La Nuova Sardegna

L'intervista

Rita Pavone: «L’America resta il rimpianto della mia vita, ma che fortuna conoscere Elvis»

di Alessandro Pirina
Rita Pavone: «L’America resta il rimpianto della mia vita, ma che fortuna conoscere Elvis»

La cantante festeggia con un concerto a Cagliari i suoi sessant’anni di carriera

15 dicembre 2023
5 MINUTI DI LETTURA





Non sono molti i cantanti italiani che hanno conquistato l’America. Negli ultimi tempi sicuramente i Maneskin, in passato Domenico Modugno, Tony Renis e pochi altri. Ma in questo breve elenco lei c’è. Da allora è passato più di qualche lustro, ma la voce e la grinta di Rita Pavone, 78 anni, sono le stesse di allora. E domani il pubblico di Cagliari potrà rendersene conto. La grande artista, infatti, è attesa alla Fiera - alle 17, ingresso libero -, voluta dal patron Maurizio Porcelli, per una tappa del tour dei suoi 60 anni di carriera.

Signora Pavone, ricorda la sua prima volta in Sardegna?
«Credo nel ’63, ma magari mi sbaglio. Non ricordo le cose accadute ieri, figuriamoci sessant’anni fa. Amo molto la Sardegna, malgrado l’abbia battuta poco frequentemente».

Oltre 60 anni di carriera e 50 milioni di dischi venduti in tutto il mondo. C’è una ricetta?
«Non so se esista, sicuramente è stato un gran colpo di fortuna. Ho incontrato persone che mi hanno dato certezze, che mi hanno curata. Arrivare al successo è facile, è rimanere che è difficile. Cambiano i gusti, cambiano le generazioni. Io sono partita in un modo e sono arrivata in un altro. Lo spettacolo che porto in giro si chiama “Un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”, dove io canto i miei grandi successi, ma mettendomi sempre in gioco. Ecco, forse la ricetta è questa».

Il primo ricordo musicale?
«Avevo 9 anni, al Teatro Alfieri di Torino. Era uno spettacolo per ragazzini. Cantai un brano di Al Jonson e feci una americanina che arrivava a Roma. Lì capii che il palcoscenico mi piaceva».

Nel 1962 ad Ariccia incontra Teddy Reno: quale fu la sua prima impressione?
«Per anni lo chiamavo “signor Ferruccio” e gli davo del lei. Poi qualcosa è capitato tra di noi. Prima grande ammirazione, rispetto, poi qualcosa di diverso, non soltanto professionale. Ho seguito il mio istinto e il 15 marzo saranno 56 anni di matrimonio. Nessuno ci credeva. Invece, abbiamo due figli meravigliosi: Giorgio, che scrive canzoni, e Alex, che fa il giornalista politico per la tv svizzera. Siamo una famiglia tranquilla, facciamo una vita normale. Ogni tanto scappo perché il mio lavoro mi piace da morire. Finché la voce c’è. E le assicuro che c’è».

Il successo da ragazzina: come affrontò la popolarità?
«L’adrenalina è stata la mia unica droga. Non ho mai avuto pensieri strani. Avevo avuto una fortuna incredibile e dovevo saperla amministrare bene. Questo è il segreto della durata. La mia generazione è la stessa di Gianni Morandi. Famiglie povere ma dignitose, siamo riusciti a tirare fuori la testa e mostrare il nostro capo al sole. Siamo riusciti a sfruttare questo senza cercare altre cose che avrebbero potuto distruggere tutto».

La canzone a cui è più legata?
«Sicuramente “La partita di pallone” è quella che mi ha aperto le porte. E poi “Cuore”, il mio cavallo di battaglia, l’ho incisa in tutte le lingue. Sono stata anche nella classifica inglese: ci sono riuscita io e non il suo interprete originale».

Gian Burrasca: fu subito feeling con Lina Wertmüller?
«Avevo conosciuto Lina durante “Studio Uno”, lei era una delle autrici. Mi disse: “ho trovato un personaggio fatto apposta per te”. Io non avevo letto il libro e quando scoprii che era un maschietto rimasi spiazzata. Non volevo fare un personaggio en travesti. Lina mi disse: “se vuoi fare l’attrice devi imparare a entrare nei personaggi”. La migliore regia che potessi avere furono i miei tre fratelli maschi. Ho cercato di emularli e sono risultata un vero maschietto».

Il suo successo varcò i confini, ma l’America è stato un sogno a metà.
«Me lo hanno infranto i miei genitori. Avevo un contratto con la più grande agenzia americana, 3 Lp in uscita in contemporanea. Mi ero esibita alla Carnegie Hall di New York da sola. A Toronto feci 21mila spettatori, i Beatles ne avevano fatti 23mila. Non volevo lasciare l’Italia, ma l’America mi avrebbe insegnato cose che amavo fare. Avevo conosciuto Barbra Streisand, ero andata a vedere Sammy Davis Jr a Capocabana. Suonavano, cantavano, ballavano: era quello che volevo imparare. Il mio agente disse ai miei genitori: “dopo Modugno nessuno ha il successo di Rita”. Ma purtroppo avevano un problema coniugale e lo pagai io. Ero minorenne e non potei decidere da sola».

Lei però fu l’unica italiana a conoscere Elvis Presley.
«Eravamo in uno studio di registrazione a Nashville e già la mattina avevo conosciuto Brenda Lee, la mia musa ispiratrice. Poi da alcuni musicisti avevo capito che stava per arrivare Elvis a incidere e li pregai di farmelo conoscere. Mi dissero che era impossibile. Invece quando lui entrò venne verso di me. Mi diede un pizzicotto, poi prese una tela e scrisse “best wishes to Rita” (migliori auguri a Rita, ndr). Un incontro fortuito con un uomo di una semplicità incredibile».

Perché a un certo punto la sua carriera subì una frenata?
«In Italia sembra non si perdoni se uno ha successo all’estero. Accade anche ora con i Maneskin o Il Volo. Ebbi un problema al cuore, poi non mi piaceva più quello che mi proponevano. Scaduto quel contratto mi ritirai in buon ordine. Fino a che Renato Zero non mi ha chiamata per il concerto dei suoi 60 anni di età. Erano nove anni che non mi esibivo, ma lui insistette. E lì mi sono accorta che il pubblico non si era dimenticato di me e soprattutto che cantavo ancora».

Nel 2020 il ritorno a Sanremo dopo 48 anni. Perché tanta attesa?
«C’è un nome che mi ha messo i bastoni tra le ruote, ma non lo voglio fare (Pippo Baudo, ndr). Devo ringraziare Amadeus che mi ha voluta con quel pezzo grandioso scritto da mio figlio».

Che musica ascolta?
«Lazza, Irama, Marco Mengoni, Giorgia, Elisa, Elodie. Ma c’è anche tanta brutta musica».

Se oggi avesse 18 anni farebbe rap?
«Non lo amo molto, l’unico che ho amato è Eminem. Sicuramente amerei Mika».

Anni fa si candidò con Mirko Tremaglia: lo rifarebbe?
«L’errore più grande della mia vita».

Qual è il suo sogno non ancora realizzato?
«Diventare nonna, ma ormai non credo accadrà più. Ma vedendo il mondo come sta andando forse è meglio così».

In Primo Piano
Il fatto del giorno

Sassari-Olbia, c’è la proroga: sarà ultimata nel 2025

di Luigi Soriga
Le nostre iniziative