Appennino bolognese, dodici persone riunite in una villa evocano le anime del fondatore del Partito Popolare don Luigi Sturzo e del padre costituente Giorgio La Pira e le interrogano sulle condizioni di Moro, catturato e fatto prigioniero due settimane prima dai terroristi.
A detta dei partecipanti – i quali, andrà specificato, erano tutti adulti e cattolici, e ancora oggi, a oltre quarant’anni di distanza, continuano a sostenere la veridicità del loro racconto: benché non vi sia naturalmente chi vi abbia mai creduto – ne vengono fuori delle informazioni precise: “Gradoli, Bolsena, Viterbo, casa con cantina”. Uno dei dodici riferisce tali informazioni all’esterno, per l’esattezza a Umberto Cavina, portavoce del segretario della Democrazia Cristiana Benigno Zaccagnini, e da qui nasce una perquisizione delle forze dell’ordine a Gradoli, che però non porta a niente. E se non porta a niente è perché, com’è noto, “Gradoli” aveva a che fare non con il Comune laziale, ma con una via di Roma: la via Gradoli in cui c’era un covo importantissimo delle BR, che sarà scoperto, in circostanze a dir poco sospette, alcuni giorni dopo.
Il libro di Iovane comincia così: «Questa è una storia assurda». E per dar conto almeno in parte di quanto sia assurda, ci ricorda che a farsi ambasciatore all’esterno delle (presunte) indicazioni dei due illustri trapassati fu Romano Prodi: al quale questo bizzarro episodio della sua vita personale e professionale non ha impedito in seguito di diventare ministro della Repubblica e presidente del Consiglio, dell’Iri e della Commissione Europea.
Nel 2005 Francesco Cossiga definì quella di Prodi una «onesta baggianata», inscenata per non rivelare la vera fonte delle informazioni ed evitare così ritorsioni dei brigatisti. Aggiunse Cossiga: «In un altro Paese avrebbero chiuso Prodi in una stanza sigillata fino a quando non sputava il nome dell’informatore». C’è da dargli ragione. Ma poiché questa è una storia assurda, il libro ci ricorda anche che fu lo stesso Cossiga, ministro dell’Interno durante il sequestro Moro, a far coinvolgere nelle ricerche del presidente della DC il medium Gerard Croiset. Che, né più né meno, si pronunciò a vanvera e non diede nessun aiuto (anzi). Al di là degli aspetti più farseschi della vicenda, a emergere da “La seduta spiritica” sono il fine lavoro di Iovane, un misto di inchiesta giornalistica, ricostruzione storica e finzione, e le ipotesi che propone al lettore: che alla fine si sente un po’ più al riparo dalla menzogna, e un po’ più vicino alla verità.