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Riccardo Milani: «Con l’isola un amore lungo 50 anni dal campeggio ai sold out nei cinema»

di Alessandro Pirina
Riccardo Milani: «Con l’isola un amore lungo 50 anni dal campeggio ai sold out nei cinema»

“La vita va così”, sulla vicenda di Ovidio Marras, è in testa al box office. Il regista: «La morte di Gigi Riva un dolore immenso: mi manca tanto, anche i suoi silenzi»

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La Sardegna, per lui, non è una novità. La Sardegna è nel cuore, nell’anima di Riccardo Milani. Lui la frequenta, la vive, la tifa da sempre. In principio erano solo le vacanze, ma ben presto l’isola è diventata la casa, gli affetti, gli amici. E poi Gigi Riva, a cui dedicò il docufilm “Nel nostro cielo un rombo di tuono”, che fu anche l’ultima uscita pubblica del campione in un Teatro Massimo tutto in piedi il 7 novembre 2022. Adesso quel grande amore, trasmesso anche alla moglie Paola Cortellesi, è diventato un film che in pochi giorni ha scalato il botteghino: un milione e 600mila euro nel primo weekend. “La vita va così”, ispirato alla storia di Ovidio Marras, il pastore che fermò il cemento sulla spiaggia di Tuerredda, sta portando l’isola nei cinema di tutta Italia, perché, per quanto la commedia di Milani vanti un cast d’eccezione - Virginia Raffaele, Diego Abatantuono, Aldo Baglio, Geppi Cucciari e l’esordiente (a 84 anni) Giuseppe Ignazio Loi -, è la Sardegna la protagonista assoluta del film.

Milani, cosa è la Sardegna per lei?

«È una terra per la quale non posso che avere rispetto e riconoscenza. Nei suoi confronti provo una forte gratitudine. Amo tutto di quest’isola: il territorio, le coste, le zone interne, gli esseri umani, i paesi, le città, la storia, le antiche civiltà. Credo di avere trasporto e passione per il popolo sardo perché è come se fosse meno contaminato di altri. Certo, l’omologazione arriva anche qui, ma in qualche modo il senso di appartenenza preserva l’isola. Qui ho ancora sempre la sensazione di essere a contatto con esseri umani».

La sua prima volta nell’isola?

«Nel 1976, cinquant’anni fa. Primo campeggio a Vignola, ero ancora al liceo. Era l’anno in cui Gigi aveva smesso di giocare. Era febbraio quando successe quell’episodio...».

Chi era per lei Gigi Riva?

«Per tutti noi di quella generazione era motivo di grande fascino. Amavo lui, il suo talento, i suoi rifiuti...».

Le manca Gigi?

«Mi manca moltissimo. Per lui ho provato un dolore che si prova quando viene a mancare una persona cara. Ma i buoni maestri rimangono. Tutto quello che lui ha fatto rimarrà per sempre. Gigi ha scritto una pagina di storia per tutti noi, per la Sardegna, per il Paese. L’isola in qualche modo è stata influenzata dalla sua storia. Mi manca tantissimo, anche stare in silenzio insieme a lui, con me che non tocco una sigaretta e lui che ne fumava una dietro l’altra».

Ha un luogo del cuore in Sardegna?

«La costa sud sicuramente: Santa Margherita, Cagliari, Villasimius. Ma tutta la costa sarda è il mio luogo del cuore. Sono partito in campeggio da Vignola e Santa Teresa Gallura, per poi andare ad Alghero, Stintino, Platamona. Sono sceso fino a Piscinas, Scivu, l’Iglesiente, Carloforte, Teulada. Ma amo anche Cala Gonone, Baunei, Mamoiada...».

Ha trasmesso l’amore per l’isola anche a sua moglie.

«Paola c’era da stata da piccolina e ora anche per lei è diventata un luogo di cui non si può fare a meno».

Quando si è imbattuto per la prima volta nella storia di Ovidio Marras?

«Una decina di anni fa lessi la sua storia sui giornali e mi incuriosì. Non capivo perché mi avesse colpito così tanto: me ne sono reso conto girando il film. La storia di Ovidio Marras è una questione sempre aperta, è il conflitto tra chi vuole costruire e chi no. Da un lato, c’è la necessità di proteggere l’ambiente, dall’altra la fame di lavoro che ancora oggi in Sardegna si tocca con mano. È una questione aperta, difficile da risolvere. È necessario che la gente trovi nel posto in cui nasce tutto quello di cui ha bisogno per poter dare un presente e un futuro ai figli. Ma deve anche tutelare l’ambiente, che ha un suo valore enorme. Tutto questo l’ho scoperto con questa vicenda: il conflitto di una comunità che ha bisogno di sviluppo ma anche di proteggere il suo territorio. In Abruzzo, dove sono cresciuto, questo è stato ottenuto con la creazione del Parco nazionale: ogni anno conta un milione di visitatori, intorno ci sono decine di strutture ricettive che portano ricchezza al territorio».

Come ha scoperto Giuseppe Ignazio Loi?

«Avevo sparso la voce che stavo per iniziare il film. Volevo un pastore vero, era difficile incarnare in un attore una parte così emblematica. L’ho cercato in tutto il Sud Sardegna, finché un amico non mi ha mandato un video e ho visto per la prima volta questo omino con la purezza di un bambino e il rigore morale di un uomo di 84 anni. Lui fa il pastore da quando ne aveva 14, settant’anni di pastorizia...».

Ma ora vuole dedicarsi al cinema...

«Glielo auguro. Si è divertito tanto, anche se per lui l’impegno è stato relativo. È uno abituato ad alzarsi alle 5 del mattino, a scaldarsi davanti al caminetto. Diciamo che la parola sacrificio la conosce bene».

Come è stato girare in Sardegna?

«Ci siamo trovati benissimo, tutto quello che dobbiamo fare lo abbiamo fatto. Era un territorio che non aveva mai visto il cinema così presente. Finite le riprese il distacco è stato molto doloroso per tutti noi».

E il tour nei cinema sardi, da Cagliari a Olbia, con tutto il cast al seguito?

«C’è stata un’enorme accoglienza. È stato bellissimo, ovunque sale piene. Da sud a nord abbiamo raccolto il calore della gente e con Geppi padrona di casa».

I sardi sono un po’ permalosi… teme le critiche?

«Le critiche ci sono, ma è comprensibilissimo. Sono anche d’accordo con chi dice che è una rappresentazione stereotipata, macchiettistica. Ma c’è un grande affetto per l’isola che l’isola si è conquistata. Io capisco benissimo la diffidenza, ma è giusto giudicare dopo che si è visto. Io ho fatto questo lavoro per gratitudine verso la Sardegna, una terra in grado di insegnare tanto. E io da lei ho imparato tanto e ancora ho tanto da apprendere».

Nelle sale siete partiti con il botto.

«Siamo in testa al box office e anche questo successo si deve alla Sardegna».

Ma ci sarà un terzo film sardo?

«Chissà... Le storie non mancano. Qua c’è una grande ricchezza di storie, culture, persone e soprattutto di quel senso della misura che i sardi continuano ad avere per le cose importanti». 

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