La Nuova Sardegna

L'intervista

Skin il 9 giugno a Cagliari: «Ragazzi, meno cellulari e più emozioni ai concerti»

di Andrea Sini
Skin il 9 giugno a Cagliari: «Ragazzi, meno cellulari e più emozioni ai concerti»

La cantante britannica si esibirà con gli Skunk Anansie. «In Sardegna ho amici e si mangia bene. Che errore la Brexit»

03 giugno 2023
5 MINUTI DI LETTURA





La regina dell’hard rock ama cantare ninne nanne a sua figlia e sotto la doccia si esibisce in pezzi melodici mutuati dalla tradizione jazz. Adora la Sardegna, odia la Brexit e quando è in mezzo alla gente tiene le orecchie ben aperte: perché l’ispirazione arriva quasi sempre da lì. Gli Skunk Anansie si preparano per il concerto del 9 giugno alla fiera di Cagliari. Intanto Skin, la storica leader del gruppo britannico, si apre ai nostri lettori.

Non è la prima volta che si esibisce in Sardegna: tra Olbia, Porto Cervo e San Teodoro, ha qualche ricordo delle volte precedenti?
«Guardate che io conosco la vostra isola! Ho un’amicizia importante in Sardegna, ci sono stata tante volte, non necessariamente per suonare. So che è abbastanza diversa dal resto dell’Italia, si mangia bene ed è un posto molto bello in cui mi sono sempre trovata bene, uno dei miei preferiti del vostro Paese».

È stata giudice a X-Factor. Cosa pensa dei nuovi gruppi italiani?
«In qualche modo le band italiane sono state sottorappresentate per anni. Ora alcuni gruppi, soprattutto rock – e lascio fuori i Maneskin perché sono una grande pop band – hanno un sound figo e anche credibile. Nella mia trasmissione in radio cerco spesso di passare canzoni di gruppi italiani, non mainstream. Mi sembra che dalle vostre parti ci sia un bel fermento. Questo a prescindere dalla lingua, perché ora la gente è molto più aperta all’ascolto di musica in lingue che non siano la propria. E si sforza di più per capire i testi».

Quanto conta il testo in una canzone?
«Ci sono molti artisti che si preoccupano esclusivamente che il sound funzioni. Ma gli artisti più bravi, quelli che hanno maggiore successo, sono quelli che scrivono testi che sono in grado di “toccare” le persone e creare con loro una connessione. Non importa se è country, se è un suono che viene dal Ghana o se è heavy metal norvegese. Le parole sono ciò che porta la gente dentro la canzone, raggiungono il loro cuore. La spiritualità di un disco viene dal testo. Puoi anche ascoltare una canzone senza capirla, magari ascolti per tutta la vita un disco dei Beatles, ma quando ti siedi e provi a capire il testo, allora si crea davvero qualcosa di speciale. Si arriva a un altro livello di rapporto con la canzone».

Le è mai successo?
«C’è una canzone, “Strange Fruit”, che ho ascoltato praticamente da sempre. Un giorno, dopo i miei trent’anni, per qualche ragione dovevo cantarla e allora mi sono soffermata sul testo: in quel momento sono stata colpita come da una martellata in testa, perché non mi ero mai chiesta cosa fossero questi strani frutti appesi agli alberi dei quali si parla. Era una canzone troppo familiare per accorgermene. Quell’episodio mi ha fatto passare a un livello successivo anche come artista, non solo come ascoltatrice. E ho cercato essere un’artista dietro la quale c’è qualcosa in più, non solo la musica».

Da dove arriva l’ispirazione?
«Dalla vita. Per anni ho avuto una pila di blocnotes, e ora ho una cartella nell’iphone, dentro cui tengo appunti che scrivo rapidamente quando c’è qualche verso che mi passa per la testa. I miei testi, ma anche l’interpretazione, arrivano da ciò che vedo e ciò che capisco. Io poi sono una ascoltatrice seriale».


In che senso?
«Mi piace sentire quello che dice la gente. Per tanto tempo ho preso la metropolitana per due ore al giorno da Ealing Brodway sulla Central Line sino a Deptford: e io stavo lì ad ascoltare e a invadere la vita degli altri. È incredibile tutto quello che si può sentire. Quando la gente parla liberamente dice una quantità inimmaginabile di cose interessanti».

Cosa canta sotto la doccia?
«In questo momento a casa canto soprattutto canzoncine per bambini, perché ho una figlia di 18 mesi. Sotto la doccia canto note particolari, canto jazz, versi lunghi e respiri lunghi per aprire la voce e la gola».

Quanto è cambiato il “live”? Prima anche davanti a 50mila persone si poteva creare una certa intimità col pubblico. Ora, nel caso, ci si esibisce di fronte a 50mila telefonini.
«È vero, la gente è meno concentrata, si preoccupa di cose che non sono “nel momento”. Prima era presente, ti guardava e cercava di tenere dentro di sé più possibile. Ora ci si preoccupa più di condividere sui social e credo che questo sia un vero peccato. Io dico: non c’è niente di male a filmare, ma filma 30 secondi e poi metti via il telefono e goditi il concerto. Tutto ciò che posti è bello da condividere e per le band è anche una bella pubblicità, ma tutto ciò che ti serve sono 10, 20, 30 secondi, oltre quello anche un post diventa respingente sui social. Concentrati e cerca di ricordare quello che hai provato».

Quali sono i migliori concerti visti?
«Ho visto i Rage Against the Machine al centro di Los Angeles a metà anni Novanta, il concerto più violento della mia vita, un divertimento incredibile. Ricordo un concerto degli U2 a Glasgow, il giorno in cui la Scozia vinse la partita di calcio contro l’Inghilterra. La gente che era al concerto ovviamente non vedeva la partita, era gente arrivata da tutta la Scozia, non c’erano gli smartphone e a un certo punto negli schermi giganti è comparso il risultato, e io in vita mia non ho mai sentito un boato simile a quello».

Quanto si sente lontana dall’Europa dopo la Brexit?
«È stato commesso il più grande errore della storia di questa nazione e temo che lo pagheremo per decenni, forse secoli. Vediamo tutti cosa sta succedendo ed è un problema. Per gli Skunk Anansie, solo per fare un esempio, è la prima volta che non vendiamo merchandising durante il tour, perché è diventato troppo costoso venderle persino per una band come la nostra. Figuriamoci le difficoltà quotidiane per la gente comune. Questo governo è responsabile al 100%, ha davvero mandato a puttane una nazione».

In Primo Piano
Malasanità

Nel buco nero della sanità sarda, inghiottiti migliaia di dottori

Le nostre iniziative