La Nuova Sardegna

Quando la vita è disinganno

di Giovanni Dessole
Quando la vita è disinganno

Il ritratto di un’intera generazione nella fiction animata seguitissima su Netflix

04 dicembre 2021
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La serie tv Netflix “Strappare lungo i bordi” di Zerocalcare è un incessante raccontare il presente in forma di fumetto. Una voragine d’emotività cui la platea televisiva s’è piacevolmente abbandonata perché ci si riconosce. Lo han visto in tanti e in tanti lo amano. Altri no, e lo tacciano di elitarismo.

La scrittrice Paola Soriga, da poco tornata in libreria con il romanzo “Maicolgécson” (Einaudi), incrociò la strada di Zerocalcare nel 2012 e lo raccontò sulle pagine di Repubblica in un momento di passaggio rispetto alla sua carriera. «Il volume “La profezia dell’armadillo, suo primo libro, era semi auto prodotto – racconta Soriga – . Poi con la casa editrice Bao arriva la svolta. Oggi la serie Netflix amplia ancora di più il bacino di persone che possono scoprirlo e apprezzarlo, in Italia e all’estero». Zerocalcare aveva già creato qualcosa di straordinario con i suoi fumetti, contribuendo a far crescere il mondo del fumetto. La potenza della piattaforma Netflix, ora, ha fatto il resto. «Un mezzo più immediato, che ha più possibilità di raggiungere platee vaste – spiega la scrittrice originaria di Uta –. Dentro le sue storie c’è un passaggio continuo tra io e collettivo, si ha la sensazione che ci stia raccontando i fatti nostri, rendendo la narrazione universale e integrandola con l’immancabile ironia ed il racconto di una generazione, segnata dal desengaño, dalla disillusione generazionale». «La polemica sull’uso della parlata romana – aggiunge Soriga – mi sembra davvero una cosa strana nel 2021, in un Paese dove la questione linguistica legata ai dialetti esiste da sempre, da quando esiste la letteratura, e in cui sono moltissimi gli esempi di impiego di parlate locali da parte di attori e registi nelle produzioni cinematografiche. Non mi spiego questo accanimento. Credo che l’uso del dialetto, nel caso di “Strappare lungo i bordi”, sia un elemento di realtà ineludibile».

Pragmatico lo spunto offerto da Emiliano Longobardi, libraio sassarese (Libreria Azuni): «Zerocalcare è partito letteralmente dal basso, dall’autoproduzione, al di là dei suoi trascorsi come disegnatore di locandine per cento sociali. Esplode pian piano. Decisivo il contributo di Makkox, oggi noto al grande pubblico grazie a Propaganda Live. Makkox ha avuto un momento di enorme visibilità messo in qualche modo al servizio di qualche altro autore, fra cui Zerocalcare. Sotto l’egida di Makkox il fumettista romano cattura l’attenzione e ottiene il sostegno del pubblico, i cui favori già stava incontrando sul web con le sue strisce. L’editore che oggi lo pubblica, Bao, lo ha portato ad ottenere una visibilità ancora maggiore, sino all’exploit del fenomeno editoriale nelle dimensioni incredibili in cui lo conosciamo oggi». Numeri da cerchiare in rosso, in tv e in libreria: «Vendere in libreria la quantità di copie che vende Zerocalcare, con quella continuità, è qualcosa di riscontrabile solo negli anni d’oro delle edicole. Come fenomeno editoriale è una roba incredibile – sottolinea Longobardi –. Tutto ciò che vende Zerocalcare può essere sfruttato per portare attenzione anche a quei titoli che non godono della stessa visibilità. Come? Semplicemente affiancandoli sul bancone e nelle proposte quando mi viene chiesto consiglio. Certi fenomeni editoriali portano liquidità di cassa, cosa da non sottovalutare mai, e aiutano a vendere altri titoli allargando le possibilità di soddisfare i gusti di lettori e clienti».

Lo scrittore sassarese Gianni Tetti ha conosciuto Zerocalcare «attraverso le pagine di una rivista indipendente di fumetti e racconti che non esiste più e si chiamava “Canemucco”. Poi l’ho ritrovato sulle pagine di Internazionale con “Kobane Calling”, una storia intensa che mi ha toccato». «Ho letto “Dimentica il mio nome” e “Macerie prime”, trovandoli bellissimi – commenta l’autore di “Grande Nudo” –. A me Zerocalcare piace e ho apprezzato molto la serie Netflix, commovente, divertente, profonda. Zerocalcare scrive storie oneste, racconti che parlano al lettore, nei quali possiamo riconoscerci, perderci nella malinconia del ricordo, ridere di noi stessi, passando, a volte improvvisamente, dalla risata alla riflessione amara». Capacità di scrittura, e maestria nel disegnare: «È un disegnatore meraviglioso, con un grande gusto per le citazioni. Credo che il recente successo lo meriti tutto. E trovo anche io senza senso le polemiche sul romanesco – spiega Tetti –. E’ una scelta di identità, fatta con sincerità sincerità. Per ciascuno di noi la lingua madre è una risorsa, non un limite, e vale per noi sardi, per i campani, per i romani, per i toscani, per i milanesi. Zerocalcare è un artista e un narratore che seguo e leggo con interesse e curiosità, e continuerò a farlo».

Uno sguardo attento e particolare al fenomeno è quello offerto dal regista Antonello Grimaldi: «Non ho ancora visto la serie, ma ritengo Zerocalcaresia una delle menti più lucide sulla scena attuale. Riesce a divertire e al contempo parla di cose fondamentali. Non mi riferisco tanto alle cose politiche ma a quelle personali, intime, le cose dell’anima». Il regista di “Caos calmo”, “Distretto di polizia” e “Delitto impossibile” stima molto Zerocalcare: «Un ragazzo intelligente che fa parte con Mastrandrea, e altri di un gruppetto che sta cercando di fare cose intelligenti. Non capisco invece la polemica sul romano, soprattutto stavolta che viene utilizzato per dare esattamente la rappresentazione di quel che l’autore vive. Elitarismo? Mi pare veramente eccessivo».

Ha pubblicato da poco il suo primo libro, “Isla bonita” il giornalista e scrittore cagliaritano Nicola Muscas, osservatore attento del panorama culturale sardo e d’oltre Tirreno, convinto che Zerocalcare sia riuscito «a raccontare molto bene una generazione, quella dei trenta/trentacinquenni di oggi, con il loro senso di inadeguatezza alla vita adulta o più che altro alle aspettative che la società in loro ripone». «Il passaggio dal fumetto alla serie – aggiunge Muscas – è del tutto azzeccato, mantiene la sua cifra dal sapore agrodolce, quella malinconia degli irrisolti in cui in tanti ci identifichiamo. Si muove nel suo, nel recinto di Rebibbia, creando un corto circuito pieno di ironia tra cultura pop anni Novanta e militanza dura e pura. In poche parole il suo marchio di fabbrica. Spiace solo per la trama, che attinge tanto da “La profezia dell’armadillo”. Sono passati 10 anni, sarebbe bello vedere come l’Armadillo, e il suo autore, si apprestano a diventare quarantenni».

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