La Nuova Sardegna

Un mare di emozioni tra i due “Amici fragili” Riva e De André

di Enrico Gaviano
Un momento dello spettacolo al Verdi di Sassari
Un momento dello spettacolo al Verdi di Sassari

Successo a Sassari per l’anteprima nazionale dello spettacolo di Federico Buffa 

02 dicembre 2021
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L’unico incontro fra Gigi Riva e Fabrizio De André è solo una scusa, il punto di partenza per raccontare questi due grandi personaggi che hanno legato a doppio filo la loro esistenza alla Sardegna. Così distanti eppure così vicini. Sono gli “Amici fragili” dello spettacolo di Federico Buffa, che è andato in scena in anteprima nazionale martedì al Teatro Verdi di Sassari con l’organizzazione del circuito Cedac (repliche sino a domenica al Massimo a Cagliari). Sold-out per una serata che non ha tradito le attese. Buffa ha tenuto la scena ininterrottamente per quasi due ore, accompagnato dal regista e coautore Marco Caronna, voce, chitarra e percussioni e al piano e alle tastiere da Alessandro Nidi.

Un originale racconto in cui il flusso della narrazione va avanti e indietro nei decenni: siamo all’inizio del secolo, poi ai mondiali del 2006, quindi flashback al 1940, anno di nascita di Faber e al 1963 quando Riva arriva al Cagliari. Tutto legato dalla voce da raccontastorie di Buffa, sempre incalzante, precisa, che acchiappa l’attenzione dello spettatore e lo porta dentro il palco. Chi conosce un po’ la vita di Gigi e Faber non può che amare questo spettacolo che, per citare una frase utilizzata dal giornalista, parla di «due attaccanti che hanno giocato in difesa per tutta la vita». Una affermazione che racconta in poche ma incisive parole la riservatezza dei due, schivi e contrari a ogni forma di conformismo e decisi sempre a opporsi contro i poteri forti o presunti tali, un po’ come ci dice il testo di “Amico fragile”.

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Lo spettacolo inizia con un artificio molto originale. Prendendo spunto dalla surreale cabina telefonica del vento inventata da un giapponese che voleva parlare con il cugino defunto, ecco Federico Buffa-Gigi Riva che entra in una delle due cabine poste sul palco, quella blu (l’altra è rossa, un omaggio plateale ai colori delle squadre del Cagliari e del Genoa). L’attaccante parla alla cornetta e dice: «Sì, Fabrizio, non immagini quante volte sono venuto all’Agnata, fermandomi davanti al cancello. Una volta mi è parso anche di vederti da lontano. Perché non sono entrato? No, guarda, non volevo disturbare».

Così distanti, e così vicini, appunto. Perché i punti di contatto fra i due sono tanti, a cominciare da quell’unico incontro a Genova del 1969 che è rimasto tale, e che in scena viene appena accennato: un tavolo, due bicchieri, una bottiglia di Glen Grant, il fumo immaginario delle sigarette. Buffa ne approfitta per parlare di loro, di calcio e di musica, di storia e di poesia. Non solo dunque il bomber e il cantautore, il Cagliari e il Genoa, ma un viaggio fra continui passaggi nella macchina del tempo. Si spazia dal primo campionato vinto dal Genoa alla fine dell’Ottocento, ai mondiali del 2006 e all’Europeo del 1968 e del 2021 vinti dall’Italia. Ancora, ecco il calciatore Gigi Meroni, la farfalla granata spezzata da un destino crudele. Ma ci sono anche le guerre, le deportazioni, la storia sarda.

E poi c’è la musica. Quella di De Andrè intanto, eseguita con l’ausilio del tastierista Alessandro Nidi da un bravissimo Marco Caronna. Chi ha il culto di De Andrè si infastidisce nel sentire le sue canzoni eseguite da altri. Si può fare un’eccezione, forse: Cristiano, il figlio di Faber, giusto perché la voce è quasi identica. O anche per la magnifica versione di “Amico fragile” di Vasco Rossi, poi stop. Invece Caronna convince e parecchio. Dalle prime note di “Anime Salve”, per proseguire con Hotel “Supramonte” e “Fiume Sand Creek”, fino ad “Amico fragile” e, ovviamente, a “Preghiera in gennaio”.

Eccolo un altro punto di unione fra Gigi Riva e Fabrizio De Andrè: la canzone che Faber aveva dedicato all’amico morto suicida dopo il festival di Sanremo del ’67. Un pezzo che a Gigi piace tanto e che sente ossessivamente nella sua stanza da scapolo a Cagliari o nei viaggi in bus con la squadra, attirandosi spesso le urla contrariate dei compagni che preferirebbero Mina o la musica rock. Ne parlano in quell’incontro di fine estate di 52 anni fa. Di altro si sa poco, se non lo scambio di doni alla fine di quella serata, in cui l’alcol riesce a far evaporare la nuvola della diffidenza e sciogliere le lingue. De Andrè dà la sua chitarra al calciatore, che ricambia con la maglia bianca utilizzata poche ore prima nella partita pareggiata con la Sampdoria che dà il via alla stagione dello scudetto.

In scena dietro Buffa, scorrono meravigliosi disegni su tulle. Ma anche i fotogrammi di Riva e Domenghini nella più bella partita dei rossoblù: 1970, Inter-Cagliari 1-3. E si sentono le voci dei due personaggi. Gigi che quasi con pudore racconta di come prima aveva la famiglia ma era povero, poi è diventato ricco ma non ha con chi condividere questa gioia perché il padre e la madre sono morti. E Faber che parla del mare che può dividere i popoli ma anche unirli. Quadro poetico come quello che chiude lo spettacolo: la morte di Faber e le immagini di Paolo Fresu che suona “No potho reposare”.


 

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