La Nuova Sardegna

Il libro

Dacia Maraini e la lunga amicizia con Pasolini

Alessandro Pirina
Dacia Maraini e la lunga amicizia con Pasolini

«Pierpaolo fu osteggiato e perseguitato: ebbe 82 denunce Solo dopo la morte si iniziò a capire la sua grandezza»

01 luglio 2022
5 MINUTI DI LETTURA





Dacia e Pier Paolo, una grande amicizia interrotta dalla ferocia umana la notte del 2 novembre del 1975. Un legame che ora rivive in un libro che la grande scrittrice ha dedicato all’amico. “Caro Pier Paolo”, che Maraini ha presentato a Porto Torres e a Ploaghe all’interno di Éntula.

Una scelta o un caso che abbia aspettato così tanto per scrivere questo libro?

«Non pensavo di scrivere su Pier Paolo, ma un sogno molto vivo mi ha fatto pensare che forse avevo delle cose da dirgli. Nel frattempo Roberto Cotroneo della Neri Pozza mi ha fatto notare che gli amici di Pasolini erano quasi tutti morti, e sarebbe stato bello leggere una testimonianza dal vivo di un Pasolini non pubblico e così mi sono decisa».

Nel libro racconta aspetti intimi: cos’era per lei Pier Paolo?

«Pier Paolo era un amico prima di tutto, anche se solo dell’ultima parte della sua vita. Ma con lui ho anche lavorato a dei doppiaggi cinematografici e alla sceneggiatura di un film, Il fiore delle mille e una notte».

Pasolini era controcorrente, mai scontato: dall’aborto ai poliziotti “figli di poveri”.

«Sì, lui era contro l’aborto, ma anche contro le organizzazioni omosessuali. Il suo rifiuto però non veniva da una posizione reazionaria, bensì dalla constatazione che ogni gruppo di protesta, anche se giusto, alla fine diventa un gruppo di potere. Da vero anarchico quale era, aveva orrore di ogni forma di potere, anche se veniva da una giusta causa».

Anche sulle rivendicazioni dei gay aveva posizioni lontane dalle organizzazioni: come viveva lui la sua sessualità?

«L’ho spiegato qui sopra. In quanto alla sua sessualità invito a leggere due libri molto rivelatori che sono Amado Mio e Atti impuri. Ci tengo però a dire che non era un predatore. Anzi, cercava di portare al gioco i ragazzi, ricreando quel clima di eccitazione spontanea e innocente che aveva provato da ragazzo».

Oggi quasi tutti riconoscono la sua grandezza , le sue profezie. Ma ai tempi quel era la considerazione di Pasolini?

«Era molto osteggiato e molto perseguitato. Basti pensare che ha avuto 82 denunce. Il racconto che si faceva di lui era che fosse un eversivo, fanatico, aggressivo, nemico di tutto e di tutti, da temere e tenere lontano. Solo dopo la sua tragica morte si è cominciato a capirlo. Ma è triste che nel nostro Paese le persone coraggiose debbano morire ammazzate per essere comprese».

Il rapporto con le donne: la madre Susanna, Maria Callas, Laura Betti, lei. C’era un comune denominatore?

«Per lui le donne erano tutte madri. Le sue madri. Da cui voleva essere amato e accudito. Il rapporto viscerale con Susanna, la sua madre naturale, è rimasto come un fantasma nei suoi rapporti con le donne per tutta la vita».

Nel libro racconta di un viaggio in Africa in cui c’era Maria Callas: com’era la Divina?

«Sul palcoscenico era una potenza inaudita. Di fronte a lei sparivano tutti. Nella vita una bambina fragile e spaventata».

A proposito di viaggi, in “La lunga strada di sabbia” Pasolini attraversa tutta l’Italia a bordo di una Fiat 1100, dalla Liguria alla Sicilia. Manca solo la Sardegna. Lei è a conoscenza di qualche legame di Pasolini con la nostra isola?

«Sinceramente non so perché non abbia compreso la Sardegna. Non credo che sia stata una sua volontà. Forse si trattava di una spesa eccessiva, non lo so. Non gli ho mai sentito dire niente contro la Sardegna, che conosceva poco, ma certo conosceva i suoi scrittori, i suoi poeti e le sue antiche leggende».

Nel suo libro racconta di una Roma in cui artisti e intellettuali avevano una frequentazione quotidiana: Pasolini, Moravia, Fellini, Bellezza, Bertolucci e i tanti altri che ritrova anche in uno degli ultimi sogni. Cosa è rimasto oggi di quella Roma?

«Purtroppo niente. Oggi ci si vede per ragioni funzionali: una tavola rotonda, un convegno, una fiera del libro. Allora invece ci si vedeva per il solo piacere di incontrarsi e scambiarsi le idee».

Le capita di riflettere su cosa penserebbe oggi Pasolini su social, Covid, guerra, diritti gay?

«Non credo che cambierebbe il suo atteggiamento. Sarebbe come al solito, contro le convenzioni, contro i luoghi comuni, ma sempre dalla parte dei più deboli, dei diseredati, di chi soffre e si perde».

Torniamo a quel drammatico 2 novembre 1975: lei non ha mai creduto alla versione di Pino Pelosi. Perché Pier Paolo Pasolini è stato ammazzato?

«Purtroppo non lo sappiamo Ci sono state delle leggerezze al tempo della sua morte. Avendo a disposizione un reo confesso non si è indagato su come e perché sia stato ucciso. Pelosi evidentemente mentiva, perché non portava i segni di una colluttazione violenta che aveva sorpreso e massacrato Pasolini. Infatti nella prima sentenza si parlava di un delitto "con concorso di ignoti". Ma poi tutto si è perso nel buio di un mistero che ancora dura. Lo stesso Pelosi ha dichiarato prima di morire che non era stato lui. Ha parlato di tre persone presenti, ma non ha saputo dire chi fossero. Ma allora perché si era preso la colpa di quel delitto? Un mistero che si aggiunge a tanti altri misteri italiani che spero un giorno riusciremo a chiarire».


 

La classifica

Parlamentari “assenteisti”, nella top 15 ci sono i sardi Meloni, Licheri e Cappellacci

di Salvatore Santoni
Le nostre iniziative