Enrico Mereu, lo scultore dell’Asinara: «L’isola è come una madre»
Il racconto del protagonista del docufilm “Fuori dal mondo” del regista Stefano Pasetto
«La prima di “Fuori dal Mondo – Vivere all’Asinara” mi ha fatto evadere dall’isola». Enrico Mereu, lo Scultore dell’Asinara, è il protagonista della pellicola firmata dal regista Stefano Pasetto, una produzione della Solaria Film di Emanuele Nespeca insieme a Sud Sound Studios e Rai Cinema. Il film è stato presentato al teatro Litta di Milano nell’ambito del Festival Internazionale del Documentario Visioni dal Mondo.
Enrico Mereu, però, non si sente un protagonista. E non si sente neanche un eremita, nonostante gli oltre 40 anni all’Asinara, più della metà trascorsi come unico abitante insieme alla moglie. «Sono rimasto nell’isola perché mi piace la tranquillità, e perché l’isola ha triplicato la mia vena creativa. Sono arrivato nel 1980 quando ero un sottoufficiale della polizia penitenziaria. Sin da bambino ero scultore e pittore, e all’Asinara ho iniziato a scolpire il legno trasportato dal mare. Non ho mai abbattuto un albero».
Ed è diventato per tutti lo scultore dell’Asinara.
«Ma non ho creato io questo nome. Quando venivano i giornalisti vedevano le sculture che facevo con il legno e quindi ha iniziato a spargersi la voce. Poi ho iniziato a esporre ed è venuto fuori questo nome».
Quando il carcere è stato dismesso lei non è voluto andare via e si è anche incatenato per 23 giorni a cala d’Oliva.
«Ad un certo punto volevano mandarmi via ma io sapevo di essere nel giusto e quel gesto simbolico è servito ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica. Ho vinto la mia battaglia e sono rimasto».
Nel carcere è entrato in contatto con detenuti come Riina e Cutolo ma all’Asinara ha conosciuto anche Giovanni Falcone.
«Falcone la notte usciva e andava allo spaccio per giocare a biliardo e a calcio balilla, quindi, parlava spesso con i miei colleghi. Aveva visto le mie sculture e un giorno ha chiesto di conoscermi. Sono andato a cavallo fino alla centrale, dove abbiamo parlato per un bel po’. Era una persona straordinaria. A lui e a Borsellino ho dedicato un monumento in ginepro, “Il falco e l’arciere”, che si trova nella casa museo dove hanno preparato il maxiprocesso. Mi chiedeva di Riina. Nell’ultimo periodo ero capoposto proprio dove era detenuto. Anche in questo caso devo dire che l’arte mi ha aiutato perché non riesco ad essere indifferente davanti a situazioni o cose molto gravi e pesanti. La scultura era il modo per sfogare la pressione che sentivo».
Lei dice di avere un rapporto particolare con la solitudine.
«Sì, per certi versi la odio ma mi è anche di aiuto. La mente ha bisogno di staccare, di riflettere. Io non ho scelto di stare all’Asinara per fare l’eremita ma perché non c’è alcun essere umano che ti insegni l’educazione come riesce a fare la natura. Cerco anche di trasmettere questa cosa ai gruppi di ragazzi e di scout che vengono ogni anno. Prima di tutto faccio mettere i loro cellulari in una cesta e poi insegno le prime nozioni della scultura. Dopo un po’ non vorrebbero più smettere».
Lei e sua moglie vorreste essere gli unici abitanti?
«Da poco ho sentito un ministro dire in tv di voler portare mille famiglie. Forse sarebbe esagerato, ma una sessantina di famiglie che amano la natura potrebbero ripopolarla, far rivivere il paese. Se non ci fosse stata mia moglie che ha deciso di rimanere con me non sarei riuscito a restare dopo la chiusura del carcere».
Come ha convinto sua moglie?
«Anche lei è stata convinta dall’Asinara».
E i suoi cinque figli?
«Quando erano più piccoli c’era ancora il carcere e hanno frequentato elementari e medie nell’isola. Sono cresciuti benissimo, amano la natura come noi. Ora sono grandi, abbiamo sei nipoti. Certo, ci manca non poterli vedere tutti i giorni ma alle volte andiamo noi, altre volte vengono loro. Hanno sempre assecondato, e assecondano la nostra scelta».
Lei si sente, come il titolo del film, fuori dal mondo?
«Un po’ sì ma quando mi chiedono come faccio a stare dove non c’è niente io rispondo che qui c’è proprio tutto quello di cui ho bisogno».
Come è stato essere filmato nella sua quotidianità e per così tanto tempo?
«All’inizio un po’ di effetto lo ha fatto, ma poi io a 65 anni ormai mi accorgo quando ho a che fare con brave persone. Sono rimasto naturale, anche perché non riesco a fingere».
Quale messaggio vorrebbe che passasse da questo film?
«Per me l’Asinara è come una madre, vorrei che non venisse intaccata dall’egoismo umano. Vorrei che anche fuori capissero che è un’isola magica e che la natura bisogna amarla perché la natura capisce chi le vuole bene e ricambia tutto l’amore che riceve».