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Happy days compie 50 anni, la sit com che ha segnato un’epoca

di Roberto Petretto
Happy days compie 50 anni, la sit com che ha segnato un’epoca

Uscì negli Stati Uniti il 14 gennaio 1974, ma in Italia arrivò soltanto l’8 dicembre del 1977

07 gennaio 2024
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In Italia arrivò con tre anni di ritardo, quando negli Usa era già un consolidato fenomeno televisivo e di costume. Happy days compie 50 anni: il primo episodio della fortunata sit com andò in onda negli Stati Uniti il 14 gennaio del 1974. I telespettatori italiani la videro per la prima volta l’8 dicembre del 1977, nella fascia di Rai1 dedicata ai brevi telefilm prima del Tg serale. La saga durò dieci anni e 11 stagioni: si concluse (nel 1984 negli Usa e nel 1987 in Italia) dopo 255 episodi.

Dieci anni per affermarsi nell’immaginario di tanti giovani, grazie a protagonisti che entrarono con discrezione e grazia nelle case di telespettatori, per venti minuti o poco più ogni giorno. Happy days fu una palestra dalla quale uscirono protagonisti assoluti del mondo del cinema e della televisione. Richie Cunningham, l’imbranato figlio di Howard e Marion era interpretato (sino alla settima stagione) da un giovanissimo attore, Ron Howard, che poi divenne uno dei più affermati registi di Hollywood. Henry Winkler, Arthur Herbert “Fonzie” Fonzarelli proseguì una discreta carriera di attore, ma nella sit com si affacciarono star assolute come Robin Williams (prima comparsa nei panni dell’alieno Mork) o come Tom Hanks. Ma la forza di Happy days, l’ingrediente del suo successo planetario, fu forse quel senso di leggerezza, quel clima da “giorni felici” che veniva fuori dalle avventure quotidiane di una famiglia borghese americana, negli anni ‘50 e ‘60 dalle parti di Milwaukee, nel Wisconsin.
Una famiglia da telefilm, appunto, con Howard (Tom Bosley) proprietario di un negozio di ferramenta, sua moglie Marion (Marion Ross), casalinga, e dai figli Charles detto “Chuck”, Richard detto “Richie” (presenza sporadica nella serie) e Joanie (Erin Moran). Intorno alla famiglia Cunningham ruotavano personaggi diventati di culto in quegli anni. Su tutti Fonzie, italoamericano perennemente inguianato in jeans, maglietta bianca e giubbotto in pelle nera, di poche e parole pronunciate come sentenze, il cui gesto tipico erano i pollici alzati accompagnati dall’espressione “Ehi!”. E poi Potsie (interpretato da Anson Williams) e Ralph (interpretato da Don Most), amici inseparabili di Richie Cunningham.

È vero, negli anni rappresentati nel telefilm il clima non era proprio del tutto sereno. Nel mondo la guerra combattuta aveva lasciato il posto alla guerra fredda, c’era un incubo nucleare che gravava sulle vite di tutti, ma quell’ambientazione anni ‘50-‘60 aveva la capacità di trasmettere la spensieratezza evocata dal titolo. Una vita che scorreva tranquilla, tra la casa, il Drive in “Arnold’s”, le auto e le moto (Fonzie nella sit com cavalcava una spettacolare TriumphTr5, ma in realtà l’attore Henry Wilnkler non ha mai guidato una moto), i fidanzati e le fidanzate, il rock&roll, il joke box (che Fonzie riusciva ad avviare con un pugno). E proprio Fonzie, che inizialmente doveva essere un personaggio secondario, divenne di fatto uno protagonisti. Tanto da dare il nome alla “sindrome di Fonzie” che indica appunto l’inatteso successo di un personaggio minore. Quando gli autori cominciare a comprendere la portata del successo di Fonzie ridimensionarono a poco a poco il ruolo di Richie Cunningham. Ma il mix di personaggi fu la ragione di quel successo chein gran parte degli anni ‘70 accompagnò la serie. Tutti avevano bisogno di Happy days. Servirebbero tanto anche oggi.

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