La Nuova Sardegna

L’intervista

Cristina Donadio: «L’Olocausto continua a esistere, atrocità che si rinnovano»

di Alessandro Pirina
Cristina Donadio: «L’Olocausto continua a esistere, atrocità che si rinnovano»

L’attrice nell’isola con uno spettacolo di Enzo Moscato: «La mia Napoli tra incanto e disincanto. Magari bastasse cancellare Gomorra per eliminare la camorra»

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La grande popolarità è arrivata con Scianèl, la boss di “Gomorra” in guerra con i Savastano. Ma la carriera di Cristina Donadio inizia ben prima di quella che è considerata la “serie italiana più bella di sempre”. Dalla fine degli anni Settanta è super attiva nel teatro napoletano e ne diventa un’esponente di punta, in particolare al fianco di Enzo Moscato, lo scrittore, autore, attore, regista, filosofo figura di spicco del teatro del Novecento scomparso poco di un anno fa.

E proprio con uno spettacolo di Moscato, "Kinder-Traum Seminar” (Seminario sui bambini in sogno), Donadio arriva in Sardegna: il 20 marzo al Teatro Massimo di Cagliari per la rassegna Questioni di Stile dedicata a Enzo Moscato, che si apre mercoledì 19 alle 20.30 con "Rubedo" di e con Giuseppe Affinito, l’indomani a San Gavino Monreale, sabato 22 a Macomer e domenica 23 ad Alghero. Lo spettacolo è una struggente e poetica narrazione sulla tragedia della Shoah, un'opera corale che affida alle voci di intellettuali e artisti la ricostruzione di una delle pagine più cupe della Storia del Novecento.

Cristina, quali parole sceglie per descrivere questo spettacolo?

«Non è molto semplice, perché è denso di significati. È un testo dedicato all’Olocausto dei bambini, Enzo lo ha scritto per questo: l’Olocausto non finisce mai, da quando è nato continua a esistere in tutte le parti del mondo. È una sorta di continuo ritrovare quelle sensazioni di dolore e stupore rispetto a quello che l’Olocausto ha creato. Vediamo quanto accade a Gaza».

Quali sono le particolarità del teatro di Enzo Moscato?

«Enzo è scomparso poco più di un anno fa, ci eravamo incontrati nel 1986 e non ci siamo più lasciati. È un dovere portare dove posso il suo pensiero etico, poetico e politico. Il suo è un teatro poeticamente realistico o realisticamente poetico, perché lui parla in maniera reale, feroce ma sempre poetica. È un teatro totalmente contemporaneo ma che affonda le radici in quello che ci portiamo nel dna noi napoletani. La forza di Enzo è di avere tradito la convenzione, creando quella che lui chiamava la “tradinvenzione”».

Moscato è mancato un anno fa. Come è stato affrontare questa assenza dal punto di vista dello spettacolo?

«Ancora non c’è stata una elaborazione. Enzo è talmente presente con la sua parola che è complicato fare i conti con la sua assenza. È una presenza-assenza, la sua. Due giorni dopo la sua morte sono voluta andare in scena, lui era accanto a me: sentivo il suo sguardo, i suoi discorsi. Oggi sono piena del suo pensiero e mi piace trasmetterlo ai giovani attori. Enzo faceva teatro artigianale, fatto di segni forti senza grandi scenografie, costumi. Diceva: siamo noi i corpi teatro che portiamo dentro tutto il necessario. In scena basta una luce. Mi manca la sua risata, i nostri inciuci, le telefonate, le cose divertenti. Per il resto Enzo è presente».

Cosa significa essere un’attrice napoletana?

«Faccio questo mestiere da 48 anni e questa definizione l’ho sempre un po’ subita. Non senti mai attrice parmense, attrice livornese. Sempre e solo attrice napoletana. Mi sono sempre chiesta perché. Napoli è uno stato d’animo, è un modo di essere nel bene e nel male. Napoli è un mood...».

Per lei cosa è Napoli?

«Oggi tutti vogliono venire a Napoli per mangiare, cantare, vedere Maradona: stiamo vivendo ancora una volta il trionfo dello stereotipo. Certo, questo aiuta l’economia. Ma Napoli è anche altro. C’ un bellissimo documentario, “Dadapolis”, l’ultimo a cui ha partecipato Enzo, che ha uno sguardo contemporaneo su Napoli. C’è l’incanto e c’è il disincanto. L’incanto perché è una città incantevole che ti toglie il fiato. Il disincanto perché la gente viene qui e vede tutt’altro. Pizza, mandolino, Maradona, il presepe con Antonio Conte e Fedez. Meno male che c’è ancora tanta gente che fa la fila per vedere il Cristo velato».

Di questo disincanto fa parte anche “Gomorra”?

«Purtroppo c’è quello che la camorra ha seminato nell’animo di tante persone. C’è una modalità camorristica che dobbiamo combattere, soprattutto tra i giovanissimi. Magari la colpa fosse di “Gomorra”, come sostengono alcuni: basterebbe cancellarla dai palinsesti. Purtroppo il seme della camorra ha avuto anni per insediarsi nell’animo e le famiglie non sono state capaci di debellarlo. Non solo a Scampia o a Caviano, ma anche nel centro e a Posillipo, estendendosi a tutta l’Italia».

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