Paolo Borzacchiello: «Oggi dimentichiamo come si parla, ecco le mie parole per il 2026»
L’esperto di linguaggi e interazioni: «Ci abituiamo a non pensare, non sappiamo più scrivere lettere e mail»
Le sue parole del 2025 in realtà sono le parole per il 2026, proiettate in avanti come auspicio: «Coraggio» e «verità». Ieri, 7 dicembre, al Teatro Doglio di Cagliari il protagonista del festival Lei è stato Paolo Borzacchiello, esperto di intelligenza linguistica, si occupa di interazioni e linguaggio attraverso podcast, libri e social. Stasera partirà proprio dal tema “Parole per crescere” per parlare di una società che sa parlare sempre meno: «E se non hai le parole, ti ritrovi a subire quelle degli altri».
Oggi come parliamo?
«Molto male, perché sono sempre di meno le parole disponibili, la comunicazione che usiamo si sta scarnificando, ha meno varietà linguistica e non è un problema solo estetico. In più c’è una buona dose di prurigine: sulle parole devi stare sempre più attento per non offendere nessuno».
Eppure siamo sempre stimolati a comunicare, ogni giorno e più volte al giorno.
«Sì, però bisogna vedere con quali mezzi e modalità. Stiamo delegando tantissimo alle macchine, non parlo solo dei video ma anche dei post e delle mail, è tutto delegato ai software che scrivono per noi. E poi è una comunicazione sempre virtuale, accompagnata da simboli e segni che inibiscono la capacità reale di comunicare».
Parliamo male per basso livello culturale o per pigrizia?
«Una produce l’altra, ci stiamo adagiando attraverso piccoli passaggi progressivi, non sono trasformazioni radicali. Ti abitui a vedere e a usare frasi più brevi, su Instagram l’algoritmo premia il reel che ti costringe a fare lo scemo o a saper esprimere un concetto in 7 secondi. Questo comporta maggiore difficoltà a elaborare pensieri. E quindi a compiere azioni come leggere un libro o scrivere una lettera. Sei abituato al video da trenta secondi, il resto richiede uno sforzo».
Borzacchiello, lei come riesce a comunicare bene con i canoni dei social?
«È un compromesso, su Instagram per esempio devo sintetizzare al massimo e a volte essere radicale, ma dico sempre: oltre al video, approfondisci, vai a studiare. Funziona riuscire a prendere delle cose tanto complesse e renderle semplici, e mi piace farlo, in generale è meglio sapere una piccola cosa che non saperla affatto».
Quali sono le sue parole dell’anno?
«Ho visto che gira molto tra i media “rage bait” (scelta come parola dell’anno dall’Oxford dictionary, si riferisce a un contenuto pubblicato online per scatenare indignazione, ndr). Le mie sarebbero altre, per il 2026 penso a “Coraggio”; oggi anche solo per comunicare in maniera efficace devi averlo. E poi direi “Verità”, una delle chiavi di volta per l’essere umano».
La sensazione è che la politica, ambito dove è fondamentale comunicare, ci abitui al linguaggio tecnico. Quello economico, informatico, finanziario.
«Dipende. Se prendi Giorgia Meloni, lei non usa questa comunicazione, o parzialmente. Molti suoi discorsi sono di pancia e e anche forzando la mano alla realtà. Non ha un linguaggio complesso. In generale il ricorso al tecnicismo e al linguaggio più astratto è utilizzato per non farsi capire. Una scelta deliberata per beneficiare di una certa aurea agli occhi dell’interlocutore. Ma la retorica vera si è persa per strada, la maggioranza dei politici che vediamo sono illetterati, esprimono ignoranza».
