La Nuova Sardegna

L’intervista

Francesca Mannocchi porta in Sardegna “Lirica Ucraina”: «Una guerra che ci interroga tutti»

di Paolo Ardovino
Francesca Mannocchi porta in Sardegna “Lirica Ucraina”: «Una guerra che ci interroga tutti»

La giornalista ospite del festival “Passaggi d’autore” con il suo documentario

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I “Passaggi d'autore – intrecci mediterranei” si arricchiscono con il passaggio di Francesca Mannocchi. La giornalista porta a Sant'Antioco il reportage “Lirica Ucraina”, che verrà proiettato domani sera, sabato 6 dicembre, al festival del cortometraggio mediterraneo. Il docufilm (premiato ai David di Donatello) è una visuale diretta sul conflitto in Ucraina dopo l'invasione della Russia, con le voci di sopravvissuti e civili. E con colonna sonora di Iosonouncane, che tra l'altro nel pomeriggio sarà protagonista di una masterclass.

Il documentario sta girando molto, quali sono le reazioni del pubblico? Cosa le dicono alla fine delle proiezioni?

«Le reazioni sono variate in base all’attualità, sono molto contenta che venga proiettato in questo momento che l’Ucraina è tornata a fare titoli e prime pagine. Quello che mi ha molto colpito è la sensazione che tante persone avessero voglia di condividere i dubbi su cui questa guerra ci ha fatto interrogare: cosa significa sicurezza, chiamata alle armi, solidarietà verso un popolo invaso. Come europei, come cittadini, anche come spettatori. È una guerra mediaticamente più impattante di altre».

“Lirica Ucraina” in che senso non è solo un racconto?

«Con Daniela Mustica (co-autrice, ndr) abbiamo cominciato a pensare al documentario dopo un anno e mezzo dall’invasione su larga scala. Volevamo uscire dalla cronaca e abbiamo pensato: cosa vorremmo che dicesse uno spettatore uscendo dalla sala? Che ha fatto un’esperienza».

Spesso cerchiamo i temi universali dei conflitti, ma qual è invece l’unicità di quello in Ucraina?

«Per la prima volta, nei decenni contemporanei, è stata una guerra modernissima e antichissima allo stesso tempo. Perché è una guerra di trincea e fango ma anche di droni, è ibrida. Vedere questo, alle porte dell’Europa, è stato nuovo».

Cosa è cambiato da quando ha chiuso il documentario a oggi?

«Principalmente la nostra percezione. Dico nostra per dire dell’Occidente. L’idea che un popolo invaso debba negoziare, senza interrogarci su quanto poco abbiamo fatto noi in termini militari e diplomatici, indipendentemente da come la si pensa. Il nostro parlamento, sia nei partiti di maggioranza che di opposizione, è fortemente atlantista; e quindi dovremmo starci dentro con tutte e due le scarpe e appoggiare un popolo che viene invaso».

Si ricorda la foto di Trump e Zelensky seduti al Vaticano? Sembrava pronta a essere consegnata alla storia, invece è passato ancora del tempo...

«Io credo che un cessate il fuoco come quello chiuso nella Striscia di Gaza serva solo nell’immediato. Non voglio essere fraintesa, siamo tutti sollevati quando le bombe smettono di cadere dal cielo, ma sono negoziati attuati come transazioni economiche, non agiscono sulle cause profonde di una crisi. La strategia di Trump funziona nell’immediato? Sì. Ma ho seri dubbi che duri...».

Ancora sul documentario, le musiche sono di Iosonouncane.

«Io e Jacopo (Incani, vero nome dell’artista di Buggerru, ndr) siamo amici e da tanto volevamo fare qualcosa assieme. Non ho sentito le musiche alla fine ma ha lavorato tutto il tempo in stretto contatto con me e ancora di più con la montatrice. Ha studiato il materiale video e abbiamo fatto un lavoro quasi al contrario di quel che accade di solito».

Ha pensato a poter realizzare un documentario analogo sul genocidio in Palestina?

«Se ci facessero entrare a Gaza... secondo me ora la cosa più importante da raccontare, e la più difficile, è la violenza burocratica. Lo stato di segregazione che fa vivere milioni di persone sotto regime di apartheid, che è l’aspetto meno spettacolare ma il più presente nel quotidiano».

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