La Nuova Sardegna

Libri

Le donne del Duce «fertili galline». Radici del maschilismo italiano

di Eugenia Tognotti
Le donne del Duce «fertili galline». Radici del maschilismo italiano

“Mussolini ha fatto tanto per le donne!” di Mirella Serri

18 gennaio 2023
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La prima cosa da dire, a proposito di “Mussolini ha fatto tanto per le donne! Le radici fasciste del maschilismo italiano”(Longanesi, 2022) il bel libro di Mirella Serri– scrittrice, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea, collaboratrice di Rai Storia – è che arriva in un momento che vede emergere, in una parte importante del sistema politico e della società italiana, una narrazione e una memoria “benevole” e indulgenti sul regime fascista. In cui entra, per l’appunto, la falsa idea di un duce «che ha fatto tanto per le donne»; mentre persiste la pesante eredità di maschilismo, mentalità patriarcale e stereotipi di genere che avevano permeato il Ventennio fascista. Della loro potenza e pervasività testimonia anche le discussioni alla Costituente in cui si affronta il problema delle donne in magistratura nello Stato post resistenziale e repubblicano. Siamo nel 1947. Si trattava di decidere se le donne, già ammesse all’elettorato attivo e passivo, potessero essere investite della specifica funzione di giudicare e se questa fosse compatibile col sesso femminile. Le prese di posizione, i toni, le argomentazioni, dei padri costituenti, di Centro e di Destra, danno conto di quanto fosse difficile eradicare le radici di un “comune sentire” che sopravviveva alla caduta del regime.

Sulla questione intervengono in tanti, dal deputato Scalfaro – futuro presidente della Repubblica – a Giovanni Leone, che lo avrebbe preceduto in quella carica nel 1971. Formatosi alla carriera forense presso lo studio di Enrico De Nicola – sostiene «che le donne sono fragili, esposte alla tempesta dei sentimenti, non hanno una predisposizione verso una mentalità tecnica». Mentre il repubblicano Giovanni Conti evoca «la loro subordinazione fisiologica», facendo esplicito riferimento «a certi periodi in cui sono assolutamente intrattabili». Il ruolo, concedevano alcuni, poteva essere accettato solo per limitate funzioni giudiziarie, in cui era utile «un palpito di maternità». Alla ricostruzione – assai istruttiva per ciò che implica per il nostro presente – il lettore interessato potrà aggiungere altro materiale, dopo aver letto gli Atti, infarciti di luoghi comuni e pregiudizi.

Vi compare anche il nome della leggendaria giudicessa sarda, Eleonora d’Arborea. Che – precisava il democratico cristiano Giuseppe Bettiol, contrario all’ingresso delle donne nella magistratura – «era giudicessa nel senso di sovrana. Non ha emanato sentenze. Ha governato uno Stato».

La battaglia di retroguardia sul problema della donna-giudice era in oggettiva continuità col trattamento riservato alle donne sotto il fascismo. Proseguendo nel lavoro di scavo, iniziato col libro sull’amante di Mussolini, Claretta Petacci, una figura ben diversa da quella dell’ingenua donna innamorata, Serri ricostruisce il complesso rapporto di Mussolini col mondo femminile, incrociando amanti – come Angelica Balabanoff e Margherita Sarfatti – e attiviste di nome, impegnate nelle battaglie femministe, dal voto alle donne alla tutela del lavoro femminile e minorile, come Argentina Altobelli ad Anna Kuliscioff, compagna di Turati e “dottora dei poveri” di Milano. Mussolini non amava le donne, spiega l’autrice. «Amava alcuni dei possibili ruoli femminili, forse. Ma per il resto le temeva. Aveva sviluppato un’ostilità antifemminile che declinò in leggi e divieti». Sul piano sociale e su quello del lavoro. L’offensiva cominciata con un regio decreto dl 1926 che prevedeva l’allontanamento delle donne dalle cattedre di storia e filosofia nei licei classici e scientifici e nelle classi superiori degli istituti tecnici. Preclusi i ruoli di presidi e dirigenti d’istituto. La già scarsa propensione, nell’Italia liberale, a garantire alle donne un trattamento che le mettesse sullo stesso piano degli uomini, viene ulteriormente ridotta da una serie di leggi che, tra il 1927 e il 1938, le escludono dal lavoro per riportarle a casa. Per scoraggiare le famiglie dall’avviare agli studi le figlie, vengono raddoppiate le tasse scolastiche per le studentesse. I ruoli assegnati alle donne sono quelli di moglie e madre, possibilmente di famiglia numerose

Alle più prolifiche – preziose alleate della politica demografica del regime – viene assegnata una medaglia d’onore, da portare durante le celebrazioni ufficiali. Un piccolissimo esempio di come Mussolini considerasse le donne viene fornita dalla cronaca di un sua visita in Sardegna, alle terre bonificate di Terralba, dove il regime aveva diretto l’immigrazione di famiglie venete, Mussolini si era rallegrato per la presenza di tante donne «giovani e feconde come le mucche e le galline», racconta Stanis Ruinas nel suo famoso libro “Viaggio per le città di Mussolini”. La matrice sessista domina nel codice civile e nel codice Rocco: la violenza sessuale è inserita nel titolo IX dedicato ai reati contro la moralità pubblica e il buon costume Ci sono voluti decenni di lotte e battaglie femministe per giungere a considerarla un reato contro la persona: è il 1996, praticamente ieri.



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